PARTINI, Giuseppe
– Nacque a Siena il 5 maggio 1842 da Giovambattista, intagliatore, e Bonizella Rossi, sarta.
A causa delle ristrettezze economiche nelle quali versava la famiglia non poté compiere studi regolari ma solo un lungo apprendistato presso uno zio capomastro che avrebbe dovuto avviarlo al mestiere di muratore. Il talento e la passione per l’architettura dimostrati, tuttavia, convinsero i genitori a iscriverlo, nel 1857, all’Istituto d’arte di Siena, dove studiò sotto la guida di Lorenzo Doveri, direttore del corso di architettura, e di Giulio Rossi, che gli trasmise il gusto e i fondamenti teorici del neogotico. Appena terminati gli studi ereditò, alla morte di Rossi nell’ottobre del 1861, il cantiere della cappella funeraria voluta dal marchese Ferdinando Pieri Nerli nella sua villa di Quinciano, a sud di Siena. Realizzata in laterizio e pietra serena, la cappella è esemplata secondo i canoni del romanticismo declinato in chiave neogotica e risente fortemente dell’impronta di Rossi; i migliori esponenti della scuola purista senese, Luigi Mussini, Alessandro Franchi, Cesare Maccari e Tito Sarrocchi, concorsero con le loro opere alla decorazione e il risultato complessivo fu talmente apprezzato da consacrare Partini come architetto di riferimento per le principali commesse pubbliche e private della città nei successivi tre decenni. È datato 1861 anche il prospetto di S. Maria del Fiore inviato al concorso per la facciata della cattedrale fiorentina, giudicato molto positivamente dalla commissione.
Al 1862 risalgono il progetto, non realizzato ma presentato con favore al pubblico, per un nuovo mercato a Siena e quello per la ristrutturazione degli ambienti dell’Accademia dei Rozzi, eseguito ma non più leggibile a causa di successivi interventi. Al medesimo anno risale la tomba disegnata in stile neoquattrocentesco per il proprio maestro Rossi, una semplice lunetta addossata alla parete recante al centro il medaglione con il busto scolpito da Sarrocchi.
In seguito alla scomparsa di Doveri, nel 1866, Partini fu chiamato a insegnare architettura all’Istituto d’arte di Siena. Rimase sulla cattedra fino alla morte, formando una schiera di epigoni molto attivi, soprattutto a Siena e in provincia, fino al Novecento inoltrato come Vittorio Mariani, Dante Pianigiani e Agenore Socini. Ancora in sostituzione di Doveri venne nominato architetto dell’Opera del duomo e architetto onorario dell’Arciconfraternita della Misericordia nel 1867, anno in cui divenne membro dell’appena costituita Commissione consultiva conservatrice di belle arti per le province di Siena e Grosseto, nella quale rimase per tutta la vita.
Dalla metà degli anni Sessanta intraprese una fortunatissima carriera nel campo del restauro architettonico, condotto secondo i principi del purismo inflessibilmente propagandati nell’ambiente artistico senese da Luigi Mussini. Al 1865 risalgono l’avvio della ristrutturazione del castello di Belcaro, gli interventi all’ospedale di S. Fina a San Gimignano e l’incarico per la posa in piazza del Campo della copia scolpita da Sarrocchi della Fonte Gaia di Jacopo della Quercia, collocata poi nel 1868 quasi contemporaneamente alla messa in opera di un altro progetto di Partini per la piazza, la corona di colonnini in travertino che delimita il manto in laterizio dall’anello esterno in pietra serena.
Tra tutti i cantieri di restauro quello del duomo di Siena fu senza dubbio il più complesso, lungo e importante tra quelli condotti da Partini nell’arco di trent’anni. Sotto la sua direzione, a partire dal 1867, venne quasi completata la sostituzione delle sculture della facciata con copie, furono restaurati i commessi marmorei del pavimento, la cupola, la cappella di S. Giovanni, il battistero.
La concezione partiniana del restauro perseguiva il ripristino totale degli edifici, su base documentaria quand’essa fosse possibile, fino a ritrovare la loro forma originaria. Ogni stratificazione storica, di conseguenza, era considerata come incongruente, elemento di disturbo da rimuovere senza ripensamenti. Quando l’apparato documentario non esisteva o si dimostrava insufficiente allora spettava all’artista-restauratore penetrare nello spirito dell’edificio e inventare ex novo soluzioni che fossero il più possibile in linea con la supposta volontà del primo artefice.
Il 31 agosto 1867 sposò a Buonconvento Clementina Cresti dalla quale l’anno successivo ebbe l’unico figlio, Luigi. La moglie morì il 26 giugno 1873 in seguito a un incidente domestico e dopo pochi mesi Partini disegnò il semplice monumento funebre collocato nel cimitero della Misericordia, facendone scolpire i marmi all’amico Sarrocchi, padrino e futuro suocero di Luigi, al quale avrebbe concesso in sposa la figlia Adele il 15 ottobre 1893.
Assai intensa fu l’attività senese di Partini nel corso degli anni Settanta e Ottanta, tanto da imprimere – tra restauri e nuove costruzioni – un segno indelebile sul tessuto cittadino, segno che sarebbe stato ancora più marcato se la giunta comunale non avesse rinunciato, per ragioni economiche, all’ambizioso progetto di costruire due ampi loggiati neogotici ai lati del palazzo pubblico per ospitarvi il mercato e il tribunale. Nel 1871 si aprì il cantiere voluto dal Monte dei Paschi che portò alla creazione di piazza Salimbeni, progetto che incarna in maniera esemplare l’eclettismo e la duttilità di Partini al quale si deve la neogotica facciata in pietra della rocca, sede centrale della banca, il fianco neoquattrocentesco di palazzo Spannocchi, il basamento per la statua di Sallustio Bandini di Sarrocchi e il prospetto in laterizio della rocca su piazza dell’Abbadia.
La facciata di palazzo Marsili (1872-73), il pian terreno di palazzo Spannocchi (1880-81) destinato agli uffici della Posta, la corte interna di palazzo pubblico (1883), l’ingresso dell’Università (1891) e il tormentato cantiere della basilica di S. Francesco (1883-94) sono altri non secondari interventi di Partini sull’antico, mentre il palazzo Franci (1870), l’ampliamento del cimitero della Misericordia iniziato nel 1872 e a lungo protrattosi, l’istituto per i sordomuti Tommaso Pendola (1875) e la nuova Dogana (1877-80) appaiono particolarmente rappresentativi della facilità d’invenzione e del gusto di Partini, capace di utilizzare con rigore il vocabolario della tradizione architettonica anche per la costruzione di edifici che dovevano rispondere alle funzioni e alle esigenze del proprio tempo.
Tale spregiudicatezza stilistica fu perfettamente individuata da Giovanni Angelo Reycend (1895): «egli, che aveva attinto le sue ispirazioni alle fonti più pure e più geniali dell’arte, egli improntò di questa purezza e di questa genialità le opere di sua creazione e queste, benché vestite all’antica, perché in abiti tagliati alla foggia paesana, si presentano ai nostri occhi in sembianza giovanile, con andatura punto impacciata o sgradevole» (p. 71).
Anche fuori dai confini della città l’attività di Partini fu richiestissima e rivolta sia alla progettazione di nuovi edifici, sia ai radicali restauri in stile.
Tra le commesse più importanti della prima specie il palazzo di Giustizia di Chiavari (1882), la chiesa di Vitaleta, nei pressi di Pienza (1884), la cappella della famiglia Canevaro a Zoagli (1886); tra quella della seconda, invece, gli interventi sull’abbazia di S. Antimo, iniziati nel 1871, il disegno per la porta laterale del duomo di Grosseto (1876), i restauri del palazzo comunale e della cappella di S. Fina nella collegiata a San Gimignano (1878-81), quelli del castello di Brolio, dell’abbazia di S. Galgano, della collegiata di San Quirico d’Orcia e del castello di Torre Alfina, nei pressi del lago di Bolsena, tutti risalenti ai primi anni Ottanta, e infine il rifacimento della facciata e dell’interno del duomo di Chiusi. Quest’ultimo ripristino dimostrò la coerenza teorica e la versatilità di Partini, qui alle prese, per la prima e unica volta, con il linguaggio paleocristiano e bizantino-ravennate.
Nel 1882, dopo tre tentativi infruttuosi nel 1868, 1870 e 1881, venne eletto nel Consiglio comunale di Siena dove divenne membro della sezione consiliare Lavori pubblici. Fu confermato alle elezioni del 1887 con 460 preferenze, sostenuto da una coalizione monarchico-liberale.
Morì a Siena il 14 novembre 1895 e fu sepolto nel cimitero della Misericordia.
Fonti e Bibl.: G.A. Reycend, Commemorazione dell’ingegnere G. P., in Atti della Società degli ingegneri e degli architetti in Torino, XXIX (1895), 35, pp. 68-72.
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