PATINO (Patiño), Giuseppe
Nato a Milano da nobile famiglia aragonese l'11 aprile del 1666 e entrato a far parte della Compagnia di Gesù in Italia, preferì poi abbandonare l'ordine per seguire in Spagna Filippo V di Borbone. E qui la sua carriera fu rapida. Rivelatosi sagace amministratore durante la guerra di successione spagnola che allora ardeva, infatti seppe provvedere ai bisogni delle armate affidate alle sue cure; l'Alberoni lo volle con sé, ed egli fu il più intelligente consigliere e il più attivo collaboratore del cardinale nel tentativo da lui compiuto di restituire alla maggiore monarchia iberica almeno parte della sua antica potenza. Intendente generale della marina dal 28 gennaio 1717, riorganizzò la marina pubblicando l'Instrucción, specie di codice marittimo, migliorando le scuole dei piloti, armando le coste della Catalogna per salvarle dagli attacchi dei nemici, costruendo le flotte che fecero le spedizioni di Sardegna e di Sicilia. Preposto alla marina anche negli anni seguenti, acquistò tanta potenza nel paese e a corte, che nel 1725 il Riperda tentò di allontanarlo dalla vita pubblica nominandolo ambasciatore a Bruxelles; ma la sua disgrazia durò poco tempo. L'anno dopo fece di nuovo parte del governo; e da allora in poi, sino alla morte che lo sorprese a S. Ildefonso il 3 novembre 1736, sebbene non ne portasse il titolo, fu il vero primo ministro della monarchia spagnola: nel 1735 giunse a reggere i dicasteri della Marina, della Guerra, degli Esteri, dell'Azienda e del Commercio. Come tale, fu il vero continuatore della politica dell'Alberoni, ma temperando saggiamente i suoi ardimenti e dando più solida base al suo programma politico. Odiato quasi sino agli ultimi giorni dal re, il quale, allontanatosi sempre più dal governo dello stato per la strana follia che lo dominava, soltanto il 15 ottobre 1736 riconobbe gl'indiscutibili meriti del suo ministro e lo fece grande di Spagna, ma, di contro, sostenuto dalla regina Elisabetta Farnese, legata al programma di colui che aveva creato la sua fortuna e interessata alla sua attuazione anche per gli egoismi di madre, il P. ben vide che sul mare si sarebbe decisa la sorte della sua patria e la preparò alla lotta contro la rivale Inghilterra. Così da un lato continuò la sua opera di riorganizzazione della flotta, costruendo navi e creando arsenali (nel 1732 la fortunata spedizione di Ceuta, che a lui fruttò il Toson d'oro, parve restituisse alla Spagna una parte della sua antica gloria militare) e rafforzò l'esercito con un forte contingente di Svizzeri; e dall'altro, quando si cominciò a delineare quella guerra che poi fu chiamata di successione polacca, aiutato anche dal fratello marchese di Castelar, quasi sempre d'accordo con la regina, sostenne la necessità dell'alleanza con la Francia. La prematura morte gl'impedì di vedere la fine del conflitto, ma non la conquista delle Due Sicilie da parte di Carlo di Borbone: primo, e anche ultimo trionfo della rinnovata politica spagnola. Seguace del mercantilismo (fu detto il Colbert iberico), protesse le industrie indigene, alcune delle quali ebbero così notevole sviluppo, e contribuì alla formazione di compagnie mercantili per lo sfruttamento delle colonie americane e delle Filippine. Per quanto nell'ultimo anno della sua vita ferocemente attaccato dal carmelitano portoghese Manuel de San José, che era al servizio dell'ambasciatore portoghese e che dall'8 dicembre 1735 al 7 giugno 1736 diffuse un foglio clandestino El duende político, integra restò la sua fama di uomo che, nella crisi della propria patria, aveva fatto quanto era possibile per schiuderle un più fortunato avvenire. Il Walpole disse che la sua morte era una perdita irreparabile per la Spagna; e nel paese si disse: "Prius ruet mundus quam surgat Patinnius secundus".
Bibl.: A. Rodríguez Villa, Patiño y Campillo, Madrid 1882; C. Fernández Duro, Armada española desde la unión de los reinos de Castilla y de Aragón, VI, Madrid 1900.