PAVONI, Giuseppe
PAVONI, Giuseppe. – Nacque a Soprazocco di Gavardo, piccolo centro in provincia di Brescia, intorno al 1551. È noto il nome del padre, Defendente, mentre rimane ignoto quello della madre. Ebbe due fratelli: Stefano, padre a sua volta di Giovanni Battista e Lorenzo, e Maria, sposa di Giovanni Bartolomeo Mansoni e madre di Giovanni Pietro.
Tutta da verificare rimane la sua parentela con Taddeo di Bartolomeo Pavoni, che lavorò a Firenze, in società con Bartolomeo Sermartelli il Vecchio, nei primi anni Sessanta del Cinquecento, ma anche con un altro Taddeo Pavoni che svolse l’attività di tipografo a Venezia, erede e successore di un altro libraio-editore bresciano, Giacomo Sarzina, e genero dell’editore bresciano Bartolomeo Fontana. Se pare certo che dopo la morte di Pavoni e la cessione dell’attività la famiglia abbia lasciato Genova, non ci sono tuttavia elementi che la portino a Venezia e dunque la colleghino al Pavoni veneziano.
Pavoni trascorse gran parte della sua vita a Genova, svolgendo il mestiere di tipografo-editore. Poco o nulla si sa, però, di dove egli abbia appreso l’arte della stampa. È probabile che abbia svolto alcune esperienze professionali a Bologna e a Firenze. A quest’ultima città è più sicuramente collegato il nome di Giuseppe Pavoni quale autore di due brevi componimenti che scrisse in occasione dell’arrivo a Firenze di Cristina di Lorena, sposa di Ferdinando I de’ Medici, evento di cui egli si dichiara testimone. Sono riconducibili a lui, infatti, l’Entrata della serenissima Gran Duchessa sposa, nella città di Fiorenza, e il Diario delle feste celebrate nelle solennissime nozze delli serenissimi sposi don Ferdinando Medici e donna Cristina di Lorena, entrambi stampati a Bologna, da Giovanni Rossi, nel 1589. Si tratta dell’unica traccia di un’attività precedente all’arrivo a Genova. Anche più tardi, ormai ben inserito nella cultura ligure del suo tempo, Pavoni ebbe modo di curare raccolte di componimenti poetici, poi donate in occasioni ufficiali. È in questi volumetti miscellanei che egli ebbe modo di inserire testi poetici ufficialmente anonimi, ma con tutta probabilità usciti dalla sua penna.
In ogni caso, al suo arrivo a Genova non era più un apprendista, ma certamente un maestro stampatore. Un ruolo decisivo nel trasferimento in Liguria e nell’avvio della sua attività fu giocato del cancelliere della Repubblica Antonio Roccatagliata, ricco e colto patrizio che già nel 1573 aveva ottenuto (con una conferma definitiva nel 1575) un privilegio di stampa della eccezionale durata di trentacinque anni. Forte di tale concessione, svolse anche a più riprese l’attività di editore, da solo o in società con altri, ma soprattutto mise il privilegio a disposizione dei tipografi che fece chiamare in città. Tra questi fu Pavoni, che su invito del nobile genovese, si trasferì a Genova nel 1597. Il 17 luglio di quello stesso anno, acquistò per 4000 lire genovesi il materiale tipografico, depositato in casa di Roccatagliata da Pietro e Traiano Bartoli, eredi di Girolamo, che, proveniente da Pavia (dove gestiva e continuò a gestire un’altra officina tipografica), aveva svolto attività editoriale a Genova dal 1585 alla morte, avvenuta nel 1591 (Archivio di Stato di Genova, notaio Marc’Antonio Molfino, n. gen. 4053). Anche Bartoli era originario del Bresciano e, in particolare, della Riviera di Salò. Gli stessi materiali tipografici si ritrovano impiegati, dopo la morte di Pavoni, nelle edizioni genovesi di Giovanni Maria Farroni e ancora, tra gli anni Sessanta e Settanta del Seicento, in quelle sottoscritte da Benedetto Celle.
Sempre da Roccatagliata Pavoni ebbe in affitto i locali dove impiantò la sua officina, collocata «in contrada Caneti in carrubeo platee Ferute sub parochiali ecclesia Sancti Georgii». Risulta oggi difficile identificare la precisa collocazione dello stabile, che ospitava anche l’abitazione del tipografo, probabilmente non lontano dalla chiesa di S. Giorgio, nel cui archivio parrocchiale si conservano diversi documenti utili alla biografia di Pavoni e dei suoi familiari. Dopo la morte di Roccatagliata, avvenuta il 25 febbraio 1608, Pavoni riscattò l’immobile dagli eredi.
Fin dagli esordi, egli trovò a Genova le condizioni di lavoro ideali, potendo operare per quasi trent’anni in regime di assoluto monopolio, sfruttando l’economico e costante approvvigionamento di carta, proveniente dalla tradizionale industria cartaria ligure. Fu solo agli inizi degli anni Trenta del Seicento che cominciarono a sorgere nel capoluogo ligure altre officine concorrenti. Gran parte della biografia di Pavoni si ricostruisce grazie ai documenti relativi ai tentativi di perpetuare tali condizioni favorevoli.
A seguito della morte di Roccatagliata, Pavoni si affrettò a chiedere alle autorità il rinnovo, questa volta a suo nome, del privilegio di stampa, la cui scadenza era prevista per il 1610 (Archivio di Stato di Genova, Sala Senarega, 1710). Nonostante l’opposizione dell’incisore Giovanni Maria Variana, che contestava a Pavoni di voler impedire, escludendo la concorrenza, lo sviluppo dell’arte e di causare un grave danno a chi contava sulla fine dell’esclusiva per ampliare la propria attività, egli ottenne, l’8 marzo 1610, il rinnovo del monopolio per altri dieci anni, a condizione, però, di prestare gratuitamente la propria opera per i documenti ufficiali commissionati dalle pubbliche autorità della Repubblica di Genova (Archivio di Stato di Genova, Archivio Segreto, Privilegi, 2943 n. 2).
Sei anni più tardi, quando il termine del privilegio era ancora lontano, Pavoni si premurò di chiedere un rinnovo dell’esclusiva per altri venti anni (ibid.). Di nuovo l’iter dovette incontrare l’opposizione, inviata alle autorità il 20 ottobre 1616, di Variana, questa volta associato a Domenico Roncagliolo, tipografo di origine genovese attivo a Napoli, e a Simone Molinaro, proprietario di una tipografia a Loano (poi ceduta a Francesco Castello da Belvedere), nonché maestro di cappella del duomo di Genova, ruolo per il quale ebbe modo di collaborare con Pavoni in alcune edizioni musicali (come la Partitura delli sei libri de’ madrigali a cinque voci, di Carlo Gesualdo, pubblicata nel 1613). In questa occasione, le accuse mosse a Pavoni, oltre a quella di causare l’emigrazione delle maestranze locali, impedite nell’esercizio della stampa dal monopolio, riguardano una sua presunta incompetenza, soprattutto nella stampa musicale, e la preferenza accordata a lavoranti stranieri, con grave danno per quelli locali. Anche queste accuse, tuttavia, non dovevano essere troppo fondate e, comunque, non trovarono accoglimento presso le autorità, che il 21 ottobre 1616 concessero un ulteriore rinnovo decennale.
Pavoni ebbe quattro figli. Non si conosce il nome della prima moglie, probabilmente sua conterranea, dalla quale ebbe il primogenito Defendente. Sposò poi in seconde nozze la genovese Antonia Merello, figlia di Antonio Maria e forse nipote di Roccatagliata, dalla quale ebbe altri tre figli: Francesca (nata nel 1600 e morta intorno al 1640), Antonio (nato nel 1602 e ancora vivo nel 1647) e Maddalena (nata nel 1604).
È complessivamente nota anche l’attrezzatura della bottega di Pavoni, che comprendeva due torchi, corredati da sei telai e sei fraschette. Una dotazione tutto sommato piuttosto modesta, che spiega, almeno in parte, anche una produzione nel complesso abbastanza limitata, con una media di circa dodici edizioni l’anno, compresi i fogli volanti. Ciononostante Pavoni impiegò almeno ventitré polizze di caratteri tipografici (quasi tutti romani tondi e corsivi), comprese due serie di tipi greci e una di ebraici, applicandosi anche, e con risultati piuttosto significativi, nella stampa musicale. Non trascurabile il ricco apparato di fregi ed elementi tipografici ornamentali, in cui di frequente compare il pavone, ripreso dalla marca editoriale. Quest’ultima, di cui si conoscono almeno sette diverse varianti, è corredata dal motto «Coelum tango votis».
Alla gestione dell’officina tipografica genovese collaborarono i nipoti di Pavoni, Giovanni Pietro e Lorenzo, insieme con il fratello Stefano. Tra i suoi lavoranti si possono annoverare Francesco Castello da Belvedere (a servizio tra il 1607 e il 1609), che fu poi tipografo a Loano (dal 1615) e a Nizza (dal 1620 alla morte, tra il 1626 e il 1627), e il tortonese Pietro Giovanni Calenzani (presso Pavoni nel 1615), poi tipografo a Tortona (dal 1612) e ad Aqui (dal 1618) e di nuovo a Genova (dal 1635) prima in società con Giovanni Maria Farroni, poi da solo.
Nella sua lunga attività, Pavoni pubblicò oltre cinquecento edizioni, per lo più commissionate dalla Repubblica di Genova o da altri istituti laici ed ecclesiastici locali, quali il Banco di San Giorgio. Di grande interesse sono alcune opere di medicina e le già menzionate pubblicazioni d’occasione. L’indirizzo principale fu tuttavia orientato alla pubblicazione di autori e opere contemporanei, con una scarsa attenzione ai testi classici o medievali e alle traduzioni. Sono ben 193 gli autori rappresentati nel catalogo; tra questi compaiono tutti i più importanti letterati locali dell’epoca: in testa Gabriello Chiabrera (23 edizioni e una ristampa), ma anche Ansaldo Cebà e il milanese Carlo Giuseppe Orrigoni (16 edizioni ciascuno), Pier Girolamo Gentile Ricci (13 edizioni), Agostino Pallavicini, Lorenzo Peirinis e Giovanni Vincenzo Imperiale (5 edizioni ciascuno). Si tratta per la stragrande maggioranza di testi in italiano, con il latino limitato ai testi filosofici e alle opere religiose. Tra queste ultime spiccano quelle degli autori gesuiti.
Seguendo un gusto barocco piuttosto raffinato, Pavoni si giovò della collaborazione, per la realizzazione di illustrazioni e frontespizi incisi, dei più importanti artisti e incisori liguri (o attivi in Liguria) dell’epoca. Tra questi si segnalano Luciano Borzone, Bernardo Castello, Philippe Thomassin, con i quali intrattenne anche rapporti di amicizia. In ogni caso le edizioni illustrate rappresentano un’assoluta minoranza tra quelle realizzate. Tra di esse si devono segnalare però almeno le tre ristampe della Gerusalemme liberata di Torquato Tasso, con le illustrazioni di Bernardo Castello, realizzate da Giacomo Franco e Agostino Carracci, esemplate su quella sottoscritta da Girolamo Bartoli nel 1590, ma con due ulteriori serie di disegni. Le ristampe furono pubblicate nel 1604, nel 1615 e nel 1617. L’ultima di esse fu finanziata dallo stesso Castello, a sottolineare un rapporto anche di affari tra protagonisti della cultura ligure dell’epoca.
Pavoni morì a Genova il 23 aprile 1641.
La tipografia continuò a funzionare per un altro anno, guidata dagli eredi e, in particolare, dal figlio Antonio. Intorno al 1647 Giovanni Maria Farroni prese in affitto i locali dell’officina (Archivio di Stato di Genova, Camera finanze, Atti, 2126), chiaro indizio dell’abbandono della città da parte della famiglia Pavoni.
Fonti e Bibl.: N. Giuliani, Notizie sulla tipografia ligure sino a tutto il secolo XVI, Genova 1869, ad ind.; G. Ruffini, Sotto il segno del pavone: editoria e cultura genovese nell’età del Chiabrera, in G. Fusconi - G. Ruffini - S. Bottaro, Gabriello Chiabrera: iconografia e documenti, Genova 1988, pp. 61-78; F. Ascarelli - M. Menato, La tipografia del ’500 in Italia, Firenze 1989, pp. 139 s.; M.R. Moretti, Simone Molinaro e la tipografia Francesco Castello di Loano, in La Berio, XXXII (1992) 1, pp. 3-58; G. Ruffini, Note su G. P. stampatore a Genova dal 1598 al 1641, in La Bibliofilia, XCI (1989), pp. 267-285; G. Ruffini, La compagnia del pavone. Editoria gesuitica a Genova (1598-1641), in Quaderni franzoniani, V (1992), pp. 167-175; Id., Sotto il segno del Pavone. Annali di G. P. e dei suoi eredi 1598-1642, Milano 1994; M.M. Niri, La tipografia a Genova e in Liguria nel XVII secolo, Firenze 1998, ad ind.; G. Nova, Stampatori, librai ed editori bresciani in Italia nel Cinquecento, Brescia 2000, ad ind.; Id., Stampatori, librai ed editori bresciani in Italia nel Seicento, Brescia 2005, ad indicem.