PETRILLI, Giuseppe
PETRILLI, Giuseppe. – Nacque a Napoli il 24 marzo 1913, dall’avvocato Michele e da Anna Pellegrino, secondo di quattro figli.
Durante la sua infanzia la famiglia si trasferì a Roma, dove Petrilli compì gli studi superiori classici, conseguendo una prima laurea nel febbraio 1937 in matematica e fisica all’Università La Sapienza e una seconda (ottobre 1954) in scienze statistiche e attuariali. Svolse per qualche anno attività di studio e di insegnamento universitario: prima come ricercatore presso l’Istituto nazionale di alta matematica (INdAM), poi come libero docente di assicurazioni sociali, quindi come professore incaricato di economia e finanza delle imprese di assicurazione presso gli atenei di Perugia e di Roma.
Nel dicembre 1937 vinse il concorso nazionale per attuari all’Istituto nazionale per la previdenza sociale (INPS), dove lavorò sino al gennaio 1949, raggiungendo il grado di attuario capo.
Nel 1939 sposò Angela Roberti, e dal loro matrimonio nacquero Maria Rosaria (22 maggio 1940), Gian Piero (30 maggio 1942) e Annalena (3 settembre 1951). Prestò servizio militare nell’Arma dell’artiglieria, durante la seconda guerra mondiale, ma non venne inviato al fronte e fu congedato con il grado di capitano.
In uno dei suoi curricula dichiarava di aver partecipato all’attività clandestina della brigata G. Matteotti di Roma, costituita in maggioranza da membri di orientamento socialista, ma in cui militavano anche esponenti provenienti da altre forze antifasciste.
Petrilli apparteneva a una famiglia di ferventi cattolici. Lo zio, Raffaele Pio Petrilli (1892-1971), sostituto avvocato generale dello Stato e consigliere di Stato, fu eletto alla Costituente (1946) e poi nelle liste della Democrazia cristiana (DC) alla Camera dei deputati (1948-58); fu ministro della Marina mercantile nei primi anni Cinquanta e poi presidente del Consiglio di Stato (1953-62). Il fratello, Antonio (1916-2001), architetto, fu tra i primi aderenti a Roma al Movimento dei Focolari, fondato da Chiara Lubich nel 1943, e si dedicò alla vita sacerdotale.
Iscritto alla DC subito dopo la guerra, dal 1949 al 1958 Petrilli ne fu prima consigliere nazionale e successivamente membro della Direzione centrale, quale delegato nazionale dei Gruppi d’azienda (GAD). Si avvicinò allora alla linea politico-culturale di Amintore Fanfani e del movimento Civitas Humana, di cui facevano parte Giuseppe Dossetti, Giorgio La Pira e Giuseppe Lazzati; ebbe così modo di maturare una specifica sensibilità verso le tematiche sociali.
Dal 1949 (anno nel quale divenne giornalista pubblicista) al 1957 fu presidente del Consiglio dell’Ordine nazionale degli attuari e dell’Ente nazionale scuole italiane di servizio sociale (ENSISS). Nello stesso 1949 fu nominato presidente dell’Ente nazionale di previdenza per dipendenti da enti di diritto pubblico (ENPDEP); dal 1949 al 1958 fu inoltre presidente dell’Istituto nazionale assistenza malattia (INAM). In quel periodo pubblicò un libro sui temi della sicurezza sociale (La sicurezza sociale, Bologna 1953). Ancora dal 1949 al 1958 fu nel Consiglio di amministrazione dell’Istituto nazionale assicurazioni contro gli infortuni sul lavoro (INAIL) e dal 1957 al 1979 fu membro del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (CNEL).
Al di là dei molteplici incarichi ricoperti, il suo profilo di uomo pubblico fu principalmente contraddistinto dall’impegno nelle istituzioni, nei movimenti europei e dalla lunga presidenza dell’Istituto per la ricostruzione industriale (IRI).
Nel febbraio 1958, su indicazione di Fanfani venne nominato commissario europeo agli Affari sociali nella prima Commissione europea presieduta dal tedesco Walter Hallstein (1958-62). La sua vocazione cattolico-solidarista lo portò a impegnarsi attivamente nelle questioni sociali, anche nel tentativo di superare i riconosciuti limiti delle formulazioni di politica sociale contenute nei Trattati di Roma (1957). Ottenne alcuni risultati significativi con l’approvazione del Regolamento sulla sicurezza sociale dei lavoratori migranti (gennaio 1959), un tema sul quale i governi italiani si erano battuti sin dall’avvio del processo di integrazione, in particolare nell’ambito della Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA). Promosse inoltre l’elaborazione del Regolamento sulla libera circolazione dei lavoratori nella CEE e di quello sul Fondo sociale europeo (maggio 1960) – destinato a divenire uno dei principali strumenti comunitari per il sostegno all’occupazione – di cui Petrilli fu il primo presidente.
Il suo impegno europeista non mancò di esprimersi sul terreno più squisitamente politico. Tra il 1964 e il 1985 presiedette il Consiglio italiano del movimento europeo (CIME), che durante il suo mandato assunse una visione compiutamente federalista e, sanando annose divergenze, accolse posizioni ed esponenti del Movimento federalista europeo, tra i quali Altiero Spinelli e Mario Albertini. In quella veste Petrilli propugnò, anche all’interno della DC, l’elezione diretta e il rafforzamento del Parlamento europeo. La sua leadership si distinse per la qualità delle iniziative che in taluni casi anticipavano temi nodali, come il dibattito sulla moneta europea e le ipotesi di dialogo con l’Est europeo e con l’area del Mediterraneo e pure per l’efficace impulso alla crescita del Movimento europeo.
Il suo ruolo fu riconosciuto in sede internazionale: nel 1967 fu cooptato nel Comitato centrale del Movimento federalista europeo sovranazionale e tra il 1981 e il 1985 fu eletto presidente del Consiglio internazionale del movimento europeo. In quella veste appoggiò la battaglia condotta da Spinelli al Parlamento europeo per l’approvazione del progetto di trattato istitutivo di una unione con marcate caratteristiche federali (1984). Petrilli assunse, inoltre, posizioni favorevoli al rafforzamento di un processo di integrazione che portasse l’Europa a esprimere una propria politica estera e di sicurezza comune, di fronte alle strategie di riarmo inaugurate da Unione Sovietica e Stati Uniti dalla fine degli anni Settanta. In diverse sedi si espresse in favore dell’Europa federale come portatrice di valori che potessero contrastare la cultura della guerra e proporre un nuovo modello di governo.
Nel 1960, ancora per volontà di Fanfani, lasciò l’incarico a Bruxelles e fu nominato presidente dell’IRI (d.p.r. 18 ottobre 1960).
La sua nomina si inseriva in una fase di crescente attenzione del governo e del mondo politico nei confronti dell’Istituto. L’impresa pubblica era considerata, infatti, lo strumento principale delle politiche di sviluppo e, più ampiamente, dell’intervento dello Stato nell’economia. Al tempo stesso, le partecipazioni statali stavano assumendo una più marcata valenza politica ed erano destinate a divenire un fattore importante nella dialettica interna al sistema dei partiti. Il lungo mandato di Petrilli (1960-79) – affiancato dai direttori generali Salvino Sernesi (1956-64), Silvio Golzio (1964-68), Leopoldo Medugno (1968-76), Alberto Boyer (1976-79) – attraversò sia il periodo del ‘miracolo economico’, sia quello della crisi successiva. Furono anni di straordinaria crescita dell’IRI sotto il profilo degli investimenti (molti dei quali destinati al Mezzogiorno) e delle innovazioni tecnologiche e organizzative, tra le quali il centro siderurgico a ciclo integrale di Taranto, la costruzione della rete autostradale, lo sviluppo dell’Alitalia, l’apertura dello stabilimento Alfa Sud a Pomigliano d’Arco presso Napoli, il piano telefonico nazionale con l’introduzione della teleselezione diretta, il riordinamento della cantieristica, la costituzione della SME come finanziaria per lo sviluppo meridionale. La crescita fu accompagnata da un profondo cambiamento nel modello di governance del grande gruppo, che fu sottoposto a un crescente accentramento.
Negli anni Sessanta la ‘formula IRI’ fu considerata all’estero – specialmente in Gran Bretagna – come un modello dinamico di impresa pubblica. Petrilli pubblicò numerosi contributi che mettevano in risalto il ruolo delle imprese del gruppo nell’economia italiana e la loro distintiva capacità manageriale.
Nel volume Lo Stato imprenditore: validità ed attualità di una formula (1967) presentò la discussa concezione dei cosiddetti ‘oneri impropri’ – elaborata da Pasquale Saraceno – secondo cui le imprese dell’IRI non dovevano unicamente seguire criteri imprenditoriali, ma potevano assumere importanti finalità sociali; lo Stato doveva farsi carico dei costi e delle eventuali diseconomie. Era una concezione che apriva la strada a una serie di investimenti progettati con obiettivi occupazionali e di sviluppo, ma spesso condizionati da gruppi e interessi politici.
Negli anni Settanta il rapporto con la politica divenne sempre più stringente per la crescente dipendenza dell’IRI dai fondi di dotazione, erogati dal Parlamento in misura insufficiente e spesso in ritardo rispetto agli imponenti programmi dell’Istituto, sempre più coinvolto in azioni volte ad arginare i costi sociali della recessione industriale. Alla fine del decennio, l’IRI fu sottoposta a forti critiche e l’immagine pubblica di Petrilli in qualche misura offuscata dai cattivi risultati di gestione e dall’emergere di scandali finanziari che coinvolgevano alcune società del gruppo; attaccato dalla stampa, anche con giudizi critici, spesso contrastanti, mantenne tuttavia la presidenza sino al 1979, quando fu eletto senatore nelle liste DC nel collegio di Montevarchi (Arezzo) per l’VIII legislatura (1979-83).
Membro della Commissione permanente Bilancio, della Commissione parlamentare ristrutturazione e riconversione industriale e per i programmi delle partecipazioni statali (sino al 1981), della Giunta per gli affari della Comunità Europea e della Commissione consultiva regolamenti CEE, fu nello stesso periodo vicepresidente dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa e membro dell’Assemblea parlamentare dell’Unione europea occidentale (UEO). Eletto nuovamente senatore nella IX legislatura (1983-87) nel medesimo collegio, fu presidente della Giunta per gli affari della Comunità Europea e membro della Commissione permanente Industria, commercio, turismo. Dal 1978 al 1982 fu segretario generale dell’Unione europea democratico-cristiana (UEDC) – un raggruppamento dei partiti europei di ispirazione democristiana – costituita a Taormina nel 1965, sotto la presidenza di Mariano Rumor.
Dal 1983 divenne membro dell’Associazione italiana per gli studi di politica estera (AISPE), che pubblicava la rivista Affari esteri. Nello stesso anno contribuì alla fondazione del Centro universitario europeo per i Beni culturali di Ravello, di cui divenne consigliere di amministrazione.
Nel 1985 la Procura della Repubblica di Milano chiese al Parlamento l’autorizzazione a procedere contro Petrilli, così come contro altri alti dirigenti dell’IRI (Boyer, Ettore Bernabei, Fausto Calabria, Sergio de Amicis), in relazione ad alcune ipotesi di reato tra cui falso in bilancio e falso in atto pubblico, riguardo alla costituzione di fondi fuori bilancio (i ‘fondi neri’), derivanti da somme che sarebbero state sottratte alla disponibilità di alcune società controllate. Ai dirigenti si contestava di avere predisposto una serie di meccanismi di carattere contabile per occultare fondi, non contabilizzati e non iscritti in bilancio, utilizzati per sovvenzionare partiti e giornali. Nella sua difesa Petrilli sostenne che i fondi erano destinati a ottenere commesse nei Paesi esteri. Nel 1990 fu assolto, per intervenuta prescrizione, dall’accusa di falso in bilancio relativamente agli anni 1974-79; per i fatti successivi al 1979 gli imputati furono assolti con formula piena avendo il Tribunale ritenuto che non avessero commesso il fatto. In seguito, insieme a Boyer, Calabria e de Amicis, Petrilli presentò ricorso in Cassazione al fine di ottenere l’assoluzione con formula ampia, anche per i fatti coperti dalla prescrizione, ma la Suprema Corte lo respinse nel luglio 1992.
Morì a Roma il 10 maggio 1999.
Fu insignito delle onorificenze di cavaliere di Gran croce Ordine al merito della Repubblica italiana (1961) e di cavaliere del Lavoro (1965).
Tra i suoi numerosissimi scritti – 1466 tra articoli su riviste scientifiche e periodici vari, volumi, saggi brevi su temi economici, sociali, previdenziali – Il mattino d’Europa (Milano 1980) ed Europa necessaria e possibile (Bari 1986), che raccolgono testi su temi europei.
Fonti e Bibl.: Sull’impegno europeista si veda l’Intervista rilasciata a Daniela Preda nel marzo 1999 e depositata presso gli Archivi storici dell’Unione Europea, Oral history project (http://archives.eui.eu/en/oral_history/INT590); C.E. Meriano, G. P. europeo, in I movimenti per l’Unità Europea 1970-1986, a cura di A. Landuyt - D. Preda, II, Bologna 2000, pp. 1053-1058; G. P. L’unificazione europea e la pace, in Storia e percorsi del federalismo. L’eredità di Carlo Cattaneo, a cura di D. Preda - C. Rognoni Vercelli, Bologna 2005, pp. 979-1012. Sulla presidenza dell’IRI, D. Felisini, Biografie di un gruppo dirigente (1945-1970), in Storia dell’IRI 1949-1972, II, Il ‘miracolo’ economico e il ruolo dell’Iri, a cura di F. Amatori, Roma-Bari 2012, pp. 151-257; Storia dell’Iri 1973-1989, III, I difficili anni ’70 e i tentativi di rilancio negli anni ’80, a cura di F. Silva, Roma-Bari 2013. Si ricordi che l’Archivio storico IRI, essenziale per la riscostruzione della sua esperienza di imprenditore pubblico – consultabile sia presso l’Archivio centrale dello Stato, sia ‘da remoto’ – costituisce un unicum per consistenza e specificità ed è stato ampiamente utilizzato dalle pubblicazioni più recenti citate in bibliografia.