PETROSELLINI, Giuseppe Antonio Andrea.
– Letterato, librettista, nacque a Corneto, l’odierna Tarquinia, il 30 novembre 1727 da Francesco, terzogenito di Cesare e Caterina Gabrielli, e da Antonia de Benedittis (Tarquinia, Archivio della Cattedrale, Libro dei battesimi 1727-1735, c. 3v).
La formazione culturale di Petrosellini ebbe luogo nel Seminario diocesano di Montefiascone.
Di questo stesso seminario era stato alunno lo zio paterno Domenico Ottavio Petrosellini, nato a Corneto il 10 ottobre 1683: ricevuti gli ordini minori, era entrato in Arcadia (19 dicembre 1705) col nome di Eniso Pelasgo. Nel 1717 insieme a Giovanni Vincenzo Gravina aveva fondato l’Accademia Quirina, in opposizione al Crescimbeni, il che gli ispirò il poemetto satirico Il Giammaria ovvero l’Arcadia liberata, rimasto inedito fino al 1892. Stimato per le qualità di poeta improvvisatore, fu collocato tra gli arcadi illustri ed effigiato su tela dal pittore Vincenzo Milione. Oltre a pubblicare numerosi componimenti poetici editi nelle antologie d’Arcadia, ritoccò in più punti l’autografo del poema Ricciardetto di Niccolò Forteguerri per la prima edizione (Venezia 1738). Domenico Ottavio morì a Roma il 14 maggio 1747.
Giuseppe Petrosellini, acquisito il titolo di abate, seppe ben inserirsi nell’ambiente letterario romano; entrò in Arcadia col nome pastorale di Enisildo Prosindio almeno a partire dal 1752 (cfr. Prose di Michel Giuseppe Morei, Roma 1752, p. 202). Al 1757 risale la prima attestazione di sue opere: due sonetti, stanze e una canzonetta contenuti nelle Adunanze degli Arcadi. In Arcadia fece parte del consiglio direttivo dei Dodici; fu tra i promotori del gruppo scissionista degli Accademici Forti (di questa accademia fu presidente, se si presta fede al manoscritto, non datato, dell’azione sacra Il trionfo della Fede o sia Il miracolo del ss.mo Corporale di Orvieto, conservato nella collezione Rolandi della Fondazione Cini di Venezia). Alcuni componimenti poetici comprovano la sua presenza nell’Accademia Quirina (1761) e in quelle degli Infecondi (1764) e degli Aborigeni (1779), qui col nome di Pindaro Tebano. Si accreditò presso l’aristocrazia romana servendo Benedetto II Giustiniani, principe di Bassano, in veste di segretario e fece parte della famiglia pontificia come cameriere extra (cfr. Notizie per l’anno bisestile 1788, p. 278; e 1792, p. 176). Nei salotti romani fu esaltato come uno dei più sagaci improvvisatori d’Italia; fonti di fine Settecento attestano che Petrosellini conservò anche in età avanzata l’abilità di declamare poesie all’impronta.
La biografia di Petrosellini, scarsamente documentata, si ricostruisce in primis sulla scorta dei suoi libretti d’opera, con l’aggravante che la gran parte di essi non dichiarano l’autore delle parole: è il caso, in particolare, delle prime edizioni dei libretti stampati a Roma per il teatro Valle in forma di «intermezzi in musica», ossia operine buffe di 4-5 personaggi in due parti, da eseguire tra i tre atti di una commedia di parola. In molti casi l’attribuzione a Petrosellini si fonda su edizioni seriori degli stessi drammetti, in altri ancora sulle indicazioni cronachistiche dell’Indice de’ teatrali spettacoli (cfr. Un almanacco drammatico, 1996).
Petrosellini, suggestionato dai drammi giocosi per musica di Carlo Goldoni recitati sui palcoscenici di Roma, avviò l’attività di librettista collaborando con Niccolò Piccinni a ridosso del successo della Buona figliuola (1760). Non è peraltro improbabile che Petrosellini possa essere entrato in contatto diretto con Goldoni, durante il soggiorno romano del commediografo nel 1759, favente la comune appartenenza all’Arcadia o il tramite di Cecilia Mahony Giustiniani, principessa di Bassano, che fu dedicataria tanto della goldoniana Vendemmia (teatro Capranica 1760; nello stesso teatro durante il carnevale 1778 questo libretto fu ridotto a intermezzo a cinque voci col titolo Il marchese di Verde Antico, musiche di Giuseppe Gazzaniga, e nella ripresa padovana del 1782, col titolo Le vendemmie, fu impropriamente attribuito a Petrosellini) quanto del lavoro d’esordio dell’abate romano, gli intermezzi Le vicende della sorte, rappresentati al teatro Valle il 3 gennaio 1761 con musiche di Piccinni (una riscrittura dei Portentosi effetti della madre natura di Goldoni, 1752). Nel 1763 Piccinni tornò a musicare durante il carnevale, per il Valle, altri due intermezzi di Petrosellini – Il cavaliere per amore e Le donne vendicate (che nulla hanno a che fare con l’omonima opera buffa goldoniana) – e in autunno introdusse il librettista nel circuito teatrale veneziano con Le contadine bizzarre (teatro di S. Samuele), un dramma giocoso per musica che nel giro d’una dozzina d’anni conobbe ben 35 riprese in Italia e in Europa (Dresda, Vienna, Praga, Londra). Ancora al S. Samuele i due artisti collaborarono nel carnevale 1764 per L’incognita perseguitata, in assoluto il più fortunato libretto di Petrosellini, specie nell’intonazione che ne diede Pasquale Anfossi nel 1773 al teatro delle Dame di Roma e che registrò una cinquantina di allestimenti fino al 1786 (nel 1787 Ferdinando Robuschi tornò a musicarla per la corte di Parma). Giannetta, l’eroina eponima, assurse al rango di una novella Cecchina, le cui tribolazioni commossero gli spettatori italiani ed europei, sempre più propensi a immedesimarsi nei personaggi della finzione teatrale e ad indulgere al gusto lagrimevole messo in voga dalla Pamela di Samuel Richardson. Analoga fortuna arrise alla Contadina in corte, musicata da Antonio Sacchini (teatro Valle, gennaio 1766), che riduceva in forma di intermezzi a quattro personaggi l’omonimo dramma giocoso, d’incerta attribuzione (Goldoni? Gasparo Gozzi? Niccolò Tassi?; cfr. Rice, 2000, p. 97), rappresentato al S. Moisè nel carnevale 1763 con musica di Giacomo Rust. La paternità del libretto romano è accertata in un sonetto di Petrosellini in morte di Sacchini apparso sull’Antologia romana nell’aprile 1787.
Non si conoscono fonti comprovanti un’attività librettistica di Petrosellini tra il 1766 e il carnevale 1771, quando tornò a collaborare col Valle scrivendo gli intermezzi Le finte gemelle per Piccinni (2 gennaio) e Il barone di Rocca Antica per Carlo Franchi (4 febbraio). L’anno dopo, quest’ultima opera fu nuovamente intonata da Antonio Salieri a Vienna; ad essa allude il Metastasio nella lettera del 27 febbraio 1772 indirizzata al poeta arcade e librettista Gioacchino Pizzi, amico di Petrosellini. La fruttuosa collaborazione con Piccinni terminò nel carnevale 1772 con L’astratto ovvero Il giocator fortunato, messo in scena al S. Samuele di Venezia con ottimo incontro – ebbe più di 25 riprese nell’arco di un decennio e una nuova intonazione (Angelo De Angelis, Klagenfurt e Innsbruck, rispettivamente primavera e autunno 1776) – mentre cadde l’altra opera della stessa stagione, Gl’intrighi amorosi, musica di Baldassarre Galuppi. In assenza di prove documentarie la paternità putativa della Finta giardiniera, dramma giocoso dato alle Dame a Roma nel carnevale 1774 con musica di Anfossi – l’attribuzione è stata avanzata dalla critica mozartiana (cfr. Angermüller, 1978) –, non si può ascrivere a Petrosellini, che mai collaborò direttamente con quel teatro romano e rimase inattivo fino al 1775, quando per la prima volta si cimentò nel genere serio confezionando il «componimento drammatico» Telemaco, rappresentato con musiche di Pietro Guglielmi a Roma nel palazzo Odescalchi del duca di Bracciano il 5 luglio, al cospetto dell’arciduca d’Austria Massimiliano II Francesco.
Lungo gli otto anni successivi l’attività librettistica di Petrosellini fu più regolare, anche se interamente limitata alle produzioni del Valle: Le due contesse per Giovanni Paisiello (3 gennaio 1776), Il ritorno di Don Calandrino per Domenico Cimarosa (carnevale 1778, dedicato alla duchessa Caterina Giustiniani Odescalchi), Il controgenio ovvero Le speranze deluse per Anfossi (carnevale 1778), La partenza inaspettata per Salieri (carnevale 1779); incerta ma plausibile l’attribuzione a Petrosellini anche dell’Italiana in Londra (29 dicembre 1778), tratta da L’Écossaise di Voltaire, che con le note di Cimarosa percorse l’Europa per più di un quindicennio. Il rifacimento napoletano (teatro Nuovo, inverno 1784) del Pittor parigino (Valle, carnevale 1781, musiche di Cimarosa), col titolo Il barone burlato, certifica in nota che l’autore di questa fortunatissima opera buffa fu l’abate romano. L’assenza di conferme documentarie riguarda altre due opere composte, sempre al Valle, per Salieri e per Cimarosa nel 1780 (La dama pastorella, poi rifatta da Lorenzo da Ponte a Vienna nel 1789, sempre per Salieri, col titolo La cifra; e Le donne rivali). Non prima del carnevale 1784 s’incontra di nuovo un libretto uscito per certo dalla penna di Petrosellini: Il regno delle amazzoni, musicato da Agostino Accorimboni nel teatro di corte a Parma. L’anno dopo, Mozart, alla ricerca d’un buon libretto comico da proporre al Burgtheater di Vienna, ne musicò il terzetto dell’introduzione, Del gran regno delle amazzoni, K 434/480b: furono probabilmente gli unici versi di Petrosellini da lui messi in musica.
Certamente non è di Petrosellini il fortunatissimo Barbiere di Siviglia musicato da Paisiello nel 1782 alla corte della zarina Caterina II. Confezionato a Pietroburgo, il libretto, adespoto, è onusto di gallicismi, solecismi, svarioni metrico-lessicali impensabili in un poeta teatrale di consumato mestiere come Petrosellini (cfr. Bianconi, 2006) e presenta vistose anomalie drammaturgiche, come il taglio in quattro atti e l’assenza d’un finale concertato a metà dell’opera. Alla pedissequa traduzione della commedia di Beaumarchais deve aver provveduto un letterato attivo a corte (forse russo?), sicuramente francofono ma poco versato nella poesia italiana. L’attribuzione è tardiva: nel 1867-68 l’editore milanese Lucca pubblicò lo spartito per canto e pianoforte dell’opera di Paisiello e sul frontespizio ne attribuì il testo a ‘Pietro Sellini’ (questa forma storpiata del nome del poeta è attestata in vari libretti dal 1769 in poi); Ricordi ristampò lo spartito nel 1879, e su questa base Francesco Rondinella, collaboratore di Francesco Florimo nella Biblioteca del Conservatorio di Napoli, annotò il nome di Petrosellini sul frontespizio dell’autografo paisielliano: da lì l’erronea attribuzione si è propagata e radicata. Resta da capire perché mai il nome del librettista romano sia comparso nell’edizione Lucca: può darsi che qualcuno abbia impropriamente esteso al Barbiere l’attribuzione delle Due contesse, l’opera buffa romana del 1776 che a Pietroburgo era stata ripresa con successo nel 1778 e circolò poi in Europa fino al 1791.
Un nuovo stallo si registra tra il 1784 e il 1792, l’anno in cui Petrosellini scrisse La famiglia stravagante ovvero Gli amanti comici musicato al Capranica di Roma da Valentino Fioravanti, poi da Giuseppe Nicolini a Parma nel 1793 e da Cimarosa a Crema nel carnevale 1796. La commissione della cantata a due voci In lode delle belle arti (musiche di Giovanni Gavi) eseguita il 2 giugno 1795 in Campidoglio in occasione del Concorso Clementino dell’Accademia di S. Luca dà conferma del prestigio goduto da Petrosellini negli ambienti letterati e accademici romani. Il 26 dicembre di quell’anno al Valle andò in scena I nemici generosi, l’ultima opera scritta per Cimarosa, e il 27 dicembre La dama d’un giorno (musiche di Gaetano Lovari) per la Pallacorda di Firenze, prima e unica commissione fiorentina. Nel 1797, in piena temperie repubblicana, il «cittadino Petrosellini» scrisse L’amore in villa musicato da Pietro Guglielmi per il teatro Argentina.
Molti dizionari musicali hanno assunto il 1797 come terminus post quem per la morte di Petrosellini; ma risale al 1801 l’ultimo libretto noto, L’inganno cade sopra l’ingannatore, intonato da Fioravanti e allestito il 12 settembre al Valle, poi replicato nel 1803 a Macerata e nel teatro di Pietrapiana a Firenze (dove il nome del librettista è esplicitato senza la formula «del fu», di norma riservata agli autori defunti da poco). Ricerche di necrologi apparsi sui fogli romani sono state infruttuose, e si può solo presumere che il librettista sia morto entro il primo decennio dell’Ottocento.
Dall’esame dei libretti attribuibili con certezza a Petrosellini emerge una qualità di scrittura drammatica notevole e uno stile fortemente personale, differenziato tanto da Goldoni, che pur costituiva il modello di riferimento obbligato, quanto dalla commedia per musica coltivata in una città, Napoli, che peraltro restò piuttosto impermeabile ai drammi del librettista romano (vi vennero ripresi soltanto due lavori di Piccinni, L’incognita perseguitata di Anfossi e il citato rifacimento del Pittor parigino). I testi della fase d’esordio rispettano appieno le convenzioni degli «intermezzi» in uso a Roma, importante sottogenere che, in virtù dell’esiguo numero di personaggi, presentava finali d’atto col cast vocale al completo (mentre i drammi giocosi goldoniani ne escludevano di regola i personaggi nobili) ed esibiva un dinamismo scenico e attoriale ricalcato, v’è da credere, sul tenore delle commedie di parola che essi inframezzavano (dal repertorio dell’Arte si spiegherebbero le esorbitanti ‘tirate’ delle arie dei bassi ‘caricati’). La natura modulare e proteiforme intrinseca agli intermezzi romani ne consentì da un lato la dilatazione in dramma giocoso, e ne facilitò dall’altro l’esportazione in altri ambienti teatrali – come quello veneziano che intorno al 1770 adottò gli intermezzi, talora con recitativi in prosa, o quello fiorentino negli anni 1780-90 – e nelle corti d’Oltralpe. Quando, viceversa, Petrosellini si trovò a dover contrarre nelle dimensioni standard degli intermezzi un’opera buffa in piena regola, attuò vere e proprie riscritture che mantenevano esili legami col testo di partenza. La sapiente caratterizzazione dei personaggi, la schiettezza della comicità e il continuo gioco di contrasti linguistici spiccano nella Contadina in corte e nell’Incognita perseguitata, che non a caso godettero di vastissima circolazione. I lunghi periodi di silenzio che a quanto pare intervallarono la produzione petroselliniana inducono a pensare che il pastore arcade coltivasse l’attività teatrale come un impegno secondario. Future ricerche d’archivio potrebbero però dimostrare che l’abate romano fu alle dipendenze del teatro Valle in modo continuativo ancorché anonimo. La fase matura dell’iter di Petrosellini coprì gli anni Ottanta e Novanta del Settecento e registrò una certa qual normalizzazione versificatoria (scomparvero le lasse e le polimetrie degli esordi) e una maggiore eleganza nell’articolare le unità sceniche. L’ottonario si offrì come metro prediletto, e i finali d’atto coprirono un’unica scena per una media assestata intorno alla settantina di versi. Esito estremo di questo recupero della misura dell’opera buffa goldoniana è La famiglia stravagante, uno dei suoi libretti più raffinati sia per la pluralità dei registri stilistici impiegati, sia per la gustosità delle gags e dei continui rimandi metateatrali.
Petrosellini ebbe un nipote, Vincenzo, che scrisse due oratorii, il secondo dei quali, Gefte (Roma 1832), reca una dedica al cardinal Giacomo Giustiniani: vi celebra la memoria dello zio paterno, ancora all’epoca menzionato come alfiere della «buona poesia melodrammatica».
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