PIZZARDO, Giuseppe
PIZZARDO, Giuseppe. – Nacque a Savona il 13 luglio 1877 da Francesco, segretario della Camera di commercio della città ligure, e da Carmelita Manara.
Compiuti brillantemente gli studi classici nella città natale, si iscrisse all’Università di Genova, dove conseguì la laurea in giurisprudenza. Negli anni della giovinezza fu attivamente impegnato nell’Azione cattolica. Dopo la laurea, Pizzardo entrò nel seminario di Savona perfezionando poi la formazione a Roma alla Pontificia Università Gregoriana e all’Apollinare, dove si laureò in teologia e in diritto canonico. Il 19 settembre 1903 ricevette l’ordinazione sacerdotale.
Negli anni di studio, Pizzardo fu alunno del seminario lombardo, di cui divenne vicerettore, contribuendo a mantenere il modello di rigorosa formazione ascetica che caratterizzava l’istituzione anche nell’incipiente temperie modernista. Frequentò poi l’Accademia dei nobili ecclesiastici, che gli aprì la strada per entrare, nel 1908, al servizio della S. Sede. Nel 1909 fu destinato come segretario alla nunziatura di Monaco di Baviera, dove rimase fino al 1912. Il ‘guerrone’ fu il contesto su cui si misurò Pizzardo nel successivo incarico in segreteria di Stato agli Affari ecclesiastici straordinari, prima come minutante (1912-19), poi come sottosegretario (1919-21).
La congregazione conobbe, in quel frangente, il fisiologico assestamento in seguito alla riforma della Curia promossa da Pio X. La segreteria di Stato si trovò in questo modo a fronteggiare il tornante della Grande Guerra con le sue disastrose conseguenze attraverso un numero ridotto di officiali, che operavano in «partecipazione diretta e intima, sempre anonima al governo della Chiesa» (Casula, 1988, p. 423).
Nel 1921 Pizzardo fu promosso da Benedetto XV come sostituto della segreteria di Stato, carica in cui fu confermato da Pio XI fino al 1929. In questa veste, grazie anche ai rapporti confidenziali con il nunzio Eugenio Pacelli, al quale si legò strettamente, si interessò particolarmente della situazione della Germania. A margine della Conferenza di Genova del 1922, che doveva definire la ripresa delle relazioni dei Paesi europei con la Russia, Pizzardo fu incaricato senza successo di trattare con la delegazione per trovare un accordo sulla tutela dei cattolici in Russia. L’esperienza servì comunque per accreditarlo come membro della speciale commissione pro Russia, istituita nel 1925 e di cui nel 1934, dopo la revisione operata, sarebbe divenuto presidente.
Pizzardo poté seguire la formazione delle carriere di ecclesiastici destinati a incarichi importanti dall’osservatorio privilegiato dell’accademia, dove tenne gli insegnamenti di diplomazia ecclesiastica ed economia politica.
Il suo ruolo divenne più rilevante con la nomina, nel 1922, ad assistente ecclesiastico della giunta centrale dell’Azione cattolica italiana, in coincidenza con l’avvio della riforma voluta da Pio XI, per conferirle maggiore «unità», a «perfetta disposizione della Gerarchia», da spendere in presa diretta con il disegno di riportare lo «spirito cristiano [...] in tutta la società» (L’Azione cattolica, discorso al Congresso dell’Unione internazionale delle leghe femminili, Roma 1930, pp. 6 s.).
Nel duplice ruolo, si interessò della crisi italiana che portò all’avvento del regime fascista, adoperandosi per evitare sovrapposizioni tra l’Azione cattolica e il Partito popolare, che fu sostanzialmente abbandonato al suo destino, non senza averne prima criticato l’«asserita aconfessionalità» e ostacolato il progetto di alleanza con il Partito socialista.
Nel 1929 Pizzardo fu promosso segretario della congregazione degli Affari ecclesiastici straordinari, rimanendo in carica fino al 1937. Consacrato vescovo nel 1930, nel corso del mandato Pizzardo si occupò di diverse questioni pendenti, dalla situazione delle chiese nell’Europa orientale, esposta all’influsso comunista, ai rapporti con l’Inghilterra, passando attraverso le delicate relazioni interconfessionali, fino alla situazione che si stava creando in Spagna con la guerra civile. Fu presente alla firma del concordato con la Germania, nel 1933, dopo che le trattative avevano subito un’accelerazione con la nomina di Adolf Hitler a cancelliere. Sul versante italiano, Pizzardo, assecondando gli orientamenti di Pio XI, fu favorevole alla difesa a oltranza dell’associazionismo giovanile nello scontro con il regime del 1931 senza tuttavia spingersi fino alla rottura. A più riprese si fece garante del mantenimento degli accordi del settembre successivo che ricucivano lo strappo. In particolare, nella tensione intervenuta nel 1936 per il processo di nazionalizzazione dell’Azione cattolica, lavorò per «dissipare al più presto qualsiasi ombra possa nuocere alle relazioni di fiducia che la S. Sede intende mantenere col Governo Italiano» (Casula, 1988, pp. 125 s.). Si adoperò quindi per «tranquillizzare» Pio XI, che si mostrava irritato, nella fase montante della nuova crisi del 1938 tra l’Azione cattolica e il regime (Malgeri, 2010, p. 181).
Nel frattempo, nel Concistoro del 1937, fu creato cardinale, per essere nominato nel 1938 presidente dell’Ufficio centrale per l’Azione cattolica, l’organismo appena costituito per coordinare le associazioni nazionali di tutto il mondo, e per essere destinato nel 1939 come prefetto alla congregazione dei Seminari e delle Università degli studi. Nello stesso anno fu attivamente coinvolto nella fondazione dell’istituto superiore di magistero Maria Ss. Assunta, costituito con il sostegno di Pio XII da Luigia Tincani.
L’esperienza maturata nel controllo dell’apostolato dei laici permise a Pizzardo di orientare le scelte cruciali che riguardarono l’Azione cattolica, dalla revisione statutaria del 1939 alla successiva riforma del 1946. Nel dopoguerra influì sulle nomine ai vertici, trovando una consonanza sempre più profonda con Luigi Gedda, che nel 1952 avrebbe assunto la presidenza generale. Fu Pizzardo a premere su Pio XII, che poi gli conferì l’incarico ad personam di controllarne gli sviluppi, per sostenere i comitati civici, che egli stesso appoggiava in modo «inafferrabile» (Gedda, 1998, p. 120).
All’indomani della vittoria alle elezioni del 18 aprile 1948, Pizzardo fu il tramite della decisione di mantenere in vita i comitati civici, attivandosi per stabilire un legame con i vescovi. La sua influenza presso Pio XII andò crescendo a discapito delle tendenze maggiormente rispettose dell’autonomia della politica (Riccardi, 1993, p. 91). Nella stagione pacelliana, Pizzardo fu coinvolto in quello che Carlo Falconi definì il «Pentagono vaticano», il nucleo di porporati che esercitava l’influsso più significativo nella Curia romana, arrivando a essere membro di ben sette congregazioni e componente di quattro commissioni, tra cui quelle per lo Stato della Città del Vaticano, per l’Amministrazione dei beni della S. Sede e per la vigilanza dell’Istituto per le opere di religione.
Nel 1951 fu nominato segretario del S. Uffizio, guidando la congregazione con polso fermo. Un particolare accanimento fu diretto nei confronti di don Primo Mazzolari, a cui già nel 1951 fu proibita la pubblicazione di scritti senza una severa revisione ecclesiastica e la predicazione fuori diocesi senza l’autorizzazione dell’ordinario. Nel 1952 intervenne su Nomadelfia per allontanare il fondatore don Zeno Saltini, proibendone la ricostituzione e ingiungendo il rientro dei sacerdoti che erano stati costretti a lasciarla. Nel 1953 ci fu la proibizione per i seminaristi di compiere in fabbrica periodi di lavoro, a cui seguì l’anno successivo la chiusura del seminario della Mission de France, mettendo temporaneamente fine all’esperienza dei preti operai. Nello stesso anno, intervenne nella crisi ai vertici della Gioventù italiana di Azione cattolica, concorrendo ad affossare l’innovativa esperienza della presidenza di Mario Rossi, che aveva avanzato «una pretesa autonomia assolta dall’Autorità ecclesiastica, fino a mettere in discussione i limiti dell’obbedienza dovuta ad essa ed allo stesso Sommo Pontefice» (ibid., p. 72). Fu tra gli artefici del trasferimento di Giovanni Battista Montini, che aveva difeso Rossi, da Roma.
Nel 1955 cominciarono anche le pressioni della ‘suprema’ nei confronti di padre Ernesto Balducci, che poi portarono al suo allontanamento da Firenze. Pressoché contemporaneamente la congregazione vaticana si mosse nei confronti della Corsia dei servi, animata a Milano da padre David Maria Turoldo e padre Camillo De Piaz, che fu indotta a un ridimensionamento delle attività. Nel 1957 inviò una circolare con cui si imponeva di ritirare dalle biblioteche delle istituzioni educative del futuro clero le opere di Teilhard de Chardin. Nel 1958, dopo aver promosso un’indagine, il S. Uffizio ordinò il ritiro dal commercio di Esperienze pastorali di don Lorenzo Milani.
Il protagonismo su queste frontiere derivava dalla netta chiusura verso le manifestazioni della modernità, come mostra l’orazione alla giornata indetta dalla Pontificia Accademia teologica nel 1957 per commemorare il cinquantesimo anniversario dell’enciclica antimodernista di Pio X Pascendi Dominici gregis, in cui Pizzardo, che ne era presidente, mise in guardia dai rischi presenti «anche ai nostri giorni» (Divinitas, II (1958), 1).
La normalizzazione, avviata da Giovanni XXIII per ripristinare il funzionamento del governo della Curia, portò immediatamente frutti: Pizzardo fu il primo a rinunciare, nel 1959, al dicastero del S. Uffizio. Il colpo di coda fu, comunque, il documento a sua firma con cui si imposero condizioni ancora più restrittive all’esperienza dei preti operai.
Il suo votum per il Concilio Vaticano II risulta intriso di toni pessimistici sulla diminuzione della pietà e sul decadimento dei costumi nel popolo cristiano. Nella commissione centrale al lavoro nella fase preparatoria si trovò ad appoggiare la linea del cardinale Alfredo Ottaviani. Come responsabile della congregazione dei Seminari, prima ancora che il Vaticano II iniziasse, il cardinale gettò uno sguardo preoccupato al calo delle vocazioni e all’eccedenza del numero dei preti deceduti su quelli ordinati (Sguardo d’insieme alla situazione delle vocazioni ecclesiastiche in Italia e nel mondo, in Seminarium, n.s., I (1961), 2, pp. 190-198). Il rimedio rimaneva la «virtù dell’obbedienza», a cui doveva essere improntata la formazione del clero, come aveva fermamente sottolineato in Ancora non è spenta, la lettera della congregazione scritta nel 1959 in occasione del centenario della morte del ‘Curato d’Ars’ (Jean-Marie Vianney).
Sempre più a disagio nel nuovo clima, al conclave del 1963 Pizzardo si mosse inutilmente per bloccare Montini, finendo poi per seguire stancamente la conclusione del Vaticano II. Anche se rimase in carica come prefetto della congregazione dei Seminari fino al 1968, si dedicò prevalentemente alla cura della diocesi suburbicaria di Albano, assunta fin dal 1948, che aveva coltivato promuovendo, tra l’altro, la Rivista diocesana (1948), il Congresso mariano (1954), la visita pastorale e il sinodo (1958). Per raggiunti limiti di età, nel 1966 dovette rinunciare alla diocesi.
Morì a Roma il 1° agosto 1970 e fu sepolto, per sua espressa volontà, nella chiesa di S. Giuseppe di Frattocchie, di cui aveva sollecitato la costruzione.
Fonti e Bibl.: Il materiale documentario relativo a Pizzardo si trova nell’Archivio segreto Vaticano, consultabile solo fino al pontificato di Pio XI, e nei fondi dell’Istituto per la storia dell’Azione cattolica e del movimento cattolico in Italia Paolo VI.
Gli scritti pubblicati sono esclusivamente d’occasione. In assenza di un profilo d’insieme, ci si deve rifare principalmente ai seguenti studi: C. Falconi, Il Pentagono vaticano, Bari 1958 (Milano 2008); L. Gedda, Il cardinale G. P., Roma 1970; C.F. Casula, Domenico Tardini (1888-1961). L’azione della Santa Sede nella crisi fra le due guerre, Roma 1988, passim; A. Riccardi, Il potere del papa. Da Pio XII a Giovanni Paolo II, Roma-Bari 1993, passim; M. Guasco, Storia del clero in Italia dall’Ottocento a oggi, Roma-Bari 1997, passim; L. Gedda, 18 aprile 1948. Memorie inedite dell’artefice della sconfitta del Fronte Popolare, Milano 1998, passim; A. Riccardi, Il «partito romano». Politica italiana, Chiesa cattolica e curia romana da Pio XII a Paolo VI, Brescia 2007, passim; F. Malgeri, Pio XI e l’Azione cattolica, in La sollecitudine ecclesiale di Pio XI, a cura di C. Semeraro, Città del Vaticano 2010, pp. 149-182; G. Chamedes, Contro il totalitarismo di Stato. Il cardinal Pizzardo e l’internazionalizzazione dell’Azione cattolica, in Le gouvernement pontifical sous Pie XI. Pratiques romaines et gestion de l’universel, a cura di L. Pettinaroli, Roma 2013, pp. 359-377.