POERIO, Giuseppe
POERIO, Giuseppe. – Nacque a Belcastro, in Calabria, il 5 gennaio 1775 da Carlo e da Gaetana Poerio, primogenito di sette figli. La famiglia era ascritta al patriziato di Taverna e il padre, autore di poesie e orazioni, era esponente della massoneria locale. Giuseppe frequentò a Catanzaro il collegio dei nobili e il regio liceo, dove fu influenzato dall’insegnamento del matematico e futuro repubblicano Vincenzo De Filippis. Sviluppò una precoce predilezione per le discipline legali e, dotato di spiccate doti oratorie, patrocinò sedicenne la sua prima causa; nel 1795 fu scelto come difensore dal preside della Provincia, Vincenzo Dentice, che difese con successo nel foro della capitale.
A Napoli visse, con il fratello Leopoldo, in una casa ai Guantai e si avvicinò agli ambienti che simpatizzavano per le idee rivoluzionarie, tuttavia fino al 1798 le sue frequentazioni non richiamarono l’attenzione degli organi di polizia. Negli stessi anni conobbe la futura moglie, Carolina Sossisergio, figlia di un ufficiale borbonico, magistrato di Terra d’Otranto (Lecce): le lettere inviate a lei in questo periodo forniscono informazioni sulle sue attivi;tà e aspirazioni politiche, oltre che sulla sua passione per Goethe e la letteratura preromantica.
Ai primi di gennaio 1799 raggiunse a Capua le armate francesi guidate da Jean-Étienne Championnet, che lo inviò come emissario nella capitale per negoziare con il Corpo di città, rimasto sola autorità dopo la fuga dei sovrani e di Francesco Pignatelli. Fallite le trattative con gli Eletti, Poerio prese contatti con i membri del club patriottico, che di lì a poco nella fortezza di S. Elmo avrebbero proclamato la repubblica. Il 21 gennaio entrò in città insieme alle truppe francesi battendosi con la plebe insorta e, secondo la testimonianza di Francesco Pignatelli, principe di Strongoli (Cortese, 1927, p. 31), fu tra coloro che persuasero i nuovi venuti ad astenersi da saccheggi e rappresaglie. Svolse un ruolo di raccordo tra i francesi e i repubblicani napoletani e a marzo fu inviato dal governo in Calabria meridionale per sostenerne la democratizzazione. Tuttavia dovette fermarsi a Cosenza, poiché la provincia era già in mano alle armate del cardinale Fabrizio Ruffo, e, resosi conto che la difesa delle municipalità repubblicane era impresa disperata, tornò precipitosamente a Napoli, dove prese parte alla difesa militare della città. Fu compreso nella capitolazione negoziata da Ruffo con i repubblicani ma, rotti i patti da parte dei sovrani, fu arrestato e condannato a morte dalla giunta di Stato; il re commutò la pena in ergastolo, da scontare nella fossa di S. Caterina a Favignana.
Per effetto della pace di Firenze fu liberato nel giugno 1801 e raggiunse i Sossisergio in Terra d’Otranto per sposare Carolina, da cui ebbe tre figli: Alessandro, Carlo e Carlotta. La coppia si stabilì nella capitale, dove Poerio riprese a esercitare l’avvocatura e, secondo i rapporti della polizia, a frequentare circoli di ex rivoluzionari.
Con l’arrivo di Giuseppe Bonaparte a Napoli, nel marzo 1806 fu nominato intendente di Capitanata e Molise e in questa veste intraprese un’esplorazione del promontorio garganico, dove imperversavano violenze e banditismo. Fu estromesso dalla carica nell’aprile del 1807 perché giudicato arrendevole di fronte alle estorsioni di un generale francese (Barra, 1981, p. 186), ma sotto Gioacchino Murat tornò a ricoprire incarichi di rilievo: fu sostituto procuratore presso la Gran Corte di cassazione, quindi procuratore generale della stessa, relatore presso il Consiglio di Stato e membro della commissione incaricata di tradurre il codice penale francese; presiedette anche la Commissione delle prede marittime, creata dal sovrano per impedire l’introduzione di prodotti inglesi. Nel 1809 e nel 1810 venne inviato in Calabria per contrastare le insurrezioni antifrancesi.
Con l’occupazione dei dipartimenti italici meridionali da parte dell’esercito murattiano, nel 1814 fu inviato a Bologna come commissario per i territori tra il Tronto e il Po; tornò quindi a Napoli per presiedere la giunta per la riforma del codice penale. Nel giugno di quell’anno in Consiglio di Stato ebbe uno scontro con Pierre-Joseph Briot intorno alla norma che riservava le alte cariche ai napoletani. Nei primi mesi del 1815 fu tra coloro che esortarono Murat a concedere una costituzione e secondo Angela Valente (1965, p. XIV) fu tra gli estensori del proclama di Rimini, con cui il re napoletano tentò di presentarsi come alfiere dell’indipendenza dei popoli italiani.
Al ritorno di Ferdinando IV, Poerio fuggì da Napoli e perciò fu destituito dai suoi incarichi ed esiliato. Fu per alcuni mesi a Parigi e nel 1816 ebbe il permesso di stabilirsi a Firenze, dove si ricongiunse con la moglie e i figli. In Toscana si sostenne offrendo consulenza legale ed entrò in contatto con importanti esponenti della vita culturale e artistica, riuniti nel salotto di Luisa di Stolberg, contessa d’Albany. Alla fine del 1818 poté ritornare nel Regno, riprese l’attività forense e fu nominato avvocato dei poveri presso la Gran Corte militare.
Allo scoppio dei moti del 1820 fu inviato dal principe vicario Francesco a trattare con le truppe ammutinate di Guglielmo Pepe, di cui era amico; in settembre fu eletto al Parlamento nazionale e fece parte della Commissione di guerra e affari esteri. Per il suo passato e per le sue capacità oratorie fu uno dei deputati più influenti: esponente della frazione moderata, sostenne la necessità di mantenere buoni rapporti con la monarchia, tanto da essere accusato (Pepe, 1847, p. 239; La Cecilia, 1946, pp. 20 s.) di aver indotto l’assemblea ad accordare ingenuamente il permesso di partire per il Congresso di Lubiana al re, che in quella sede invocò l’intervento armato dell’Austria e rinnegò il giuramento costituzionale. All’ingresso degli austriaci a Napoli, il 24 marzo 1821 lesse in un Parlamento semivuoto la protesta contro l’invasione straniera e la rottura dei patti. Il 13 aprile fu arrestato per ordine del principe di Canosa e, sebbene giudicato innocente, il 5 agosto fu mandato in esilio a Graz. L’amarezza per questa seconda espulsione lo accompagnò a lungo: «L’aver difeso l’onor Nazionale» – avrebbe scritto al fratello Raffaele il 17 dicembre 1827 – «con le sole armi che mi avevano dato le Leggi mi fu attribuito a delitto» (Archivio di Stato di Napoli, Archivio Poerio-Pironti, Parte III, b. 1).
Nel maggio 1824 poté trasferirsi a Firenze, dove rimase oltre sei anni e dove si ricongiunse con la famiglia e con la ‘colonia’ degli esuli napoletani (Pietro Colletta, cui era legato da fraterna amicizia, Gabriele Pepe, Carlo Troya, Matteo Imbriani) e instaurò intensi rapporti con i liberali (in particolare con Gino Capponi, Pietro Giordani, Niccolò Tommaseo) e con eminenti stranieri di passaggio (Alphonse de Lamartine, Friedrich Carl von Savigny); inoltre avviò uno studio di consulenza legale.
Gli eventi del 1830 indussero il governo granducale a espellere alcuni rifugiati, tra cui Poerio, sospettato di aver indotto Capponi a dimettersi da ciambellano (Croce, 1917, p. 266). A novembre lasciò la Toscana con il figlio Alessandro – la moglie era rimpatriata due anni prima con Carlo e Carlotta per occuparsi delle sostanze familiari, dissestate a causa del lungo esilio – e si stabilì a Parigi, dove si legò ai circoli orleanisti e a influenti personaggi della vita politica e culturale, da Gilbert du Motier de La Fayette a Antoine Destutt de Tracy. Insieme con Francesco Paolo Bozzelli fondò un periodico letterario e scientifico, la rivista Bibliotèque française et étrangère. Frequentò inoltre gli ambienti degli esuli italiani (Francesco Saverio Salfi, Terenzio Mamiani, Cristina Trivulzio di Belgioioso) e agli inizi del 1831 cercò di opporsi all’indirizzo repubblicano e unitario che Filippo Buonarroti aveva dato alla loro azione e di dissuaderli dal disegno d’innescare la rivoluzione in Piemonte.
Durante i tre anni di esilio parigino fu a Londra e a Bruxelles, dove venne accolto dagli ambienti liberali; nell’estate del 1833 ottenne da Ferdinando II il permesso di rimpatriare, non esteso però al figlio Alessandro. A Napoli riprese l’attività forense ma, sorvegliato dalla polizia borbonica, si tenne lontano dalla vita politica, pur restando un riferimento per i giovani liberali, alcuni dei quali si formarono nel suo studio legale. In quegli anni proseguì gli scambi con pensatori e giuristi europei come Savigny, Alexander von Humboldt e Carl Joseph Mittermaier, e lavorò a un trattato di diritto comparato, concepito sin dagli anni dell’esilio, senza tuttavia concluderlo.
Gli ultimi anni furono angustiati non soltanto da problemi di salute, ma anche dalle sventure toccate a diversi suoi congiunti attivi nei movimenti costituzionali. Secondo la testimonianza del figlio Carlo «mantenne costante la fede politica de’ primi suoi anni», tuttavia «manifestò il dubbio di aver errato nel 1799, quando con gli altri aggiustò fede alle promesse de’ forestieri, poiché (diceva) l’esempio della Spagna l’aveva ammaestrato» (Poerio, 1882, p. 3).
Morì a Napoli il 15 agosto 1843.
Fonti e Bibl.: Buona parte delle carte relative a Poerio sono in Archivio di Stato di Napoli, Archivio Poerio-Pironti, Parte I, bb. 1-6, Parte III, b. 1; altri documenti sono presso la Società napoletana di storia patria, XXI.A.2, XXVI.B.5, XXX.A.7, XXX.A.8. Lettere di e a Poerio e di suoi familiari sono state pubblicate da B. Croce, Lettere inedite di P. Colletta a G. P., in Archivio storico per le province napoletane, XXXIV (1909), pp. 118-134, 319-331, 498-539, XXV (1910), pp. 349-387, 501-543; Id., Lettere e documenti tratti dalle carte di G. P., ibid., n.s., II (1916), vol. 41, pp. 541-579, III (1917), vol. 42, pp. 126-156, 234-278; lo stesso Croce ne ha tratto materiale per l’accurata biografia in Una famiglia di patrioti (1919), a cura di G. Galasso, Milano 2010. Cfr. inoltre Archivio di Stato di Napoli, Ministero Esteri, bb. 5420/123, 5459/162; Ministero Interni, bb. 2231, 5077; Ministero Polizia generale, Gabinetto, bb. 108/2, 136/14. G. Pepe, Memorie del generale G. Pepe…, II, Parigi 1847, pp. 239 s., 460; F. Nicolini, Nicola Nicolini e gli studii giuridici nella prima metà del secolo XIX. Scritti e lettere…, Napoli 1907, ad ind.; Atti del Parlamento delle Due Sicilie, 1820-21, I-III, Bologna 1926-28, passim; N. Cortese, Memorie di un generale della Repubblica e dell’Impero, II, Bari 1927, pp. 21, 31, 54, 155, 170, 244; Id., La condanna e l’esilio di Pietro Colletta, Roma 1938, passim; G. La Cecilia, Memorie storico-politiche (1878), a cura di R. Moscati, Milano 1946, ad ind.; M. Battaglini, Atti, leggi, proclami ed altre carte della Repubblica Napoletana, I-III, Salerno-Catanzaro 1983, pp. 394, 488, 668, 1309; C. De Nicola, Diario napoletano, 1798-1825, I-III, a cura di R. De Lorenzo, Napoli 1999, ad indicem.
C. Poerio, Vita di G. P. scritta dal figliuolo Carlo nel 1843, in Giornale napoletano della domenica, 5 marzo 1882, pp. 1-3; B. Croce, La Rivoluzione napoletana del 1799 (1899), a cura di C. Cassani, Napoli 1998, pp. 387 s.; P. Colletta, Storia del Reame di Napoli, I-III, a cura di N. Cortese, Napoli 1951, ad ind.; A. Zazo, G. P. e il brigantaggio in Molise, in Samnium, XXIV (1951), pp. 157-177; G. Cingari, Giacobini e sanfedisti in Calabria nel 1799, Messina-Firenze 1957, pp. 142, 158, 225, 240 s., 259, 267; A. Valente, Gioacchino Murat e l’Italia meridionale, Torino 1965, pp. XIV, 371-375 e passim; A. Lepre, La rivoluzione napoletana del 1820-1821, Roma 1967, ad ind.; F. Barra, Cronache del brigantaggio meridionale, 1806-1815, Salerno-Catanzaro 1981, pp. 185-205, 321-332; A. Scirocco, L’Italia del Risorgimento, Bologna 1993, pp. 109, 134, 170, 174; A.M. Rao - P. Villani, Napoli 1799-1815, Napoli [post 1994], pp. 198, 205, 214, 253, 283; A. Spagnoletti, Storia del Regno delle Due Sicilie, Bologna 1997, pp. 41, 104, 131, 193; M. Isabella, Risorgimento in esilio, Roma-Bari 2011, p. 26; R. De Lorenzo, Borbonia felix, Roma 2013, pp. 85-96, 199.