POGGI, Giuseppe
POGGI, Giuseppe. – Nacque a Firenze il 3 aprile 1811, da Giovan Pietro, notaio, avvocato e magistrato, e da Anna Mazzoni; fu fratello di Girolamo (1803-37), giureconsulto e magistrato; Enrico (1812-90), anch’egli avvocato, poi membro del governo provvisorio della Toscana, presidente di Cassazione e senatore del Regno d’Italia; Teresa, moglie del magistrato Giuseppe Puccioni; e Carlo, il più giovane, analogamente avviato alla carriera legale, morto nel 1843. Giuseppe studiò dapprima presso le Scuole pie dei padri scolopi in Firenze. «L’avversione al latino, e la buona disposizione alla geometria» (Poggi, 1909, p. 4) indussero suo padre a indirizzarlo alle professioni tecniche; iniziò quindi la pratica professionale presso lo studio di Bartolomeo Silvestri e, nel contempo, perfezionò privatamente il disegno di figura con i pittori Andrea Pierini e Benedetto Servolini.
Durante gli otto anni trascorsi presso il Silvestri si dedicò allo studio e alla misurazione di monumenti ed edifici fiorentini, nel mentre seguiva i corsi di prospettiva, chimica, fisica e botanica della locale Accademia di belle arti.
Terminato l’apprendistato nel 1835, Poggi si diede dapprima, senza esito, alla ricerca di un impiego; quindi esercitò per alcuni anni e con un certo successo la professione di perito ingegnere, avvalendosi dell’appoggio e della clientela paterna.
Nel 1837 soggiornò in Maremma presso la sorella Teresa. Durante la permanenza redasse una serie dettagliata di disegni e annotazioni di carattere paesaggistico come meramente tecnico; dal 1839 e per il successivo decennio, tuttavia, «da naturale inclinazione portato», si dedicò ai lavori architettonici, «sebbene meno lucrosi e più soggetti a censure» (ibid., p. 6).
Nel settembre 1845 intraprese una sorta di grand tour europeo nel corso del quale toccò numerose destinazioni: fu a Roma, Venezia, Vienna, Ginevra, Losanna, Londra e Parigi; interessato «alle soluzioni urbanistiche ed alle nuove architetture, più che alla storia» (R. Manetti, G. P. architetto. L’immagine di una capitale, in Una capitale e il suo architetto, 2015, p. 172), con ogni probabilità poté attingervi ispirazione anche in merito al ruolo del verde nella progettazione urbana.
Negli anni seguenti iniziò a frequentare gli ambienti liberali e patriottici e, nel settembre 1847, prese parte alla grande dimostrazione tenutasi in piazza Pitti allo scopo di chiedere al granduca la promulgazione delle riforme. Nel 1848, con l’amico Giuseppe Barellai, prese parte come volontario alla prima guerra d’indipendenza; aggregatosi come ufficiale al corpo del genio civile, assunse la direzione dei lavori di allestimento del campo di Montanara. Alcuni anni dopo avrebbe elaborato il progetto per il monumento ai caduti di Curtatone, in forma di colonna di marmo di Verona, realizzato sotto la direzione dell’architetto mantovano Giovanni Cherubini e inaugurato il 29 maggio 1870 (Poggi, 1909, pp. 8 s.).
Al termine della campagna, deciso a non proseguire la carriera militare, Poggi fece ritorno a Firenze e all’attività professionale che riprese proficuamente, tanto da potersi permettere di rifiutare importanti commesse: incaricato dalla direzione della Società anonima delle strade ferrate livornesi della progettazione degli edifici e delle stazioni da collocarsi lungo i tracciati sotto la supervisione dell’ingegnere britannico William Bray, vi rinunciò a motivo dell’impossibilità di decidere autonomamente in merito allo stile architettonico delle fabbriche, concepite dal Bray secondo linee barocche in generale giudicate non convenienti (ibid., p. 10).
Il linguaggio del giovane Poggi fu improntato a un sobrio classicismo, vicino, per pulizia delle linee e degli ornati, all’architettura dell’antichità greco-romana e in certo modo anche a Pasquale Poccianti, allora forse il maggior architetto della scuola toscana, verso il quale nutrì sentimenti di grande ammirazione e stima.
Tra i lavori eseguiti in quegli anni e fino al 1865, allorché si dedicò interamente all’«ingrandimento» della città di Firenze, proclamata capitale del Regno d’Italia, furono numerosi gli interventi di realizzazione ex novo o di ampliamento e riduzione di palazzi gentilizi, che gli procurarono notevole fama presso la classe aristocratica e altoborghese fiorentina.
La sistemazione della villa di proprietà del conte Giuseppe Archinto alle Forbici, nei dintorni di Firenze (1839), costituì, a detta dello stesso Poggi (ibid., p. 79), la sua prima «commissione architettonica». La residenza fu interamente modificata nell’articolazione mediante l’eliminazione delle corti interne e la creazione di un loggiato al pianterreno sormontato da una terrazza; alcuni anni dopo avrebbe anche studiato un nuovo accesso alla villa mediante un nuovo viale dalla via del Pino.
Negli anni Quaranta intraprese importanti opere di trasformazione nel palazzo dei Guicciardini, portandone l’ingresso principale da via di S. Spirito al nuovo tratto del lungarno che proprio dai Guicciardini avrebbe preso il nome (1843); inoltre curò la realizzazione del palazzo Poniatowski a Porta al Prato (1842) e l’ingrandimento e il restauro della villa delle Lune a San Domenico di Fiesole, di proprietà della marchesa Ottavia Guadagni (1845).
Nel 1850 sposò Fulvia, figlia di Pasquale Poccianti. Il loro unico figlio, Carlo, morì il 16 dicembre 1855, a dieci giorni dalla nascita.
Gli anni Cinquanta lo videro analogamente alle prese con lavori di trasformazione di palazzi e residenze nobiliari spesso interessati dai lavori di costruzione dei lungarni. Nel palazzo Antinori in via dei Serragli (1853) realizzò un nuovo ingresso carrabile su via Maffia e nuovi corpi scala. La demolizione di alcuni piccoli edifici contigui rese possibile la realizzazione di un giardino e di un loggiato con una rampa di collegamento con il piano nobile. Nella villa Stibbert a Montughi eseguì varie modifiche degli ambienti interni e realizzò una nuova serra; progettò quindi il nuovo accesso alla villa.
Del 1855 sono gli interventi di sistemazione del prospetto sul nuovo lungarno Torrigiani del palazzo Capponi in via de’ Bardi e vari lavori di ristrutturazione e ampliamento della villa Strozzi, detta ‘il Boschetto’, e dei suoi annessi. Lì Poggi realizzò la nuova serra per gli agrumi e un nuovo accesso per le carrozze; sistemò quindi a parco il piccolo podere attiguo.
In quegli anni redasse ancora i progetti per la villa Della Ripa a Careggi (1854) e per i palazzi Giuntini e Calcagnini, poi Arese, sul lungarno verso le Cascine (1857).
Nel 1856 curò il restauro della chiesa della Ss. Annunziata; due anni dopo gli fu affidata la realizzazione del nuovo campanile «in sostituzione di quello mostruoso a vela, innalzato a contatto e sul tamburo della cupola» (ibid., p. 58), che non venne eseguito a causa degli eventi politici in atto in quel periodo.
Nel 1857 Poggi intraprese la costruzione di un villino sul lungarno Nuovo per la baronessa Favard de Langlade. Per la medesima committente curò la realizzazione di alcuni lavori nella villa di Rovezzano, presso Firenze, e di una cappella all’interno del parco annesso, quest’ultima in forma di tempietto con portico di ordine ionico, in cui Annibale Gatti attese alle pitture murali a fresco e Giovanni Dupré al monumento sepolcrale.
Nel 1860 diede inizio ai lavori di costruzione del palazzo Valery a Bastia (Corsica), portato a termine da Pietro Rossi Comparini e Augusto Ghelardi, suoi assistenti di studio.
Nel medesimo anno, su proposta del fratello Enrico, Poggi redasse un progetto, non realizzato, «per ridurre a Pantheon» la piazza S. Carlo a Torino, che prevedeva il rifacimento delle facciate degli edifici prospicienti per conferire unità stilistica all’insieme e di cui potrebbe aver tenuto conto nelle successive opere fiorentine (ibid., p. 115).
Nel 1861 portò a compimento, con la collaborazione di Girolamo Passeri, i lavori di sistemazione nel palazzo Orloff già Stiozzi Ridolfi, oggi Venturi Ginori, in via della Scala.
Le modifiche interne riguardarono tra l’altro l’ampliamento del vestibolo, che fu posto in comunicazione con il giardino retrostante, «trasportandovi perciò colonne e trabeazioni antiche, e accompagnandole con nuove in macigno al pari di quelle, foggiate sullo stesso modello» (L. Passerini, Degli Orti Oricellarii, Firenze 18753, cit. in Poggi, 1909, p. 68); nel giardino fu riaperta la vasca collocata ai piedi della statua di Polifemo e risistemato e restaurato il pantheon realizzato da Luigi de Cambray Digny «dedicato alla memoria dei più illustri tra gli antichi accademici degli orti Oricellarii» (ibid., p. 70).
Opera di rilevante importanza anche sotto il profilo sociale fu l’edificio dell’ospizio marino di Viareggio (1861-69), intrapreso per conto del Comitato degli ospizi marini istituito dal Barellai, ex commilitone e intimo amico.
Il complesso nella cittadina della Versilia fu il primo realizzato dall’associazione per i bimbi scrofolosi: il corpo principale dell’edificio, un volume compatto e privo di aggetti a eccezione del balcone in asse con il portale centrale, è scandito unicamente dai risalti e dai cantonali di bugnato. Due brevi ali laterali si aprono verso il retro, dove è un grande porticato coperto da volte a vela sorrette da pilastri di mattoni su cui poggia la terrazza, aperta sul giardino. L’edificio, oggi noto con il nome di palazzo delle Muse, ospita la sede della Galleria d’arte moderna e contemporanea Lorenzo Viani.
Ancora negli anni Sessanta lavorò al giardino e al palazzo della Gherardesca, al palazzo Strozzi e al complesso termale dei bagni di Casciana presso Pisa (1864).
Nella prima metà del decennio effettuò un secondo viaggio in Europa, nel corso del quale visitò nuovamente Parigi. Professionista affermato e stilisticamente maturo, poteva dirsi ormai affrancato dalla «pedissequa adorazione della scuola toscana» che aveva permeato le opere giovanili. Suoi riferimenti stilistici divennero di lì in poi Bramante, Palladio, Raffaello: un pacato neocinquecentismo che parve a Poggi il giusto compromesso per dare vita a un linguaggio autenticamente italiano e che «nessun altro architetto alle soglie degli anni Sessanta era stato in grado di concepire» (R. Manetti, G. P. architetto. L’immagine di una capitale, cit., p. 171).
Nel 1864, a seguito degli accordi siglati tra il governo italiano presieduto da Marco Minghetti e Napoleone III in merito al trasferimento della capitale da Torino, la scelta del Parlamento ricadde su Firenze. Nel mese di novembre il Consiglio comunale istituì una commissione, composta tra gli altri da Luigi Guglielmo de Cambray Digny e dall’amico Felice Francolini, assessore ai Lavori pubblici, alla quale fu demandata la valutazione dell’impatto urbano dovuto al trasferimento della capitale. Questa studiò una serie di provvedimenti di indirizzo riguardanti in special modo le nuove zone di espansione, il potenziamento della viabilità esistente, l’abbattimento della cinta muraria trecentesca e la realizzazione, sul medesimo tracciato di questa, di un viale sopraelevato che, oltre a fungere da raccordo tra la città storica e i nuovi insediamenti, avrebbe fornito riparo dalle esondazioni dei corsi d’acqua. L’Uffizio d’arte municipale diretto da Luigi Del Sarto avrebbe sovrinteso alle opere entro la cinta muraria. L’organico municipale si occupò di ulteriori grandi opere di sistemazione, come il riempimento del Callone delle Molina, eseguito a cura dello stesso Del Sarto e di Raffaele Canevari (Cozzi, 2004).
Nel novembre 1864 Poggi ricevette l’incarico di redigere il piano di ampliamento della città. Già nel gennaio seguente poté sottoporre un progetto di massima a Vittorio Emanuele II giunto in visita a Firenze, il quale, «favorevolmente impressionato», lo insignì del grado di cavaliere dell’Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro; il successivo 18 febbraio presentò gli elaborati definitivi, approntati con la consueta collaborazione di Passeri, Ghelardi e Rossi Comparini, cui si aggiunsero gli ingegneri Tito Gori e Giovanni Riccetti. Nel maggio seguente il Consiglio comunale approvava il piano e deliberava l’esecuzione degli espropri dei terreni e degli immobili interessati dalle trasformazioni.
L’ingrandimento fu dimensionato sulla base di un previsto incremento della popolazione pari a circa 50.000 abitanti. I termini imposti dalla legge 11 dicembre 1864 n. 2032, secondo la quale il trasferimento della capitale avrebbe dovuto essere attuato entro i successivi sei mesi, non consentirono la realizzazione di nuovi edifici governativi: ministeri e uffici furono pertanto collocati presso immobili demaniali o, più raramente, di privati.
Poggi suddivise il territorio in dieci quadranti – sei a destra e quattro a sinistra dell’Arno –, per ciascuno dei quali venne elaborato un progetto particolareggiato.
Le nuove zone residenziali furono disposte «a corona» attorno alla città (Belli): a nord i quartieri per i ceti operai e impiegatizi, sui colli a sud le ville e i villini per le classi più elevate. Contrariamente a quanto previsto dalla commissione comunale, il viale sul sito delle mura fu eseguito pressoché alla medesima quota dell’esistente e non in posizione sopraelevata, a motivo delle oggettive difficoltà di raccordo con il sistema viario. La protezione dalle esondazioni venne attuata mediante un assieme di interventi sul territorio immediatamente fuori città, quali la sistemazione degli alvei e degli argini di fossi e corsi d’acqua. Importanti lavori di adeguamento furono previsti e attuati anche sulla rete fognaria. La pianificazione contemplava inoltre una serie di opere di delocalizzazione e decentramento di infrastrutture e servizi, tra i quali la rete ferroviaria, posta in posizione arretrata in prossimità del nuovo perimetro urbano, e lo spostamento dei pubblici macelli nella zona periferica a nord.
Grande attenzione fu posta nel disegno del viale lungo le mura, cui venne conferita valenza di «spazio urbano monumentale», mutevole e vario nel suo svolgimento e per linguaggio e per la sequenza di «episodi urbani» (ibid.), concepito soprattutto sul modello dei boulevards haussmanniani ma in cui è pure evidente il richiamo ad architetture ben note a Poggi, come la pocciantiana passeggiata degli Acquedotti. Le porte di città non interessate dall’abbattimento delle mura, mantenute «come monumento d’arte e di storia» (ibid.), divennero, insieme ad altri luoghi notevoli come il cimitero acattolico, elementi caratterizzanti di nodi viari e piazze di cui l’architetto, nell’intento di conferire loro unità stilistica, si riservò il controllo per quanto concerneva il disegno dei prospetti, in una riproposizione dei crescents londinesi di cui costituisce valido esempio la piazza Beccaria. Il tratto sud divenne il celeberrimo viale dei Colli, in cui il tracciato, abbandonata la sede delle mura urbiche, in quella zona rimaste intatte, segue l’andamento delle colline contigue, con pendenze e ampie svolte, offrendo vedute e scorci di grande qualità paesaggistica e spazi verdi accuratamente studiati, fino all’ampio belvedere del piazzale Michelangelo, con le rampe poste a diretto collegamento con la città sottostante.
L’idea di capitale concepita dal Poggi non conobbe piena attuazione: l’annessione di Roma al Regno d’Italia sancì l’interruzione dei lavori. L’inchiesta che ebbe luogo sulle ingenti spese e sul conseguente deficit comunale portò alla luce numerose irregolarità: Poggi ne uscì indenne, ma molto amareggiato.
Nel 1879, cessate «le ingerenze» per il Comune (Poggi, 1909, p. 17), si occupò della prima stesura del volume dei Ricordi e, su invito di Francolini, divenne membro della commissione per la compilazione del Dizionario tecnico dell’architetto e dell’ingegnere civile e agronomo, pubblicato nel 1883 a cura del Collegio degli architetti e ingegneri di Firenze.
Dopo la morte di Fulvia (1881) viaggiò per il Sud dell’Italia toccando Napoli, Palermo e la Sicilia; nel 1884 espresse una significativa astensione, «non potendo spogliar[si] della qualità di artista» (L. Maccabruni, in Una Capitale e il suo architetto, 2015, p. 151), allorché, come membro della deputazione provinciale, fu chiamato a votare il piano comunale per la costruzione della nuova via dell’Orcagna a Firenze; in Roma fece parte della commissione giudicatrice del concorso per il nuovo policlinico.
Tra il 1886 e il 1887 diede alle stampe i primi due volumi riproducenti i disegni delle fabbriche progettate fino ad allora; il terzo e ultimo rimase inedito (Poggi, 1909, p. 49).
Morì a Firenze il 5 marzo 1901.
L’Archivio di Stato di Firenze conserva il corpus dei suoi progetti e i carteggi, pervenuti per dono dello stesso Poggi.
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