POMBA, Giuseppe
POMBA, Giuseppe. – Nacque a Torino il 4 febbraio 1795 da Giovanni e da Carlotta Boma, unico maschio sopravvissuto di quattro figli.
Il padre possedeva una modesta bottega di vendita libraria in contrada di Po, dove, insieme con il socio Giuseppe Ferrero, svolgeva anche una piccola attività di editore pubblicando operette devozionali e d’occasione.
Giuseppe Pomba frequentò le scuole primarie e si iscrisse al Liceo imperiale, ma nel 1805 fu costretto a interrompere gli studi per la morte del padre, e continuò il suo apprendimento culturale da semplice autodidatta. Sotto la guida di uno zio paterno cominciò quindi a occuparsi della bottega che per pochi anni assunse la ragione sociale di «Fratelli Pomba», cambiata nel 1810 in «Vedova Pomba e figli». Con il ritorno dei Savoia, e abolito il numero chiuso istituito dal governo napoleonico per le aziende tipografiche, nel settembre 1814 la vedova Pomba inoltrò a nome dei figli una supplica alle autorità per aprire in Torino una nuova stamperia che, con quattro torchi, numerose serie di caratteri e un piccolo patrimonio finanziario, offriva garanzie di solidità. Malgrado l’opposizione degli altri stampatori torinesi, preoccupati dalla nascita di una nuova azienda che avrebbe potuto sottrarre loro settori di mercato, la richiesta venne accolta e nel 1815 nacque la «Vedova Pomba e figli. Stampatori e librai in principio della contrada di Po».
L’atteggiamento dei tipografi torinesi, sostanzialmente incapaci di affrontare la concorrenza in un sistema liberistico, era rivelatore delle difficoltà che fin dall’inizio il giovane Pomba fu costretto ad affrontare, dovute in particolare alle sopravvivenze vincolistiche largamente presenti nella legislazione sabauda, prima tra tutte la larga concessione di privilegi alla Stamperia Reale, di proprietà statale, che pubblicava in regime di monopolio tutti gli atti governativi e i libri per le scuole.
Contro queste privative rinnovate ancora nel 1836, che di fatto ostacolavano il libero sviluppo dell’iniziativa privata, Pomba iniziò insieme ai suoi colleghi una dura battaglia che lo portò anche a stendere, nel 1836 con l’aiuto di Angelo Brofferio, un duro pamphlet di denuncia dall’innocuo titolo Dell’arte tipografica e dei suoi progressi in Piemonte, bloccato dalla censura e pubblicato solo nel 1876 con il più ampio titolo Cenni storici intorno all’arte tipografica e i suoi progressi in Piemonte.
Malgrado difficoltà finanziarie e carenze normative, Pomba caratterizzò fin dall’inizio la sua impresa con opere di grande impegno produttivo e finanziario e di ampio respiro culturale. La prima fu nel 1818 la Collectio Latinorum Scriptorum cum notis, raccolta monumentale che venne completata nel 1835 con 108 volumi e venduta per larga parte per associazione: impresa non priva di pecche ed errori filologici, evidenziati anche da Giacomo Leopardi, ma capace comunque di far conoscere l’azienda a un pubblico più vasto del ristretto mercato piemontese.
Assunta, dopo la morte della madre nel 1824, la responsabilità diretta dell’impresa, Pomba lanciò nel 1828 il suo progetto editoriale più ambizioso, la Biblioteca popolare. Raccolta di opere classiche italiane, non che latine e greche tradotte, tutte per universale consenso stimate utili agli studiosi di buone lettere. Diversamente dalla Collectio, che anche per il suo alto prezzo di copertina si rivolgeva a un pubblico di studiosi e abbienti, la Biblioteca popolare aveva l’obiettivo di rivolgersi a un mercato emergente, costituito da artigiani impiegati e studenti, desideroso di apprendere, ma dalle modeste disponibilità finanziarie. A questi lettori, Pomba offrì in una veste tipografica modesta, dalla tipica copertina rosa e dal costo decisamente basso di 50 centesimi a volume, le opere della tradizione letteraria italiana, da Dante a Petrarca, da Ariosto a Tasso fino a Monti, Baretti e Metastasio, «perché questa Biblioteca debb’esser tutta italiana, acciocché colla scorta di perfetti modelli vieppiù si desti nella gioventù italiana il desiderio di studiare la nostra bella lingua» (Firpo, 1975, p. 57). Distribuita in tutta la penisola anche attraverso il sistema delle associazioni che per la prima volta si potevano sottoscrivere presso ogni ufficio postale, la Biblioteca ottenne uno straordinario successo di vendite, testimoniato anche dalle cifre della tiratura che raggiunsero le 10.000 copie per cento volumi dall’uscita settimanale.
Questo risultato fu reso possibile dall’impegno profuso dall’editore nell’aggiornamento tecnologico, necessario per sostenere così gravosi ritmi produttivi; primo in Italia, dopo numerosi viaggi all’estero che lo posero in contatto con i più avanzati settori dell’editoria londinese e francese, Pomba infatti investì nell’innovazione delle tecnologie e dell’organizzazione del lavoro, importando dall’estero macchinari molto costosi e sofisticati come il torchio meccanico Koenig e Bauer, per il quale chiese nel 1829 il privilegio esclusivo nei Regi Stati sardi e successivamente nel 1847 la prima vera macchina a vapore.
Oltre alla Biblioteca popolare, che testimoniava la volontà di trasmettere al costruendo popolo italiano un comune patrimonio culturale identitario, si impegnò fra gli anni Trenta e Quaranta nella pubblicazione di numerosi romanzi storici, tra cui I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni e l’Ettore Fieramosca di Massimo D’Azeglio, editi tutti con il consenso degli autori, e varie opere di storiografia come la Storia d’Italia di Cesare Balbo. Un altro filone editoriale di notevole impegno culturale e finanziario fu il settore dei periodici, con la diffusione di giornali di divulgazione tecnica e scientifica, spesso riccamente illustrati: si va dal più tradizionale Calendario generale de’ Regi stati (1824-38) a Il Propagatore ossia Raccolta periodica delle cose appartenenti ai progressi dell’industria (1824-25) fino ai più tardi Teatro universale (1834-48) ed Emporio delle cognizioni utili (1835-36), e infine il Mondo illustrato (1847-49), non tutti fortunatissimi, come è denotato dalla loro durata, ma tutti fortemente impegnati nel tentativo di coinvolgere il pubblico popolare nel progetto di modernizzazione economica e sociale del Paese.
Questo vasto progetto, culturale prima ancora che politico, lo portò inevitabilmente a una fattiva collaborazione, che divenne anche sincera amicizia, con Giovan Pietro Vieusseux e il gruppo toscano dell’Antologia tanto che, quando nel 1833 la rivista fiorentina fu costretta a chiudere per ordine della censura granducale, fu proprio al torinese Pomba che Vieusseux pensò per poter pubblicare il periodico ‘sulle sponde della Dora’ senza stravolgerne il programma. La vicenda, malgrado le iniziali aperture dell’editore torinese, non ebbe un esito positivo, suscitando le reazioni stizzite da parte di Vieusseux; in realtà i cauti sondaggi del prudente Pomba presso le autorità avevano fatto chiaramente capire che la censura sabauda non sarebbe stata più lieve di quella toscana, anche per evitare un conflitto diplomatico con l’impero austriaco che, per via dei rapporti di stretta parentela con le autorità toscane, non avrebbe mai tollerato la rinascita del periodico fiorentino.
Pur muovendosi in un orizzonte di moderato liberalismo, Pomba evitò sempre uno scontro diretto con la regia censura, che avrebbe danneggiato la sua immagine di imprenditore ossequioso delle leggi e, quindi, potenzialmente compromesso l’espansione dei suoi progetti editoriali. Tuttavia, nel dicembre del 1836 fu protagonista di un episodio dai contorni non del tutto chiari; alle autorità doganali risultava che la sua azienda aveva commissionato una cassa proveniente da Parigi contenente ventisei copie del sovversivo romanzo di Francesco Domenico Guerrazzi L’Assedio di Firenze, guardato con sospetto da tutti i governi; pur non trovando altri e più decisivi riscontri nelle perquisizioni condotte dalla polizia presso l’abitazione e le botteghe, l’editore venne arrestato e condannato con un procedimento amministrativo a un mese di detenzione presso la fortezza di Alessandria. In realtà, l’assenza di un vero processo penale e la stessa mitezza della pena, i cui particolari peraltro lo stesso Pomba ebbe modo di raccontare in una sorta di diario dai toni tutt’altro che polemici, fanno ritenere che le autorità sabaude volessero semplicemente dare una lezione al troppo intraprendente editore anche per la già ricordata vicenda delle critiche ai privilegi della Stamperia Reale, senza per questo suscitare scalpore presso l’opinione pubblica.
La vicenda consigliò maggiore cautela all’editore, ma non ne interruppe certo i vasti progetti, a cominciare dalla Storia universale affidata al poligrafo cattolico Cesare Cantù che fu pubblicata in fascicoli settimanali dal 1838 al 1846, raccolti poi in trentacinque volumi, ed ebbe numerosissime ristampe. In realtà, in quegli anni l’attenzione di Pomba andava concentrandosi sulle disfunzioni del mercato librario italiano, pesantemente condizionato sia dai forti dazi doganali presenti in tutti gli Stati, sia dalla mancanza di una effettiva tutela della proprietà editoriale e del diritto d’autore che, se impediva una giusta retribuzione degli autori, favoriva anche il fiorire delle ristampe pirata, scoraggiando l’espansione commerciale delle imprese. Da qui la decisione nel 1838 di vendere lo stabilimento tipografico e la libreria per dedicarsi esclusivamente all’attività di editore, impegnandosi al contempo, insieme ai più lungimiranti sodali come Vieusseux, o agli scrittori Carlo Tenca e Niccolò Tommaseo, nella battaglia per la modernizzazione e la libertà del commercio librario. I dibattiti dei congressi degli scienziati, che iniziarono nel 1839, lo videro infaticabile protagonista nel chiedere ai governi della penisola un trattato diplomatico in grado di garantire il diritto dell’autore alla piena proprietà dell’opera e di impedire la piaga della contraffazione. Una prima risposta a queste richieste venne dalla convenzione austro-sarda «a favore della proprietà e contro la contraffazione delle opere scientifiche, letterarie ed artistiche» firmata a Vienna il 22 maggio 1840 e poi fatta propria da tutti gli altri governi della penisola, a eccezione del Regno borbonico dove si concentrava il più alto numero di stampatori fraudolenti. Questa scelta, che di fatto vanificava gli effetti positivi della convenzione, provocò una dura reazione di Pomba che denunciò nel 1841 in un durissimo libello – La Voce dei tipografi e degli studiosi italiani. Risposta dell’editore libraio Giuseppe Pomba alla Voce dei tipografi e degli studiosi del Regno delle Due Sicilie – il comportamento degli stampatori partenopei che, nell’incapacità di confrontarsi in un regime di concorrenza, preferivano continuare a sopravvivere all’ombra delle compiacenti misure protezionistiche del loro governo.
La parziale sconfitta non fermò l’impegno dell’editore piemontese per facilitare e intensificare gli scambi librari. Prendendo a modello l’esperienza degli editori tedeschi che già da vari anni avevano istituito una Fiera libraria a Lipsia, propose nel congresso degli scienziati svoltosi a Milano nel 1844 la creazione di un più modesto Emporio librario, che potesse funzionare come deposito centrale delle produzioni tipografiche di tutta Italia e come libreria commissionaria. Questa istituzione, caldeggiata dallo scritto Sul desiderio di una Fiera libraria in Italia e progetto di un Emporio librario con alcuni cenni sulla convenzione di vari stati italiani a favore della proprietà letteraria (Torino 1844), avrebbe dovuto, secondo il suo ideatore, dare informazioni su tutto ciò che si stampava in Italia, curando la pubblicazione di un Bollettino bibliografico e scoraggiando in tal modo eventuali ristampe, e al contempo fungere da collegamento tra i diversi operatori del libro. Malgrado le perplessità di molti antichi alleati, a cominciare da Vieusseux che riteneva impraticabile il progetto senza un accordo doganale tra gli Stati della penisola, Pomba portò avanti l’iniziativa costituendo a Livorno, porto franco in posizione centrale nella penisola, un Emporio librario. L’esperienza, in cui peraltro l’editore piemontese profuse notevoli risorse finanziarie, si rivelò un fallimento; all’atto della costituzione della società per azioni, nel dicembre 1844, aderirono solo sei imprese del Nord Italia, mentre furono pochissimi gli editori che inviarono le loro novità, vanificando di fatto le complesse finalità del progetto.
Successivamente, a causa di lutti e problemi familiari, Pomba dovette occuparsi della riorganizzazione gestionale dell’azienda, anche per assicurarle una stabile continuità. Morta nel 1846 la moglie Rosa Filica e constatato il disinteresse dell’unico figlio maschio Cesare a continuare il suo impegno, l’editore fece venire dalla Francia il cugino Luigi Pomba, al quale diede in sposa la figlia Emilia e con il quale fondò nel 1850 la «Cugini Pomba e C.». Egli stesso sposò nell’aprile del 1851 la madre di Luigi, Sophie Girard, che tuttavia morì ad appena sei mesi dal matrimonio. Del 1854 fu invece l’ultima innovazione, la nascita della società per azioni Unione tipografico editrice torinese (UTET) nella quale confluirono sia la «Cugini Pomba e C.» sia la Tipografia sociale.
Allontanatosi anche dal Consiglio di amministrazione dell’ultima sua creatura, Pomba continuò la sua attività pubblica nell’interesse del territorio della sua città; eletto dal 1848 nel Consiglio comunale di Torino, ne propugnò la pubblicità degli atti e nel 1855 propose l’istituzione di una Biblioteca civica, che egli stesso dotò di quasi un migliaio di volumi. Nel 1869 poi, costituita la tanto da lui auspicata Associazione dei tipografi e dei librai italiani (ATLI), ne fu nominato all’unanimità presidente a coronamento di un impegno costante e sagace per il miglioramento delle condizioni dell’editoria italiana.
Circondato da figli e nipoti e assistito dalla terza moglie, Luisa Pacchiotti, morì a Torino il 3 novembre 1876.
Fonti e Bibl.: L. Firpo, Vita di G. P. da Torino. Libraio, tipografo, editore, Torino 1975 (con un’appendice bibliografica cui si rimanda per le opere pubblicate in precedenza); E. Soave, L’industria tipografica in Piemonte. Dall’inizio del XVIII secolo allo Statuto Albertino, Torino 1976, ad ind.; G. P.: nascita dell’editoria moderna in Piemonte. Mostra documentaria nel centenario della morte (catal.), Torino 1976; M. Berengo, Intellettuali e librai nella Milano della Restaurazione, Torino 1980, ad ind.; L. Firpo, G. P., libraio tipografo, editore, in Id., Gente di Piemonte, Milano 1983, p. 181; M. Giordano, La stampa illustrata in Italia dalle origini alla Grande Guerra 1834-1915, Torino 1983, pp. 11, 52, 54-58, 62, 65 s., 68-70, 75, 78, 108, 120, 143, 147; G. Pomba - G. Vieusseux - C. Tenca, Scritti sul commercio librario in Italia, a cura di M.I. Palazzolo, Roma 1986; M.I. Palazzolo, I tre occhi dell’editore. Saggi di storia dell’editoria, Roma 1990, ad ind.; Catalogo storico delle edizioni Pomba - Utet, a cura di E. Bottasso, Torino 1991; Storia dell’editoria nell’Italia contemporanea, a cura di G. Turi, Firenze 1997, ad ind.; R. Roccia, L’editoria, in Storia di Torino, VI, La città nel Risorgimento (1798 -1864), a cura di U. Levra, Torino 2000, pp. 673-684; I libri per la scuola tra Sette e Ottocento, a cura di G. Chiosso, Brescia 2000, ad ind.; Editori italiani dell’Ottocento. Repertorio, a cura di A. Gigli Marchetti et al., II, Milano 2004, pp. 859 s.