POMPILJ, Giuseppe
POMPILJ, Giuseppe. – Nacque a Roma il 17 luglio 1913.
Nel 1918 perse il padre, morto in guerra. Si laureò con lode in matematica nel 1935 con una tesi di geometria algebrica diretta da Federigo Enriques. Conseguì la libera docenza in geometria nel 1942; nello stesso anno perse il fratello Guido, ufficiale medico, morto in Iugoslavia.
Durante la seconda guerra mondiale fu fatto prigioniero e internato fino al 1946 in un campo di prigionia inglese, prima in Africa settentrionale, poi in India, dove, oltre a continuare le sue ricerche in geometria algebrica, ebbe l’occasione di ampliare i suoi interessi scientifici trovando, in una piccola biblioteca per prigionieri, alcuni testi e articoli di statistica, cui si avvicinò con grande interesse. La statistica, il calcolo delle probabilità e la ricerca operativa divennero da quel momento il centro dei suoi interessi scientifici fino alla sua prematura scomparsa.
Nel 1948 vinse un concorso a cattedra in geometria. «Fu allora che Corrado Gini, fondatore ed unico capo allora [della facoltà di statistica a Roma] e che aveva buon fiuto nel giudicare il valore degli uomini destinò una delle cattedre della facoltà alla geometria analitica e chiamò Pompilj a coprirla, dandogli contemporaneamente l’incarico dell’insegnamento di calcolo delle probabilità» (Leti, 1993, p. 324).
Grazie alla sua formazione matematica, Pompilj ebbe il merito di ridurre la frattura tra statistica e matematica che si era creata in Italia. Riavvicinò le ricerche italiane a quelle degli altri Paesi, in particolare quelli anglosassoni, riformulando e affinando, nel contesto della teoria delle variabili casuali, molte delle critiche di Corrado Gini alla teoria della significatività.
Si adoperò costantemente per diffondere le metodologie statistiche per l’elaborazione dei dati, prestando grande attenzione alla correttezza delle interpretazioni, alla discussione degli errori comuni e spesso sottili nelle applicazioni, alle ipotesi non chiarite adeguatamente e alle conseguenti ambiguità di interpretazione. Profuse grande impegno nell’insegnamento, non solo presso la facoltà di scienze statistiche, ma anche presso enti e istituti non universitari, tra cui l’associazione italiana per gli studi di mercato. Presso l’Istituto centrale di statistica organizzò corsi di metodologia statistica per ricercatori e dipendenti di enti pubblici e privati, coinvolgendo docenti insigni e organizzando la pubblicazione delle lezioni. Diede apporti fondamentali all’impostazione delle rilevazioni campionarie effettuate dall’Istituto centrale di statistica. Creò l’Istituto di calcolo delle probabilità presso la facoltà di scienze statistiche, che divenne un autorevole riferimento per tutte le ricerche che avevano la necessità di una guida all’utilizzo corretto delle procedure statistiche.
Pompilj fu anche pioniere nel campo della ricerca operativa sviluppandone le prime applicazioni significative in collaborazione con la Marina militare. Fu tra i fondatori dell’Associazione italiana di ricerca operativa e creò la Scuola di perfezionamento di ricerca operativa presso la facoltà di scienze statistiche. Dalla collaborazione tra l’Istituto di calcolo delle probabilità e il Comune di Roma prese forma uno studio pionieristico sul traffico di Roma, purtroppo immediatamente accantonato e dimenticato, a dimostrazione del fatto che «la matematizzazione non è fatta per dirigenti poco abili» (G. Pompilj, Funzioni e limiti della matematizzazione, in Studi di mercato, II (1962), p. 14).
Si impegnò costantemente per far conoscere all’estero i successi della scuola statistica italiana, ingiustamente trascurati. Il trattato incompiuto sulle variabili casuali, composto durante un soggiorno a Pittsburgh, era destinato a «raccogliere in una esposizione unitaria che tenesse conto dei vari contributi delle varie scuole, i risultati ottenuti da alcuni ricercatori (e in modo particolare da quelli dell’Istituto di calcolo delle probabilità di Roma) nel mettere a punto, riordinare e completare certi contributi di C. Gini alla teoria generale delle distribuzioni» (G. Pompilj, Le variabili casuali. f. I, Assiomatizzazione del calcolo delle probabilità, Roma 1967, p. 3).
Le prime ricerche di Pompilj furono nel campo della geometria algebrica e ripresero temi cari alla scuola italiana, già affrontati da Guido Castelnuovo, Federigo Enriques e Francesco Severi, che ebbe come insegnanti a Roma. I temi trattati da Pompilj furono principalmente: i piani multipli; le trasformazioni cremoniane del piano che posseggono particolari curve di punti uniti; le superfici con famiglie di curve iperellittiche o trigonali. Si occupò anche di varietà abeliane da un punto di vista algebrico, di equivalenza funzionale, di superfici il cui sistema canonico è degenere e di superfici irregolari. Fu, insieme ad Alfredo Franchetta, l’ultimo studente di Enriques.
In seguito al cambiamento dei suoi interessi di ricerca, «è stato detto che la defezione di Pompilj ha costituito una grave perdita per la geometria. Bisogna tener conto però dell’apporto che egli ha dato ai campi in favore dei quali ha trascurato i suoi primi studi, sia con la ricerca sia con l’opera di promozione e diffusione. E si può dire senz’altro che quanto egli ha fatto lascia ben poco margine al rimpianto per quanto avrebbe potuto fare in altri campi» (Dall’Aglio, 1971, p. 1).
Nel suo primo lavoro di statistica, Sulla regressione (in Rendiconti di matematica e delle sue applicazioni, s. 5, 1946, vol. 5, pp. 186-219), prese a sviluppare un’impostazione geometrica della teoria delle variabili casuali, su cui ritornò più volte negli anni successivi. «L’impostazione geometrica cui alludo, porta a studiare le proprietà delle variabili casuali che sono invarianti di fronte a qualche sottogruppo o all’intero gruppo delle affinità» (G. Pompilj, Teoria affine delle variabili casuali, in L’industria, X (1956), p. 143). Formulato in tal modo, lo studio delle proprietà di un insieme finito di variabili casuali rientra nel famoso programma di Erlangen di Felix Klein. È questo il legame più evidente tra i nuovi e i vecchi interessi di Pompilj; grazie a questo punto di vista geometrico, fu in grado di interpretare e di estendere, nel contesto della teoria delle variabili casuali e con i contributi di alcuni dei suoi allievi, gli indici statistici introdotti da Gini e di approfondire le sue idee sulla teoria delle distribuzioni.
Nei lavori Teoria statistica della significatività e conformità dei risultati sperimentali agli schemi teorici (in Statistica, VIII (1948), pp. 7-42) e Sulla significatività delle costanti statistiche (in Bollettino dell’Unione matematica italiana, s. 3, 1949, vol. 4, pp. 112-117), Pompilj formulò una ‘teoria della conformità’, alternativa a quella della significatività. Secondo Pompilj non ha senso porsi il problema della plausibilità o significatività di un modello statistico perché «non è lecito domandarsi se un modello è vero o falso quando si può sempre rispondere che, a stretto rigore, ogni modello è falso, in quanto non coincide con la realtà» (G. Pompilj, Logica della conformità, in Archimede, IV (1952), p. 27). Le sue critiche partono da un’analisi dettagliata del significato e delle implicazioni del teorema di Bayes, il fondamento del processo di induzione statistica. La critica principale di Pompilj alla teoria della significatività, ripresa da quelle di Gini, è di confondere le probabilità a posteriori P(A|B) con quelle probative P(B|A). La sua teoria della conformità sviluppa il minimo di teoria inferenziale necessario per le applicazioni, in particolare alla teoria del disegno sperimentale (L. Piccinato, Gini’s criticisms to the theory of inference: a missed opportunity, in METRON, LXIX (2011), pp. 101-117). A differenza della teoria della significatività, quella della conformità si limita a misurare la conformità dei dati raccolti a una certa ipotesi, astenendosi dal dare un giudizio sulla probabilità dell’ipotesi stessa. «È stato obiettato che [si tratta di] un passo indietro rispetto ad altre impostazioni, rinunciandosi, con essa, a pervenire a delle conclusioni. Ma se queste conclusioni si basano su valutazioni personali, non condivise largamente, può essere opportuno non insistervi» (Dall’Aglio, 1971, p. 15).
Per Pompilj è necessario partire dal teorema di Bayes anche per chiarire i meccanismi che agiscono nell’interpretazione dei fatti. Nei Lineamenti di una teorica della persuasione (in Archimede, III (1951), pp. 135-143), discute numerosi esempi di come «gli stessi fatti vengano portati, a seconda delle idee di partenza, a sostegno di ipotesi contrastanti […]. Il fatto è che in molti casi si hanno delle buone informazioni, per così dire oggettive, sulle probabilità probative, mentre non si sa nulla, o quasi, sulle probabilità a priori, che quindi vengono, di volta in volta, da ciascuno fissate nel modo più soggettivo» (p. 142). In altre parole, citando i sei personaggi in cerca d’autore di Pirandello, «i fatti sono come un sacco vuoto che non si regge senza un’interpretazione» (p. 135) e siccome l’interpretazione è tutta nei giudizi a priori che assegniamo alle diverse ipotesi interpretative, ecco perché lo stesso fatto può essere matematicamente valutato in maniera molto diversa.
Nella sua concezione della probabilità, Pompilj fu vicino alla concezione soggettivista, senza però sposarne completamente le tesi. Non assunse infatti il ‘grado di fiducia nel verificarsi di un evento’ come definizione di probabilità, ma solo come misura della probabilità stessa (Dall’Aglio, 1971, pp. 8-9). «Pompilj era convinto assertore di una “solidarietà universale” del mondo in cui viviamo “nel senso che ogni cosa influenza ed è influenzata da tutte le altre” (Le variabili casuali – fasc. 1, p. 12). Questo principio, da lui più volte ribadito nella presentazione dei fondamenti concettuali per l’elaborazione e l’interpretazione dei risultati sperimentali, era uno degli aspetti della sua visione globale delle cose, che non soffriva separazioni nette e compartimenti stagni. Da questa discendeva anche la sua convinzione del legame vitale tra teoria e applicazioni» (Dall’Aglio, 1971, p. 7).
Pompilj ebbe numerosi allievi e collaboratori che ne apprezzarono la grande generosità e la ricca umanità, che non venne intaccata neppure dalle numerose tragedie familiari che funestarono la sua vita. Alla morte del padre e del fratello seguirono quella della prima moglie Ornella – da cui aveva avuto tre figli –, nel 1958 e, alcuni anni più tardi, quella del figlio Frido.
Morì a Roma il 9 luglio 1968, a causa dei postumi di un intervento per un aneurisma.
Fonti e Bibl.: G. Dall’Aglio, G. P., in Studi di probabilità, statistica e ricerca operativa in onore di G. P., a cura dell’Istituto calcolo delle probabilità di Roma, Roma 1971, pp. 1-20 (con elenco delle pubblicazioni); E. D’Arcangelo, Attualità di G. P., in Matematica probabilità e statistica in rapporto alle scienze empiriche nell’orizzonte di ricerca di G. P., Roma 1993, pp. 327-334; G. Leti, Ricordo di G. P., ibid., pp. 323-326.