PREZZOLINI, Giuseppe
PREZZOLINI, Giuseppe (Vincenzo). – Nacque il 27 gennaio 1882 a Perugia, figlio secondogenito di Luigi e di Emilia Pianigiani. Il primogenito era Torello, nato il 30 agosto 1873.
Il padre, nato a Siena il 18 dicembre 1836, apparteneva a una famiglia di borghesi possidenti. Laureato in legge nel 1856, partecipò volontario alla terza guerra d’indipendenza. Liberale conservatore, cultore di letteratura, amico di scrittori e poeti, fra i quali Giosue Carducci, intraprese nel 1861 a Torino la carriera burocratica. Nel 1872 sposò Emilia Pianigiani, figlia dell’ingegnere Giuseppe Pianigiani, nato a Siena nel 1805, professore di fisica nell’Università senese, realizzatore della linea ferroviaria Siena-Empoli, morto nel 1850. Luigi era prefetto a Grosseto quando morì la moglie il 1° gennaio 1886. Fu successivamente prefetto a Sondrio, Macerata, Belluno, Reggio nell’Emilia, Udine e Novara. I figli seguirono il padre nei suoi trasferimenti.
Giuseppe, soprannominato Tormento, era un bambino difficile; verso i dieci anni soffrì di una malattia nervosa, crebbe introverso e ribelle, ma con un precoce amore per la lettura. La madre aveva fatto promettere al marito che l’avrebbe educato nella fede cattolica, ma durante la preparazione alla comunione, verso i sette anni, un prete maldestro lo deluse, mentre la contemporanea lettura di Voltaire lo rese definitivamente incredulo. A nove anni frequentava già la seconda ginnasio ed ebbe un ottimo rendimento scolastico, nonostante i frequenti cambi di sede; ma nel 1898, in seconda liceo, abbandonò definitivamente la scuola. Trasferitosi a Firenze con il padre, pensionato nel 1899, visse in urto con il genitore e il fratello. Autodidatta con genuina passione per la cultura, indipendente e orgoglioso, aveva un «desiderio acuto di perfezione» (L’Italiano inutile, Milano 1964, p. 103) che però gli provocava crisi depressive, al punto da meditare il suicidio. In tali condizioni d’animo conobbe un giovane fiorentino, Giovanni Papini, anche lui autodidatta, lettore voracissimo, con ambizioni letterarie e filosofiche e una sconfinata fiducia nel proprio genio. Fra i due si sviluppò un’amicizia intellettuale, che influì sullo svolgimento delle loro personalità e sulle loro iniziative culturali.
Dopo la morte del padre, il 15 aprile 1900, il diciottenne Prezzolini poté disporre di una rendita e intraprese subito vagabondaggi culturali in Italia e all’estero: nel 1900 seguì i corsi estivi di francese a Grenoble, nel 1902 soggiornò alcuni mesi a Parigi per frequentare le biblioteche e studiare la filosofia di Henri Bergson; nel 1904 visse a Monaco di Baviera e a Norimberga per apprendere il tedesco e studiare il misticismo germanico (Studi e capricci sui mistici tedeschi, Firenze 1912). Il 19 marzo 1905 sposò a Milano Dolores Faconti, milanese, e con lei andò a vivere a Perugia.
Fra il 1903 e il 1907 collaborò alla rivista filosofica Leonardo, diretta da Papini, e alla rivista politica nazionalista Il Regno. Negli scritti per Leonardo, firmati con lo pseudonimo Giuliano il Sofista, polemizzò contro la cultura accademica e il positivismo, esaltando «la vita intima» come soggettivismo assoluto ed esperienza per la divinizzazione dell’individuo, Uomo-Dio, in una sorta di misticismo luciferino, convinto della sostanziale incomunicabilità fra esseri umani e del significato relativo d’ogni conoscenza (Vita intima, Firenze 1903; Centivio, Firenze 1904), teorizzando la natura fantastica del linguaggio come strumento per affermare la propria personalità (Il linguaggio come causa d’errore, Firenze 1904; L’arte di persuadere, Firenze 1907). Sulla rivista nazionalista, ostentò invece un realismo politico ispirato alle idee antidemocratiche di Hyppolite Taine, di Gaetano Mosca e Vilfredo Pareto, incitando la borghesia a rafforzare il ruolo di classe dirigente lottando contro il socialismo.
L’esaurimento di queste esperienze intellettuali sfociò nel 1905 in una crisi depressiva, che cercò di superare tentando di convertirsi al cristianesimo attraverso lo studio di Blaise Pascal e di sant’Agostino, ma continuò a immaginare demoniache avventure intellettuali, tanto che pochi mesi dopo il matrimonio abbandonò la moglie in un albergo, deciso a emigrare negli Stati Uniti con Papini per fondarvi una nuova religione; ma presto si pentì e si riunì alla moglie, definendo il suo atto «uno sbaglio e una pazzia» (Diario a Dolores, a cura di G. Prezzolini - M.C. Chiesi, Milano 1993, p. 209). Fu la fine del periodo dell’«intossicamento idealista» come lo definì (Il sarto spirituale: mode e figurini per le anime della stagione corrente, Firenze 1907, p. 103). Nel 1908 si convertì alla filosofia di Benedetto Croce, che gli diede fede nella vita come realizzazione dell’individuo nella storia in collaborazione con gli altri (Benedetto Croce, con bibliografia, ritratto e autografo, Napoli 1909). Influirono sul suo mutamento anche i rapporti intellettuali con Bergson, Georges Sorel e Romain Rolland. Dal ripudio dell’irrazionalismo e del nazionalismo ebbe origine il suo interesse per i nuovi movimenti sociali e religiosi, come il sindacalismo e il modernismo cattolico (Cattolicismo rosso: studi sul presente movimento di riforma nel cattolicismo, Firenze 1908; La teoria sindacalista, Firenze 1909).
Maturò così la decisione di fondare una rivista per promuovere il rinnovamento morale e civile degli italiani: il 20 dicembre 1908 uscì a Firenze il settimanale La Voce. Originale esperimento di giornalismo culturale, con attenzione alle nuove correnti delle culture europee, la rivista si occupò di filosofia, religione, arte, pedagogia, costume, ma studiò anche la soluzione a problemi concreti, come la ‘Questione meridionale’, la riforma della scuola, l’educazione sessuale, il decentramento regionale. Accanto ai reduci del Leonardo, come Papini, Giovanni Amendola, Emilio Cecchi, Ardengo Soffici, collaboravano studiosi autorevoli come Croce, Gaetano Salvemini, Giovanni Gentile, ai quali nel corso degli anni si aggiunsero giovani sconosciuti come lo storico Antonio Anzillotti, il musicista Ildebrando Pizzetti; gli scrittori Riccardo Bacchelli, Giovanni Boine, Piero Jahier, Scipio Slataper, Armando Spaini.
La Voce ebbe lettori soprattutto fra i giovani, alcuni dei quali divennero protagonisti nella storia italiana del Novecento, come Antonio Gramsci, Palmiro Togliatti, Dino Grandi, Ferruccio Parri, Giovanni Gronchi, Piero Gobetti, Giovanni Battista Montini. Lettore della rivista fin dall’inizio fu un giovane socialista romagnolo, Benito Mussolini, che nel 1910 vi pubblicò due articoli, ed ebbe da Prezzolini l’incarico di scrivere un libro, Il Trentino visto da un socialista, pubblicato nel 1911 nei Quaderni de La Voce, una collana che approfondiva temi della rivista e pubblicava opere letterarie di suoi collaboratori. Mussolini, divenuto nel 1912 dirigente socialista e direttore dell’Avanti!, strinse amicizia con Prezzolini, al quale dichiarò negli anni della Grande Guerra la sua riconoscenza: «Io mi sono un po’ fatto e rifatto, prima alla parola del Leonardo, poi a quella della Voce e quindi ti sono debitore di molte cose e ti voglio bene» (E. Gentile, Mussolini e La Voce, Firenze 1976, p. 75).
In politica Prezzolini avversò Giovanni Giolitti accusandolo di essere un corruttore della vita nazionale; nel 1911 si oppose alla guerra di Libia, sostenendo che all’Italia non erano necessarie conquiste coloniali ma riforme per sviluppare le regioni arretrate. Tuttavia, quando la guerra fu dichiarata, ritenne opportuno sospendere la polemica. Nel 1912, iniziò la crisi della Voce, provocata da dissidi interni. Nell’aprile Prezzolini lasciò la direzione a Papini, per riassumerla nell’ottobre successivo, dopo un soggiorno di studio a Parigi (La Francia e i francesi nel secolo XX osservati da un italiano, Milano 1913). Nel 1913 la crisi della rivista si accentuò, dopo l’uscita di Salvemini, che fondò una propria rivista politica L’Unità, e il distacco di Papini e Soffici che diedero vita alla rivista Lacerba, convertendosi al futurismo, disprezzato dal direttore della Voce come ciarlatanismo anarchicheggiante.
Prezzolini decise di trasformare La Voce in rivista dell’idealismo militante, da lui interpretato come una «religione dell’uomo moderno», che doveva soppiantare il cristianesimo per promuovere l’avvento di una nuova democrazia laica, patriottica ma antinazionalista. Nell’agosto del 1914 salutò la Grande Guerra come l’occasione per creare un’Europa di nazioni libere, perorò l’intervento italiano accanto alla Francia e all’Inghilterra, denunciò le falsità della propaganda imperialista sull’italianità della Dalmazia, proponendo un’intesa con gli slavi (La Dalmazia, Roma 1915). L’inizio della guerra fu la fine della Voce. Nel novembre del 1914, quando Mussolini si convertì all’interventismo, si dimise dalla direzione dell’Avanti! e fu espulso dal Partito socialista, Prezzolini accettò l’incarico di corrispondente da Roma per il suo nuovo giornale, Il Popolo d’Italia. Nella primavera del 1915, partecipò alle agitazioni interventiste contro il Parlamento. Quando l’Italia entrò in guerra si presentò volontario, nonostante fosse stato riformato alla visita di leva. Arruolato l’11 luglio con il grado di sottotenente della milizia territoriale nell’arma di fanteria, fu inviato il 27 agosto in zona di guerra, dove in settembre apprese la nascita del secondo figlio Giuliano (il primo, Alessandro, era nato nel 1911). Rimase sul fronte di guerra fino a novembre, quando fu trasferito a Pisa per istruire le nuove reclute. Inviato di nuovo al fronte nel marzo del 1916, promosso tenente, dalla fine del 1916 al settembre del 1918 prestò servizio a Roma come capogruppo dell’Ufficio storiografico della Mobilitazione per condurre uno studio sulla mobilitazione femminile. Di nuovo al fronte l’11 settembre 1918 come capitano degli Arditi, partecipò ai combattimenti fino alla fine della guerra. Persa la rendita paterna, investita in titoli di Stato per sostenere lo sforzo bellico e polverizzata dall’inflazione, nel 1919 si trasferì con la famiglia a Roma, dove si guadagnò da vivere come giornalista, editore e direttore della sezione italiana di una agenzia giornalista americana, la Foreign Press Service di New York.
L’esperienza militare spense il suo entusiasmo riformatore. L’idealismo scomparve nel brutale confronto con la realtà: l’ostilità della massa dei soldati per la guerra, l’ottusità e l’arroganza degli ufficiali, lo spreco di vite umane in combattimenti inutili. Apprezzò tuttavia la rassegnata tenacia di molti fanti e gli slanci eroici di giovani patriottici, che volle testimoniare in un’antologia di lettere e diari (Tutta la guerra. Antologia del popolo italiano sul fronte e nel Paese, Milano 1918), mentre denunciò i difetti della classe dirigente, militare e politica in lucide riflessioni sulla condotta della guerra e sulle conseguenze della vittoria (Dopo Caporetto, Roma 1919; Vittorio Veneto, Roma 1920). Con apparente paradosso, affermò che «Caporetto è stato una vittoria, e Vittorio Veneto una sconfitta per l’Italia», perché la disfatta aveva costretto gli italiani a rimediare ai propri difetti per resistere all’invasione, invece la vittoria aveva ridato fiato alla boria e alle menzogne nazionaliste. In dissenso con l’orientamento espansionista di Mussolini, cessò la collaborazione al suo giornale, sostenendo che «nulla è più ridicolo oggi, e di più impossibile, di una politica nazionale. L’interdipendenza delle nazioni è una delle più chiare necessità che il momento imponga. Non ci può essere che una politica mondiale» (Vittorio Veneto, p. 57). Fautore di un internazionalismo democratico di nazioni indipendenti, partecipò alla nascita della Lega democratica per il rinnovamento della vita nazionale, promossa da Salvemini nel maggio 1919: in quell’occasione, Prezzolini conobbe il diciottenne Piero Gobetti, suo ammiratore ed emulo come esordiente organizzatore di cultura.
«È un’energia, Gobetti, una forma morale grande, ma la sua passione ha un carattere intellettualistico e libresco» (Diario 1900-1941, pp. 336 s.) Fra i due nacque un’amicizia personale e una collaborazione intellettuale. Tramite Gobetti, nel febbraio del 1921 Prezzolini, su invito di Gramsci, tenne una conferenza a Torino agli operai: «Gramsci è uno degli uomini più notevoli dell’Italia. Il suo ‘Ordine [nuovo]’ ha una parola originale. E personalmente ha energia, fede, non lavora per il momento» (p. 336). Collaborò fin dall’inizio a La Rivoluzione liberale, fondata il 1° febbraio 1922 da Gobetti, il quale volle pubblicare nelle sue edizioni una raccolta degli scritti prezzoliniani sull’idealismo militante (Io credo, Torino 1923).
Fra i due il dissidio iniziò nel settembre del 1922 per un diverso giudizio sul fascismo (Gobetti e “La Voce”, Firenze 1971).
Pur restando amico di Mussolini, Prezzolini seguì l’affermazione del fascismo con diffidenza. Cercò di comprendere le ragioni del suo successo, condannando i metodi violenti, così come criticava severamente la classe dirigente liberale, mentre i fanatismi dei socialisti e dei fascisti lo resero sempre più scettico sulla capacità degli italiani di governarsi democraticamente, a causa del loro carattere fazioso e privo di senso civico (Codice della vita italiana, Roma 1921). «Io – confidava a un amico il 4 gennaio 1920 – cerco di restringere il mio lavoro a quello direttivo editoriale e a crearmi una posizione di imparzialità umana, se così posso dire, in mezzo a queste feroci passioni e competizioni. Non mi sento di nessun partito e di nessun gruppo, sebbene più vicino a taluni, e non posso accettare, sebbene ne riconosca la necessità, le cecità della politica militante» (A. Casati - G. Prezzolini, Carteggio, II, 1911-1944, Roma 1990, p. 443). Abbandonato ogni proposito riformatore, proseguì l’attività di critico della cultura e del costume italiani (Uomini 22 e città 3, Firenze 1918; Paradossi educativi, Roma 1919; Amici, Firenze 1922; La coltura italiana, Firenze 1923) e ribadì la sua estraneità alla lotta politica in una lettera aperta a Gobetti, pubblicata nella Rivoluzione liberale il 21 settembre 1922, in cui propose di costituire la «società degli apoti», cioè degli intellettuali «che non la bevono», e che si tengono al di fuori delle fazioni per esercitare una funzione critica razionale in alternativa alle passioni partigiane. Gobetti respinse sdegnato la proposta dopo l’avvento del fascismo al potere, accusando l’amico di accondiscendere al fascismo. Nello stesso tempo Mussolini, divenuto presidente del Consiglio, era irritato dalle critiche al fascismo che Prezzolini esprimeva sulla stampa italiana e straniera, e ordinò alla polizia di diffidarlo dal continuare. Per ribadire la sua imparzialità, Prezzolini pubblicò nel 1924 un profilo di Mussolini e l’anno dopo un profilo di Giovanni Amendola, il maggior esponente dell’antifascismo liberale, più volte aggredito dagli squadristi (Quattro scoperte. Croce, Papini, Mussolini, Amendola, Roma 1964). Inoltre, nel 1925 pubblicò in francese un libro critico sul fascismo (Le fascisme, Paris 1925), che fu tradotto in molte lingue, ma non in italiano.
All’amico Soffici, che lo esortava a seguirlo nell’adesione al fascismo, rispose il 7 ottobre 1925: «Io non sono affatto avversario del governo Mussolini. Se Mussolini fosse solo avrei anzi per lui una simpatia soverchia e sarei disposto a lavorare con lui in piena fedeltà e lealtà […]. Ma tu capisci che io non posso essere con il Fascismo trionfante quando non ci fui quando il Fascismo era pericoloso; e non ci posso stare, oltre che per questa elementare dignità, anche perché non ne sento la retorica. Il mio ideale per la nazione mia, come per le altre, non è quello Fascista. E non mi pongo contro il Fascismo soltanto perché so che il mio ideale è qui in Italia irraggiungibile per ragioni storiche, e perfettamente vano» (G. Prezzolini - A. Soffici, Carteggio, II, 1920-1964, a cura di M.E. Raffi - M. Richter, Roma 1982, pp. 66 s.).
Tre mesi dopo Prezzolini si trasferì con la famiglia a Parigi, accettando la nomina a capo della sezione informazione presso l’Institut de coopération intellectuelle, un’istituzione della Società delle nazioni; la sua nomina era avvenuta con il voto contrario del rappresentante del governo fascista. All’inizio del 1926 giunse a Parigi anche Gobetti, vittima di violenze squadriste e diffide governative. L’aspra polemica politica non aveva guastato la loro amicizia, che durò fino alla morte del giovane intellettuale torinese, il 15 febbraio 1926.
Con il trasferimento in Francia, si chiuse definitivamente la fase della biografia prezzoliniana che la maggior parte dei suoi critici considera il periodo più significativo della sua presenza da protagonista nella storia dell’Italia contemporanea: giudizio, questo, condiviso dallo stesso Prezzolini, che di sé stesso scriveva il 3 gennaio 1926: «Soltanto coll’epiteto di ‘cadavere’ posso esprimere bene quella sensazione costante, che m’accompagna in tutti i momenti del giorno e della notte» (Diario, cit., p. 398). Abbandonata l’Italia, sentendosi senza patria né amici, Prezzolini visse da allora in costante denigrazione di sé, convinto del fallimento della sua vita e della sua opera. Pur conservando rapporti cordiali con Mussolini, si mantenne estraneo alle vicende italiane e ridusse la collaborazione giornalistica. Nel 1927 pubblicò in Italia una biografia romanzata di Niccolò Machiavelli (Vita di Niccolò Machiavelli fiorentino, Milano 1927, poi tradotta in molte lingue), con amare e ironiche allusioni critiche al fascismo e agli italiani.
Nel 1930 accettò la nomina a professore di letteratura italiana e di direttore della Casa Italiana presso la Columbia University a New York, dove aveva già tenuto corsi estivi nel 1923 e nel 1927. Negli anni successivi, si dedicò interamente all’insegnamento e alla direzione della Casa Italiana, collaborando saltuariamente a periodici italiani.
Nel ventennio dal 1928 al 1948 pubblicò una ricerca sui viaggiatori americani in Italia (Come gli americani scoprirono l’Italia.1750-1850, Milano 1933), una guida illustrata sull’Italia in inglese per l’Esposizione universale di New York (Italy, Firenze 1939) e un Repertorio bibliografico della storia e della critica della letteratura italiana dal 1902 al 1942 (I-IV, Roma 1937-1939; New York 1946-1948).
La direzione della Casa Italiana comportava contatti frequenti con la burocrazia del regime fascista. Talvolta, nei soggiorni estivi in Italia, Prezzolini era ricevuto da Mussolini a palazzo Venezia, ma faceva visita anche a Croce nel suo palazzo napoletano, dove il filosofo antifascista proseguiva l’opera culturale in una sorta di esilio interno, cordiale nei confronti dell’antico discepolo, ma disapprovando intimamente il suo atteggiamento conciliante verso il fascismo. In Italia vi furono intellettuali e deputati fascisti che lo accusarono pubblicamente di essere un antifascista, mentre negli Stati Uniti fu denunciato come agente fascista da una campagna giornalistica ispirata da Salvemini, che aveva rotto ogni rapporto con Prezzolini dopo il 1925 (cfr. G. Salvemini, Italian fascist activities in the United States, a cura di P.V. Cannistraro, New York 1977, pp. 167-171). In realtà Prezzolini esercitò la funzione di docente e direttore della Casa Italiana ottemperando alle direttive dell’Università americana per promuovere la diffusione della cultura italiana negli Stati Uniti senza preclusioni ideologiche, ospitando intellettuali, studiosi e scrittori sia fascisti sia antifascisti (O. Ragusa, Gli anni americani di Giuseppe Prezzolini. Il Dipartimento d’Italiano e la Casa Italiana della Columbia University, Firenze 2001).
Alle accuse di essere stato agente fascista, reiterate dopo la seconda guerra mondiale, Prezzolini replicò con prove documentarie che mai aveva eseguito direttive di Mussolini (La Casa Italiana della Columbia University, Milano 1976). Ma anche se non fu mai un ‘agente fascista’, effettivamente il suo atteggiamento verso il fascismo mutò negli anni Trenta. L’avversione cedette a una rassegnata accettazione, sostenuta, da una parte, dall’ammirazione personale per Mussolini e, dall’altra, dalla convinzione che il fascismo fosse un’espressione originale del carattere degli italiani, privi di tradizioni e attitudini democratiche. Fra il 1933 e il 1940, mentre annotava nel diario le critiche al regime fascista, sui giornali italiani Prezzolini espresse apprezzamenti per la politica popolare e assistenziale del regime. La sua accettazione del fascismo, senza condividerne l’ideologia né prestarsi a far da propagandista, si accentuò durante la guerra d’Etiopia, che pure aveva disapprovato. Ammirò il successo di Mussolini per la conquista dell’Impero, ma si augurò che, nella sua «grande saggezza», il duce avrebbe risparmiato altre guerre all’Italia (E. Gentile, Prezzolini e l’America negli anni del fascismo, in Prezzolini e il suo tempo, Atti del Convegno internazionale di studi… 2002, a cura di C. Ceccuti, Firenze 2003, pp. 233-252).
Nei confronti del Paese che lo ospitava e gli offriva un lavoro prestigioso che gli consentì di provvedere alla famiglia, Prezzolini fu sempre leale. Era affascinato dalla possente vitalità espansiva degli Stati Uniti, prevedeva la loro ascesa al primato mondiale, ma considerava gli americani un popolo politicamente ingenuo per i suoi ideali illuministi e democratici, e non ebbe alcuna simpatia per Franklin D. Roosevelt, eletto presidente nel 1932, al quale attribuiva propositi dittatoriali. Ma quando si avvide che l’Europa marciava verso una nuova guerra mondiale, pur manifestando antipatia per le democrazie anglosassoni, nel 1939 decise di prendere la cittadinanza statunitense, mentre la moglie e il figlio Giuliano (Alessandro era morto di tubercolosi nel 1934) erano rimasti in Italia. Nel dicembre del 1940, tuttavia, si dimise da direttore della Casa Italiana, conservando l’insegnamento. Quando Mussolini dichiarò guerra agli Stati Uniti, rifiutò la proposta di tornare in Italia. Denunciato nel 1941 da antifascisti italiani come agente fascista, subì un’indagine dell’FBI, che giudicò infondate le accuse (Prezzolini in America e il fascismo. Un memoriale, a cura di E. Bacchin, in Contemporanea, XI (2008), 2, pp. 243-256). Nel 1948 venne nominato professor emeritus e due anni dopo fu pensionato. Da quando aveva lasciato la Casa Italiana, viveva in un modesto locale sul terrazzo di un palazzo nei pressi dell’Università, con ampia vista su New York.
La seconda guerra mondiale, il distacco definitivo dalla famiglia e dagli amici italiani, la rovinosa disfatta dell’Italia, l’affossamento definitivo dell’egemonia europea resero più radicale il suo scetticismo e più cupo il suo pessimismo, che diedero l’intonazione ai suoi scritti nei decenni successivi.
Subito dopo la fine della guerra, pubblicò in inglese un libro sulla civiltà italiana e sul suo contributo alla civiltà umana, affermando che l’Italia era finita come Stato nazionale, anche se l’impalcatura unitaria era ancora in piedi (The legacy of Italy, New York 1947; trad. it., L’Italia finisce: ecco quel che resta, Firenze 1957). Nel 1946 riprese l’attività giornalistica come corrispondente dagli Stati Uniti per il quotidiano romano Il Tempo, poi per Il Resto del carlino e fu assiduo collaboratore del settimanale Il Borghese, fondato da Leo Longanesi nel 1950.
Fece ritorno per la prima volta in Italia nel 1955, dopo sedici anni, per un breve giro di conferenze. Nel 1962, morta la moglie Dolores, sposò Gioconda Savini, un’italo-americana che era stata segretaria nella Casa Italiana, e lasciò gli Stati Uniti per stabilirsi a Vietri sul Mare presso Salerno, dove rimase fino al 1968 quando si trasferì a Lugano.
Liberale conservatore (o «anarchico conservatore» come amava definirsi), anticomunista ma critico delle democrazie, negli anni fra il 1946 e il 1962 Prezzolini fu un acuto osservatore delle trasformazioni della società americana nel secondo dopoguerra, critico verso la politica estera degli Stati Uniti, da lui definiti «un impero senza imperialisti», perché non avevano una classe dirigente adeguata al rango di prima potenza mondiale, esposta alla sfida della Russia comunista (America in pantofole, Firenze 1950). Interpretò la guerra fredda non come conflitto ideologico fra democrazia e comunismo, ma come lotta per la supremazia fra due Stati imperiali (America con gli stivali, Firenze 1954). Il suo realismo si richiamava idealmente al pessimismo antropologico di Machiavelli e alla sua visione tragica della politica, considerata da Prezzolini essenzialmente anticristiana (Machiavelli anticristo, Roma 1954). Studiò inoltre l’emigrazione italiana, da lui definita «una tragedia», mettendone in luce le vicende dolorose vissute da generazioni successive di italiani, trapiantati in un mondo totalmente differente (I trapiantati, Milano 1963).
L’assidua produzione giornalistica accompagnata da libri composti con una scelta di articoli, lo stile chiaro e ironico, lo spirito polemico, la stessa immagine che dava di sé come «innamorato respinto» dell’Italia, che viveva da eremita su un terrazzo di New York, lo resero popolare fra i lettori italiani. Dopo il 1968 Prezzolini si fece promotore culturale di una destra conservatrice, fondata su valori morali più che su interessi economici (Il Manifesto dei conservatori, Milano 1972; Intervista sulla destra, Milano 1978). Negli stessi anni fu nuovamente attratto dal problema religioso, manifestando ammirazione per la Chiesa cattolica e interrogandosi sull’esistenza di Dio (Dio è un rischio, Milano 1969). La sua inquietudine religiosa richiamò l’attenzione di Paolo VI, che da giovane era stato lettore di Prezzolini e lo aveva già ricevuto in Vaticano nel 1966, e nel 1974 auspicò pubblicamente la sua conversione. Novantenne ancora laborioso nella produzione giornalistica, ma sempre più pessimista nella sua visione della vita e del mondo, tentò il suicidio come atto conclusivo, libero e razionale, in un’esistenza senza senso e scopo. Rimasto solo dopo la morte della seconda moglie, avvenuta il 28 novembre 1981, ebbe la consolazione di affettuosi riconoscimenti in occasione del suo centenario: il 14 gennaio 1982 fu ricevuto cordialmente al Quirinale dal presidente Sandro Pertini, e il 27 fu festeggiato con una cerimonia pubblica a Lugano, dove si svolse un convegno a lui dedicato, con la partecipazione, fra gli altri, di Renzo De Felice e Leo Valiani. «Sempre più mi rivolgo alla morte con la semplice conclusione di un sillogismo», annotò il 4 aprile 1982 nel suo diario, pensando al suicidio (Diario 1968-1982, a cura di Giuliano Prezzolini, Milano 1999).
Morì a Lugano il 14 luglio 1982.
Opere. Oltre alle opere già citate nel testo: Mi pare…, Fiume 1923; L’Italiano inutile: memorie letterarie in Francia, Italia e America, Milano 1953; Spaghetti Dinner, New York 1955; Saper leggere, Milano 1956; Il meglio di P., Milano 1957 (nuova ed. ampl., Milano 1971); Dal mio terrazzo (1946-1959), Firenze 1960; Ideario, Milano 1967; Il tempo della Voce, Milano 1967; Cristo e Machiavelli: assaggi sopra il pessimismo cristiano di Sant’Agostino e il pessimismo naturalistico di Machiavelli, Milano 1971; Italia fragile, Milano 1974; La Voce (1908-1913): cronaca, antologia e fortuna di una rivista, Milano 1974 (con E. Gentile - V. Scheiwiller); Modeste proposte scritte per svago di mente, sfogo di sentimenti e tentativo di istruzione pubblica degli italiani, Milano 1975; Storia tascabile della letteratura italiana, Milano 1976; Sul fascismo (1915-1975), Milano 1976; P. alla finestra, Milano 1977; Diario 1900-1941, Milano 1978; Diario 1942-1968, Milano 1980; Bruschette ticinesi, Giubiasco 1983; L’ombra di Dio, a cura di M. Marchione, Milano 1984; G. P.: una voce controcorrente, a cura di G. Ciabattoni - M. Naldini, Bologna 2002.
Fonti e Bibl.: Numerosi carteggi prezzoliniani sono stati pubblicati a partire dal 1975 dalle Edizioni di storia e letteratura. Lugano, Biblioteca cantonale, Archivio Prezzolini, dove sono conservati scritti, manoscritti e carteggi di Prezzolini (si veda Archivio Prezzolini. Inventario, a cura di F. Pino Pongolini - D. Rüesch, Bellinzona 1989). Si vedano in particolare: G. Vigorelli, Un omaggio a P., Roma 1954; E. Gentile, La Voce e l’età giolittiana, Milano 1972; P. 90, a cura di G. Longo, Milano 1972; G. P. 1882-1982. Atti delle giornate di studio… 1982, a cura di F. Pino Pongolini, Bellinzona 1983; M. Campanile, P., l’intellettuale, “La Voce”, Napoli 1985; F. Finotti, Una ‘ferita non chiusa’. Misticismo, filosofia, letteratura in P. nel primo Novecento, Firenze 1992; G. P. The American years 1919-1962, New York-Firenze 1994; R. Salek, G. P.: una biografia intellettuale, Firenze 2002; G. Benvenuto, G. P., Palermo 2003; G. Sangiuliano, G. P. L’anarchico conservatore, Milano 2008.