PRINZI, Giuseppe
PRINZI, Giuseppe. – Nacque a Messina l’11 settembre 1825 da Salvatore, commerciante, e da Paola Chillé; fu fratello maggiore del fotografo Rosario (Molonia, 2002, p. 12 n. 26).
In seguito, in sede ufficiale e privata, dichiarò una data di nascita posteriore, traendo in errore anche i biografi (Raggi, 1880, p. 452; De Gubernatis, 1889, p. 397; Cimbali, 1897-1898, p. 991).
Di famiglia non agiata, frequentò la scuola di disegno e pittura di Letterio Subba, divenendo poi allievo di Michele Panebianco (Saccà, 1900, p. 78). All’inizio del 1851 si trasferì a Roma, come si deduce da una lettera di presentazione del 31 dicembre 1850 redatta dallo studioso messinese Carmelo La Farina e destinata a Salvatore Betti, segretario dell’Accademia di S. Luca, che annunciava l’arrivo «in codesta metropoli delle arti ad apprendere la statuaria» del «giovine Giuseppe Prinzi mio concittadino» (Fiorito, 2011, p. 143). L’anno successivo venne raggiunto dal fratello (p. 145). Fu introdotto nei circoli di illustri siciliani residenti nell’Urbe ed ebbe importanti contatti con il mondo ecclesiastico, tanto da venire apostrofato come «artista guelfo» (Cimbali, 1897-1898, p. 991).
Oreste Raggi lo ricorda studente dell’Accademia di S. Luca, ma il nome non figura nella documentazione accademica; lo celebra inoltre quale uno dei principali seguaci siciliani di Pietro Tenerani, pur essendo poco plausibile che ne sia stato allievo per ben dieci anni (Raggi, 1880, p. 452), dal momento che giunse a Roma già ventiseienne. Inizialmente Prinzi tentò di emulare lo stile del maestro, ma rapidamente se ne distaccò, migliorando la propria esecuzione e dando buona prova di sé soprattutto nella ritrattistica.
Nel 1855 venne inaugurato a Messina il busto di Francesco Maurolico (villa Mazzini): sebbene Prinzi vi traducesse accademicamente la ieraticità dello stile di Tenerani, già vi si scorge quel realismo moderato che avrebbe costituito il suo inconfondibile tratto, insieme alla notevole volumetria delle figure (Fiorito, 2011, p. 153).
Per S. Andrea della Valle modellò l’Immacolata Concezione (1855-56), una delle prime realizzate a Roma all’indomani della proclamazione del dogma (8 dicembre 1854); già da questo gesso è evidente che la sua arte fu soggetta a sollecitazioni iconografiche eterogenee, originalmente rielaborate: esso rimanda infatti sia al Cristo di Copenaghen di Bertel Thorvaldsen sia alla Madonna del Granduca di Raffaello (p. 167).
Il 3 settembre 1856 Prinzi firmò l’importante contratto per la Messina riconoscente alla sovrana concessione del Portofranco (1856-59; Archivio di Stato di Messina, Fondo notarile Messina, Notaio Ciraolo Placido, vol. 159, n. d’ordine 782): nel luglio del 1857 espose il modello nel suo studio al civico 7 di Trinità dei Monti (Dott. S. L., Belle Arti, in Il Tremacoldo, 29 agosto 1857, p. 642), dove in seguito presentò anche L’angelo della pace e il demone della discordia (Giornale di Roma, 22 maggio 1858), poi inserito nel monumento funerario di Giovanni ed Enrico Rigacci (1881, Roma, cimitero Monumentale del Verano).
La Messina, che ricalca in parte l’Immacolata, sarebbe stata in seguito rinnegata dallo scultore (G. Oliva, Annali della città di Messina capitale del Regno di Sicilia, VIII, Messina 1954, p. 47), la cui maniera si era ormai evoluta.
Come Tenerani, Prinzi tentò di adattare lo stile alla natura del soggetto: sempre al 1857 risalgono infatti Giovanni Capece Minutolo (Messina, casa di ospitalità Collereale), la Vergine annunziata (Napoli, Palazzo Reale) e il Cristo (Roma, S. Andrea della Valle; Fiorito, 2011, p. 174). Mentre il ritratto laico è impregnato di accademismo, nei due sacri Prinzi si confrontò abilmente con il purismo, superando l’interpretazione superficiale datane da altri artisti; vi prevalgono la pura delicatezza della linea e quel sincero sentimento cristiano richiesto dal Manifesto di Antonio Bianchini (p. 154).
Nel 1858 ricevette dall’intendente del Vallo di Messina l’incarico per la copia della Scilla di Giovanni Angelo Montorsoli, ma ne realizzò solo il calco in gesso (1858, Museo regionale Maria Accascina), dato che gli venne preferito Subba.
Il 14 luglio 1859 sposò la ventiquattrenne Maria Carolina ‘Carlotta’ Biscasillas, di agiata famiglia di origine spagnola (p. 147). Di lei è pervenuto un ritratto in gesso modellato da Prinzi verso la fine del secolo (collezione privata; p. 226). Già il 28 novembre registrò a Messina la nascita della prima figlia, Anna. All’epoca era domiciliato nella strada del Cardines (Molonia, 2002, p. 12 n. 26), ma in seguito spostò la residenza a Roma: nel settembre del 1860 risultava proprietario di alcuni fienili presso l’attuale salita di S. Nicola da Tolentino, poi convertiti in studi di scultura e pittura con abitazioni per sé e per affittuari (Fiorito, 2011, pp. 148, 151 n. 503); mantenne comunque uno studio a Messina in via Verdi, per meglio gestire le commissioni insulari.
Il suo atelier romano ospitò una ricca gipsoteca, da lui poi devastata: pur avendo smesso di lavorare, gli esattori continuarono infatti a tassarlo, ritenendo quei gessi prova di commissioni; esasperato, li distrusse (Cimbali, 1897-1898, p. 995).
Tra i locatari di palazzo Prinzi vi furono Francesco Fabi Altini e Vasilij Alexandrovič Kotarbinsky, autore del ritratto della figlia Emilia (fine del XIX secolo, collezione privata; Fiorito, 2011, p. 149 n. 494). La famiglia si era infatti allargata: nel 1861 era nato Francesco Paolo, nel 1862 Daniele, nel 1866 Salvatore; quindi Pio, appunto Emilia, e infine Maria (p. 151 n. 504).
Le commissioni si susseguirono: con i busti messinesi di Tommaso Salvini (1859, teatro Vittorio Emanuele), Michele Panebianco (1860, cimitero Monumentale) e Federico Grill (1860, Accademia Peloritana dei Pericolanti) si fece sempre più evidente la propensione al realismo, che sarebbe culminata nei ritratti romani di padre Angelo Secchi (1879, Pincio; 1889, palazzo della Cancelleria) e Virginio Vespignani (1883, cimitero Monumentale del Verano) e in quello di Giuseppe Maria Papardo (1882, Monreale, S. Rosalia fuori le Mura). Al 1874 risale l’Antonello da Messina con berretto alla veneziana (Messina, Museo regionale Maria Accascina). Nel 1870 aveva inoltre iniziato a firmarsi «cavaliere», titolo forse ricevuto quello stesso anno.
Il primo monumento funerario fu destinato a Francesco di Paola Villadicani e collocato nel Duomo di Messina (1864); accanto sarebbe poi stato installato quello per Luigi Natoli (post 1875), ed entrambi sarebbero stati gravemente danneggiati dal terremoto del 1908.
Se la figura genuflessa in preghiera del cardinale Villadicani rimanda al Clemente XIII Rezzonico di Antonio Canova, la Fortezza e la Giustizia del monumento di Andrea Pila (1869, Roma, S. Andrea della Valle) si ricollegano invece ai modelli iconografici di Tenerani e Thorvaldsen, privati della loro ieraticità (pp. 154, 197 s.).
Nei rilievi Ultima cena e Incontro tra Abramo e Melchisedec (1870, Ragusa, cattedrale di S. Giovanni) Prinzi si pose in dialogo diretto con la cultura rinascimentale: Raffaello e Leonardo, ma anche l’ambito lombardesco e gagginiano (pp. 154, 197-199). Nelle Memorie funebri dei fratelli Quaglia e dei coniugi Quaglia Bruschi (1870, Tarquinia, S. Leonardo; pp. 202-204) si riproposero invece modelli teneraniani, aggiornati sulla base del «bello naturale» di Lorenzo Bartolini (p. 156). Sempre per Tarquinia l’artista scolpì gli angeli bronzei del monumento funerario di Angelo Quaglia (1875, S. Leonardo) e il cenotafio di Maria Giustina Quaglia Bruschi Falgari (1878-85, S. Francesco; p. 257).
I monumenti funerari di Mario Mattei (post 1870, Città del Vaticano, S. Pietro) e di Antonino de Luca (1883, Roma, S. Lorenzo in Damaso) rendono invece evidente il debito di Prinzi verso la Raccolta di Francesco Maria Tosi (Raccolta di monumenti sacri e sepolcrali scolpiti in Roma nei secoli XV e XVI, I-IV, s.l. 1853, V, a cura di G. Checchetelli, s.l. 1860), che nell’intenzione dell’autore nasceva come repertorio di forme architettoniche. Prinzi invece ne attinse per la costruzione delle scene: usò infatti la produzione incisoria quale strumento di elaborazione iconografica, retaggio forse del metodo formativo di Subba (Fiorito, 2011, pp. 27-40, 156), che implicava uno studio continuo delle incisioni (Saccà, 1900, p. 19).
Un altro maestro di Prinzi fu il rinomato incisore Tommaso Aloysio Juvarra, cui lo scultore dedicò un articolato monumento funerario (1875-80, Roma, cimitero Monumentale del Verano), oggi mutilo così come quello di Calcedonio Soffredini, ospitato nello stesso cimitero (1878; Fiorito, 2011, p. 227). Più essenziale è invece la memoria funebre di Celestino Benedetti (post 1870, Frascati, cimitero Comunale; p. 209).
Con la Flora di Campobasso (1873) l’artista si confrontò con un tema trattato da Tenerani: la leggiadria eterea e la grazia adolescenziale della Flora del maestro non trovano però riscontro nella dea adulta e sensuale di Prinzi.
Nel 1878 concluse il S. Guglielmo per S. Pietro in Vaticano, commissionato dai benedettini del santuario di Montevergine di Mercogliano, dove se ne conserva il gesso (1877 circa); coevo è il S. Benedetto scolpito per Norcia (1878-80).
Nel 1881 Prinzi modellò il bozzetto, oggi disperso, del Monumento meteorologico di padre Angelo Secchi, mai convertito in marmo.
L’anno successivo partecipò al concorso indetto dall’Accademia di S. Luca per l’esecuzione dei dodici apostoli per S. Paolo fuori le Mura, superando la prima selezione (Atti della R. Accademia romana di belle arti denominata di San Luca, Roma 1894, pp. 58-67).
Prinzi prese parte a un’esposizione di belle arti solo nel 1887: alla Nazionale di Venezia presentò la Sepoltura di Cristo (1886, Acireale, castello Pennisi di Floristella), una delle poche opere realizzate sotto l’impulso di «ispirazione propria» (Cimbali, 1897-1898, p. 993).
Il rilievo venne acquistato dal barone acese Agostino Pennisi di Floristella, già committente della Storia riconoscente al Genio della Numismatica con il bassorilievo di Pasquale Pennisi (1880, palazzo Floristella) e di quattro busti, raffiguranti lui stesso e la moglie, Giuseppina Alessi (1881, castello Pennisi di Floristella), suor Maria Maddalena e suor Maria Rosa Russo Pennisi (1881 circa, ospedale vecchio di S. Marta e S. Venera). Il Duomo di Acireale ospita inoltre un ritratto di Pio IX (1878).
Le ultime opere documentate sono i rilievi allegorici in gesso Roma e Sicilia (1889-90, Roma, villa Durante) e il cenotafio di Francesco Maria Cirino (post 1892, Roma, S. Andrea della Valle).
Nell’estate del 1893 Prinzi venne colto da un ictus che lo provò duramente. Morì a Frascati il 6 luglio 1895, a causa di un secondo colpo apoplettico (p. 994). Venne sepolto al Verano presso la concessione di famiglia, dove già riposava il figlio Daniele, deceduto nel 1882.
L’epigrafe funeraria erroneamente lo ricorda scomparso «nell’età di anni 65». La tomba è segnalata dal gruppo marmoreo della Speranza (1878; Fiorito, 2011, pp. 230-232), dalla elegante linearità purista: insieme alla Carità del monumento Quaglia Bruschi, essa costituisce una delle migliori prove dello scultore.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Messina, Fondo notarile di Messina, Notaio Ciraolo Placido, vol. 159, n. 782.
O. Raggi, Della vita e delle opere di Pietro Tenerani, del suo tempo e della sua scuola nella scultura, Firenze 1880; A. De Gubernatis, Dizionario degli artisti italiani viventi: pittori, scultori e architetti, Firenze 1889; G. Cimbali, Artisti scomparsi. G. P., in Natura e arte, VIII (1897-1898), 1, pp. 990-995; V. Saccà, La cattedra di Belle Arti nella Università di Messina: studi e ricerche, Messina 1900; L. Paladino, P. G., in L. Sarullo, Dizionario degli artisti siciliani. Scultura, a cura di B. Patera, III, Palermo 1994, pp. 270 s.; G. Barbera, Nuove riflessioni su G. P., in Messina riconoscente alla sovrana concessione del Portofranco di G. P., Messina 2002, pp. 14-27; G. Molonia, L’ampliamento del Portofranco di Messina e la statua di G. P., ibid., pp. 4-13; V. Fiorito, Saro Zagari, G. P. e la scultura in Sicilia dal Neoclassicismo al Realismo, tesi di dottorato in storia dell’arte contemporanea, Università degli studi di Napoli Federico II, 2011 (con bibliografia precedente).