RAFFAELLI, Giuseppe
RAFFAELLI (Raffaele), Giuseppe. – Nacque a Catanzaro il 20 febbraio 1750 (o come altri riportano, nel 1747) da Francesco, avvocato, e da Elisabetta Calabretti.
Studiò nel collegio dei gesuiti di Catanzaro, dove frequentò i corsi liceali fino al 1766. Conclusi gli studi umanistici, per dedicarsi a quelli giuridici si trasferì a Napoli dove pare che abbia anche avuto modo di seguire le lezioni di Antonio Genovesi e di Ferdinando Galiani; unì, inoltre, allo studio del diritto quello dell’anatomia frequentando i corsi del medico Domenico Cotugno.
Nel 1770 acquisì una certa notorietà per aver difeso la causa di Cecilia Faragò di Soveria Simeri, accusata di stregoneria, nel giudizio d’appello davanti alla Gran Corte della Vicaria (Difesa di Cecilia Faragò inquisita di fattucchieria, Napoli 1771). L’efficacia della difesa di Raffaelli indusse Ferdinando IV, nel 1771, ad abrogare dalle leggi penali del Regno il delitto di magia.
In quegli anni svolse un’intensa attività forense sia come semplice avvocato sia come avvocato dei poveri nella Reale Camera di Santa Chiara, attività che diede vita alla pubblicazione di numerose allegazioni fra le quali si ricordano: Le ragioni di Francesco Borgese di Giovanni Domenico preteso reo di assistenza nell’omicidio di Gaspare Drago indirizzate al Regio Consigliere signor D. Niccola Garofano, caporuota egregio della G.C. (Napoli 1768); Difesa di Melchiorre Renda (Napoli 1770); Per D. Ignazio Poerio (Napoli 1775); A pro di Francesco Nescia nella Real Camera di S. Chiara (Napoli 1779); Contro a D. Vincenzo Durante, Giuseppe Marcarella, Onofrio Generoso ed Angelo Cassella (Napoli 1783). Nonostante una predilezione per le cause criminali, nello stesso periodo non furono poche le difese civili pubblicate a suo nome: Per gli partecipanti, o siano mansionarj della maggior chiesa delle Noci contro al capitolo della medesima terra nella Real Camera di Santa Chiara. Commessario il signor caporuota D. Domenico Salamone (Napoli 1774); Per D. Antonio Scoglio contra il canonico D. Antonio Angiovino e ’l prete D. Agapito Mannarino (Napoli 1774); Per D. Antonio Scoglio in risposta alla breve allegazione mandata fuori per D. Antonio Angiovino e D. Agapito Mannarino (Napoli 1774). Insieme a Niccola Girace patrocinò la causa a pro di D. Fortunato Asciuti in sostegno del fedecommesso ordinato da D. Biagio Asciuti il vecchio nel 1701 (Napoli 1780); Apologia dell’allegazione scritta in difesa del fedecommesso istituito da d. Biagio Asciutti il vecchio (Napoli 1780). Risolse, insieme a Giovanni Tranfo, la spinosa questione ereditaria a pro de’ fratelli di Medici e Savarese e insieme ad Andrea Tontulo a pro di D. Domenico, D. Giuseppe, D. Raffaele, D. Vincenzio, D. Ignazio, D. Pasquale e D. Annamaria Medici (Napoli 1780). Perorò la causa a pro della Citta di Conversano nella Regia Camera della Sommaria (Napoli 1793) e a pro di D. Ottavio Ferroni nella G. Corte Civile (Napoli 1798).
Nel 1799 Raffaelli aderì alla Repubblica napoletana venendo quindi nominato dal governo partenopeo presidente del primo tribunale di Stato e componente della commissione legislativa. Caduta la Repubblica e restaurata la monarchia borbonica, la giunta di Stato lo condannò all’esilio perpetuo e alla confisca dei beni risparmiandogli la vita per verdetto paritario. Si rifugiò dapprima in Francia, quindi a Torino e infine a Milano dove, nel 1801, il governo della Repubblica cisalpina lo chiamò a insegnare pratica civile e criminale e di jus municipale nel liceo di Brera inaugurando l’insegnamento il 1° giugno 1801 (Orazione inaugurale di Giuseppe Raffaelli professore d’Alta eloquenza nel Ginnasio Nazionale di Brera recitata in esso a dì 12 pratile anno IX, Milano [1801]). Programma del corso affidatogli era istruire i giovinetti «a conoscer le Leggi sopra i delitti, e le pene, e con esse le gelose maniere, ond’elle si pongano in opera, vale a dire la istituzione in quella parte della Scienza del Diritto, che decide della libertà civile, dell’onore, della vita degli Uomini» (p. V).
Nel 1803 gli venne offerta la cattedra di diritto civile presso l’Università di Pavia, che però egli rifiutò adducendo come scusa problemi di salute. Elaborò delle Avvertenze sul progetto di metodo di procedura criminale della Repubblica italiana (1802) e durante lo svolgimento dell’attività accademica concepì un Progetto per lo stabilimento degli studj di Diritto nel Regno d’Italia (1805). Tra il 1805 e il 1806 fu nominato membro della commissione legislativa del Regno italico.
Durante il soggiorno milanese Raffaelli proseguì l’esercizio dell’attività forense, come testimoniano le difese a pro di Carlantonio Arigone e a pro di Augusto Douranoski e di Antonio Kochanowski (pubblicate con il titolo Due aringhe penali di Giuseppe Raffaelli nei Tribunali di Milano nel 1801, Napoli 1873) e a pro del capitano ajutante di campo Bonaventura Amorelli contro alla ditta Brambilla Margheritis (Milano 1805).
Nel 1807 rientrò a Napoli e con le credenziali di André-Joseph Abrial venne chiamato da Giuseppe Bonaparte a importanti funzioni: fu membro della commissione feudale, presidente della commissione incaricata per la preparazione del codice penale e infine membro della commissione creata per la nomina dei nuovi magistrati. A Raffaelli si deve anche una traduzione del codice civile napoleonico da estendere al Regno di Napoli, alla quale però fu preferita quella realizzata a Milano perché giudicata più fedele al testo originale. Come segno di apprezzamento per l’attività svolta fu nominato, nel 1808, cavaliere del Reale Ordine delle Due Sicilie. Istituita nel 1808 la Corte di cassazione di Napoli, egli fu il primo a ricoprire in essa le funzioni di procuratore generale.
In occasione dell’istituzione del supremo tribunale pronunciò un discorso inaugurale (Discorso del Cavalier Giuseppe Raffaelli regio Procurator Generale presso la G. Corte di Cassazione pronunziato a dì 7 gennaio del 1809. Nell’atto dell’istallazione solenne, Napoli 1809). In tale circostanza delineò la funzione nomofilattica della Corte «destinata a serbare come deposito della Legge, e della sua ingenua dottrina, a chiamare verso la luce e la regola sua ogni giudice che venisse a smarrirla, e ad essere come il centro ed il regolo di tutte le linee del Potere giudiziario» (p. 3). Sottolineò, inoltre, la necessità di avere delle leggi chiare, precise e utili che non destassero equivoci o interpretazioni oscure; secondo Raffaelli la suprema magistratura era, dunque, delegata a intervenire in caso di lacuna normativa esercitando, talvolta, un potere di sorveglianza e censura sopra gli organi del potere giudiziario.
Nel 1809 inviò a Giuseppe Luosi, gran giudice ministro di Giustizia del Regno d’Italia, un progetto di codice di procedura penale composto da 551 articoli che, però, non fu mai approvato (Progetto di codice di procedura criminale, Napoli 1809).
Dalla carica di procuratore generale venne innalzato, nel 1810, a quella di membro del Consiglio di Stato nel cui ambito fu nominato successivamente presidente della sezione legislativa.
La Restaurazione non pregiudicò la prestigiosa posizione raggiunta sotto il caduto governo. Egli, infatti, non fu epurato dai ruoli della magistratura venendo invece inserito dal re Ferdinando di Borbone nella Commissione consultiva temporanea e poi designato vicepresidente del Consiglio delle grazie. In seguito, nel 1815, in considerazione della sua autorevolezza di giurista e delle specifiche competenze in materia criminale, fu chiamato a far parte della commissione incaricata per la compilazione di un completo corpo di diritto patrio nella sezione deputata alla compilazione del codice penale e di procedura penale.
Nel 1817 fu nominato consigliere soprannumerario della Corte suprema di giustizia. Contrariato da tale nomina, da lui ritenuta inferiore rispetto alle cariche precedentemente ricoperte e comunque ai meriti acquisiti, rinunciò a questa e a ogni altra funzione pubblica ritirandosi a vita privata nella sua villa di Capodimonte. Qui scrisse la Nomotesia penale, un trattato di diritto penale del quale riuscì a pubblicare, tra il 1820 e il 1826, solo cinque volumi riguardanti la Paranomia (I-II), la Prevenzione (III) e le Pene (IV-V).
Raffaelli concepì la Nomotesia penale come «la Scienza, che insegna[va] a’ Governi di dettare a’ lor Popoli le buone leggi sopra i delitti, e le pene» (I, Napoli 1824, p. 1). Nel Prospetto dell’opera (pp. 1-16) Raffaelli tratteggiò su quali fondamenti intendeva costruire la propria teoria penale; otto, infatti, dovevano essere i cardini sui quali egli organizzò la Nomotesia, ovvero: Paranomia, Prevenzione, Pene, Metometro, Azionabili, Probabili, Processo e Ipodicia. La raffinata opera di Raffaelli – di titolo alquanto singolare – non fu apprezzata dai giuristi a lui contemporanei perché ritenuta, non senza ragione, troppo filosofica e ridondante di grecismi, non avendo egli tenuto conto nella sua elaborazione delle esigenze della prassi e soprattutto dei mutamenti legislativi intervenuti. Da un sistema retto dal diritto comune, dalle prammatiche e dai responsa prudentium, si era infatti ormai passati a un ordinamento basato sui codici moderni per cui le argomentazioni di Raffaelli non potevano non accusare un certo anacronismo che condannò l’intera opera a un veloce oblio.
Anche negli ultimi anni della sua vita esercitò con zelo e passione l’attività forense. La sua ultima memoria difensiva è da considerarsi quella sostenuta insieme a Felice Parrilli e Bonaventura Leocani a pro degli eredi di D. Nicola de Tintis contra il Capitolo della Chiesa delle Noci nella Corte Suprema di Giustizia (Napoli 1823).
Aveva sposato Carlotta Gareani, dalla quale ebbe due figli, Angelica ed Eugenio. Quest’ultimo, che seguì le orme paterne divenendo a sua volta avvocato, sposò Adelaide Nicolini, figlia del celebre giurista abruzzese Niccola.
Morì a Napoli il 26 febbraio 1826.
Venne descritto in una memoria anonima riguardante gli uomini del decennio francese – conservata presso l’Archivio di Stato di Napoli – come un «uomo di sommo onore e di perfetta rettitudine. Bella eloquenza. Stranissimo nelle combinazioni dell’estere cognizioni. Giusto giureconsulto. Poverissima fortuna» (Archivio Tommasi, b. 5, f. 39).
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Napoli, Collezione delle leggi e dei decreti originali, XV, XXXIV, CXXI; Archivio Tommasi, b. 5, f. 39; Tesoreria generale, Assienti, b. 8, cc. 1r, 145v; Gran Corte della Vicaria, fascio 37, f. 1537: G. Raffaele contro Cecilia Faragò per corresponsione di onorario; Archivio di Stato di Milano, Atti di Governo, Giustizia Punitiva, parte moderna, cartt. 9, 18, 21; Autografi, 152, f. 7; Atti di Governo, Studi, parte moderna, 849, ff. 20, 23, 24.
P. Panvini, G. R. celebre giureconsulto, in Biografia degli uomini illustri del Regno di Napoli, XII, Napoli 1827, pp. 455-470; N. Morelli, Elogio funebre di G. R., in Id., Opere, I, Napoli 1846, pp. 133-138; N. Nicolini, Quistioni di diritto, I, 4, Della divisione dell’avvocheria criminale dalla civile, Napoli 1869, pp. 426-428; L. Accattatis, Le biografie degli uomini illustri delle Calabrie, III, Cosenza 1877, pp. 257-261; P. Arena, G. R. nel rinnovamento del diritto criminale, in Studio giuridico napoletano, XIII, Aversa 1926; L. Landolfi, Il Foro napoletano nei suoi maggiori, Napoli 1926, pp. 46-48; G. Sabatini, Conferenze, Catanzaro 1926, pp. 111-148; C. Sinopoli, G. R. cenno biografico nel primo centenario della sua morte, Catanzaro 1926; D. Pittelli, G. R., in L’almanacco dell’avvocato, X (1932), pp. 39-48; C. Minieri Riccio, Memorie storiche degli scrittori nati nel regno di Napoli, rist. anast., Bologna 1967, p. 290; E. Dezza, Il codice di procedura penale del Regno Italico (1807), Padova 1983, pp. 182 s.; F. Mastroberti, Codificazione e giustizia penale nelle Sicilie dal 1808 al 1820, Napoli 2001, pp. 153-160; Id., Tribunali e giurisprudenza nel mezzogiorno, I, Le Gran Corti Civili (1817-1865): Napoli e Trani, Napoli 2010, p. 34; Id., R. G., in Dizionario biografico dei giuristi italiani (XII-XX secolo), a cura di I. Birocchi et al., Bologna 2013, pp. 1645 s.; A. Bongarzone, G. R. e lo strumento della comparazione per il rinnovamento del diritto criminale, in Diritto ed economia nella Calabria moderna, a cura di A. Scerbo, Milano 2014, pp. 121-136.