RAFFAELLI, Giuseppe
RAFFAELLI, Giuseppe. – Nacque a Montefiascone nel 1671 (Desmas, 2012), ma si ignorano le generalità del padre e della madre, così come resta ancora avvolta nell’ombra la sua formazione artistica, svoltasi, quasi certamente, in una delle botteghe romane dell’ultimo quarto del Seicento, forse quella di Camillo Rusconi. La prima segnalazione della sua presenza in un cantiere scultoreo risale al 1696, quando aveva ormai venticinque anni e doveva essere riconosciuto come un maestro autonomo. L’intervento si inserisce nel contesto dei lavori decorativi all’interno della chiesa di S. Maria Maddalena a Roma, in cui le sei nicchie delle pareti laterali furono completate con altrettante statue, tradizionalmente attribuite dalle guide storiche a Paolo Morelli. Un documento reso noto da Luisa Mortari (1987) ha invece chiarito che a eseguire la figura della Semplicità fu proprio Raffaelli: in un primo atto del 4 gennaio 1696 l’artista si impegnava a scolpire un «S. Giuseppe a figura in piedi, con il Bambino in braccio» (Mortari, 1987, p. 53), ma a seguito del mutamento del programma iconografico, con la scelta di rappresentare le virtù della Confessione Sacramentale, il 22 novembre successivo fu stilato un nuovo contratto con il quale gli fu affidata l’esecuzione della suddetta allegoria.
Lo scultore si impegnava a portare a compimento il lavoro entro due anni per un compenso complessivo di 200 scudi, e già nel luglio del 1698 il marmo veniva collocato nella terza nicchia di sinistra; l’opera rivela il temperamento di un artista ormai completo, e si contraddistingue per la compostezza accademica delle forme unita a una spiccata eleganza e delicatezza dei tratti, di stampo pienamente tardobarocco. Al Museo nazionale del Palazzo di Venezia (inv. PV.167) si conserva il modello in terracotta della testa della Semplicità, anch’esso attribuito nel tempo a Pietro Bracci, Antonio Raggi e François du Quesnoy, e correttamente associato alla scultura della Maddalena da Antonia Nava Cellini (1966).
Sempre nel 1698 Raffaelli lavorava in un altro importante cantiere, avviato alla chiesa Nuova su impulso di padre Sebastiano Resta in previsione dell’imminente anno giubilare. In quell’occasione furono commissionate quattordici tele per la navata maggiore e le relative cornici in stucco, su modello di Rusconi: in questo contesto lo scultore realizzò l’incorniciatura con angeli e putti per il dipinto di Giuseppe Ghezzi (Rebecca ed Eleazaro) nella quarta campata di destra, lavoro che gli fu pagato il 23 aprile e il 23 settembre 1698, e ancora quella con putti per la tela di Giuseppe Passeri (Traditio Clavium) nella terza campata di sinistra, opera saldata il 13 ottobre dello stesso anno (Dunn, 1982).
Nel 1699 Raffaelli fu coinvolto nei lavori diretti da Sebastiano Cipriani nella cappella Altieri in S. Maria in Campitelli, destinata a ospitare i monumenti del principe Angelo e di sua moglie Vittoria Parabiacchi. Proprio sopra il sacello di quest’ultima era collocato «un putto di marmo [...] in cui si legge il nome della Principessa», oggi non più visibile, eseguito da Raffaelli e per il quale fu pattuito un pagamento di 60 scudi, al pari di quelli scolpiti dai suoi colleghi Alessandro Rondone, Jacopo Antonio Lavaggi e Giuseppe Napolini (Anselmi, 1993). Nel 1702 gli fu affidata la statua di S. Gervasio Martire in travertino per uno dei bracci dritti del colonnato di S. Pietro, per la quale ricevette 80 scudi il 23 luglio dell’anno seguente (Pedroli Bertone, 1987); la figura, magniloquente nell’impostazione del panneggio, mostra una certa gentilezza nell’espressione del volto, non dissimile dalle tenui fattezze della Semplicità alla Maddalena.
A partire dal 1704 Raffaelli entrò nel novero dei numerosi artisti impegnati nei lavori del monumento funebre di papa Alessandro VIII, allestito alla sinistra dell’abside della basilica Vaticana. Benché il cardinale Pietro, nipote del pontefice scomparso nel 1691, avesse avviato il cantiere già nel 1694, le operazioni entrarono nel vivo solo qualche anno dopo, quando venne realizzato un modello a grandezza naturale in legno e gesso su progetto del conte Carlo Enrico di San Martino. Il primo elemento, scolpito da Angelo de Rossi, a essere posto in situ nel 1704 fu il rilievo con la Canonizzazione di cinque santi; in quel frangente furono realizzate anche le figure in stucco a grandezza naturale del pontefice benedicente e delle due allegorie della Religione e della Prudenza. Il 26 settembre di quell’anno Raffaelli ricevette due pagamenti: il primo, di 15 scudi, «per haver aiutato un mese al Conte San Martino, il quale fece di sua mano il modellone in grande di stucco d’una delle statue laterali del deposito in San Pietro», e il secondo, per una somma ben più consistente di 81 scudi e 70 baiocchi, «per haver aiutato nei lavori della sua professione di scultore al detto Genovese [De Rossi] intorno alle tre accennate statue» del papa e delle due allegorie (Olszewski, 2004, p. 292). Il 4 novembre seguente, a Raffaelli vennero versati 10 scudi per aver modellato, sempre in stucco, la figura dell’Immortalità che doveva sorreggere lo stemma papale, realizzato a sua volta dallo stuccatore Giuseppe Lurasca (Olszewski, 2004); la scultura non venne tuttavia utilizzata nella versione finale del monumento, che vede l’arme papale posizionata isolatamente sulla trabeazione della nicchia che ospita il sacello.
Nel 1706, in occasione della traslazione delle spoglie di Alessandro VIII in S. Pietro, il deposito fu scoperto nella sua versione provvisoria, e solo allora De Rossi iniziò a intervenire sui marmi e a predisporre i calchi per la fusione in bronzo dell’effigie del pontefice: tuttavia la sua morte, occorsa nel 1715, interruppe bruscamente i lavori. Nuovi sostanziali interventi per portare finalmente a compimento il sacello furono promossi dal cardinale Pietro Ottoboni in previsione dell’ormai prossimo anno santo. Così il 26 marzo 1723 venne stanziato un acconto di 80 scudi a favore di Raffaelli – riconfermato il 10 luglio dell’anno seguente – «per lavori fatti e da farsi nelle due statue di marmo che sono in Cancelleria» (Olszewski, 2004, p. 286; dove De Rossi aveva il suo studio), e cioè le figure allegoriche della Religione e della Prudenza, in cui lo scultore dovette intervenire in operazioni di piccola entità, a completamento e rifinitura di alcuni dettagli. Ancora, il 7 marzo del 1725, si registra un pagamento di 20 scudi a suo favore per generici «lavori fatti nel deposito della S. M. d’Alessandro Ottavo», probabilmente da identificarsi con operazioni relative alla definitiva messa in opera delle diverse sculture in S. Pietro (Olszewski, 2004, p. 287).
Al 1728 risale una delle poche informazioni relative alla vita dell’artista, che proprio quell’anno risulta abitante in piazza dei Cimatori nella parrocchia di S. Lorenzo in Damaso (Desmas, 2012), non distante dal palazzo della Cancelleria, sede della corte del cardinale Ottoboni. Tale contingenza lascia supporre che Raffaelli abbia continuato a orbitare intorno alla committenza del porporato e alla scuola di Angelo De Rossi, come starebbe a dimostrare anche l’ultima opera a oggi nota a lui riferibile. Si tratta della statua della Temperanza destinata al vestibolo meridionale dell’atrio di S. Pietro, inizialmente commissionata allo scultore Francesco Moderati, già allievo di De Rossi. Questi fu pagato per dare l’avvio ai lavori nell’agosto e nel dicembre del 1728, ma dopo tale data la scansione dei versamenti nei registri della Reverenda Fabbrica si interrompe, quasi certamente a causa dell’intervenuta morte dell’artista. A Moderati subentrò dunque Raffaelli, come dimostra un’attestazione di pagamento del 12 febbraio 1730, quando lo scultore riscosse 30 scudi «a conto della statua travertina rappresentante la Temperanza» (Enggass, 1976, p. 176). Il 5 luglio dell’anno successivo la scultura risultava terminata e «già posta in una nicchia del portico della basilica Vaticana», e Raffaelli poteva riscuotere l’ultimo versamento di 40 scudi, per un saldo complessivo di ben 400 (p. 176). L’entità della somma, unita al ridotto apporto di Moderati, induce a considerare la Temperanza come opera autonoma e pienamente autografa; anche dal punto di vista dello stile, la figura, sottolineata dall’ampio avvilupparsi del panneggio e dagli accenti delicati dell’espressione, ben si iscrive nel ridotto catalogo dell’artista e si avvicina nell’aspetto al pacato classicismo della Semplicità nella chiesa della Maddalena.
Il documento del 5 luglio 1731 risulta l’ultima attestazione relativa allo scultore, ed è intorno a questa data che si fa risalire tradizionalmente il momento della sua morte.
Fonti e Bibl.: F. Titi, Studio di pittura, scoltura et architettura nelle chiese di Roma… [1674-1763], ed. comparata a cura di B. Contardi - S. Romano, Roma 1987, pp. 16, 242, 244; A. Schiavo, Palazzo Altieri, Roma s.d. [ma 1962], p. 193; Id., Il monumento sepolcrale di Alessandro VIII, in Strenna dei Romanisti, 1965, vol. 26, pp. 401-403; A. Nava Cellini, Duquesnoy e Poussin. Nuovi contributi, in Paragone, XVII (1966), 195, pp. 30-59; R. Enggass, Early Eighteenth century sculpture in Rome, University Park Pennsylvania 1976, pp. 176 s.; S. Romano, Contributi a Giuseppe Passeri, in Ricerche di storia dell’arte, 1977, n. 6, pp. 159-174; M. Dunn, Father Sebastiano Resta and the final phase of the decoration of S. Maria in Vallicella, in The art bulletin, LXIV (1982), pp. 601-622; L. Mortari, S. Maria Maddalena, Roma 1987, pp. 53 s.; M. Pedroli Bertoni, G. R., in Le statue berniniane del Colonnato di San Pietro, a cura di V. Martinelli, Roma 1987, pp. 225, 293; A. Anselmi, Sebastiano Cipriani: la cappella Altieri e ‘I pregi dell’architettura’ oda di Giambattista Vaccondio, in Alessandro Albani patrono delle arti, a cura di E. Debenedetti, Roma 1993, pp. 203-217; A. Bacchi, Scultura del ’600 a Roma, Milano 1996, p. 835; O. Ferrari - S. Papaldo, Le sculture del Seicento a Roma, Roma 1999, pp. 225, 230, 342; C. Savettieri, G. R. (doc. 1696-1731). Temperanza (1728-1731), in La Basilica di San Pietro in Vaticano, a cura di A. Pinelli, Modena 2000, p. 465; E. Levy, Angelo De Rossi (1671-1715), su progetto di Carlo Enrico di San Martino († 1726). Il monumento funebre (1695-1725) di Alessandro VIII (1689-1691), ibid., pp. 603-605; E.J. Olszewski, Cardinal Pietro Ottoboni (1667-1740) and the Vatican tomb of Pope Alexander VIII, Philadelphia 2004, pp. 265 s., 284-286; C. Giometti, Sculture in terracotta. Museo Nazionale del Palazzo di Venezia, Roma 2011, p. 82; A.L. Desmas, Le ciseau et la tiare. Les sculpteurs dans la Rome des papes 1724-1758, Roma 2012, pp. 13, 254, 336.