RAIMONDI, Giuseppe
RAIMONDI, Giuseppe. – Nacque a Bologna il 18 luglio 1898, da Torquato, fumista, di origine mantovana, e da Argentina Testoni.
Il legame con Bologna, sempre forte e ineludibile per comprendere la poetica raimondiana, passò quindi attraverso la figura materna e l’apprendimento del dialetto; Raimondi stesso ricordò il connubio che, fin dalla sua infanzia, si era creato tra Bologna, sua madre e l’appropriazione del linguaggio: «È con la bocca di mia madre che ho appreso a parlare […]. Un antico linguaggio, di popoli usi al lavoro, all’aggressione e alla guerra […]. Provatevi a pregare, a rivolgervi a Dio, in questo aspro, violento, materiale linguaggio» (Giuseppe in Italia, Milano 1965, p. 72).
Dall’acquisizione del linguaggio bolognese, «materiale» e materno, prese avvio il rapporto di Raimondi con Bologna che fu sempre presente nelle riflessioni, nella formazione e nella vita di un uomo che studiò da autodidatta e che, pur non spingendosi oltre i confini cittadini, cercò di portare il più vivace mondo culturale, artistico e letterario, dentro quei confini.
Lo spazio abitato da Raimondi fu circoscritto: piazza S. Stefano e la fumisteria (il negozio di stufe) che il padre gli lasciò in eredità. Se dalla madre apprese il linguaggio, e quindi la materialità e la concretezza della parlata e del pensiero bolognesi, dal padre assunse il lavoro, come investimento per un futuro in apparenza già segnato, e le idee politiche di stampo anarchico-socialista, che lo portarono a partecipare alla «Settimana rossa», nel 1914.
Raimondi ebbe certo una «singolarissima posizione di outsider» (Contini, 1997, p. 789), ma la sua eccezionalità fu nell’aver saputo ricreare entro i limiti di un negozio di stufe e dentro le cerchia cittadine uno dei più aperti e vivaci centri culturali di quegli anni: Bologna significava allora Giorgio Morandi, che fu il suo più stretto amico e certo figura determinante più di ogni altra per la sua formazione (come egli stesso ricordò nei suoi Anni con Giorgio Morandi, Milano 1970), e Riccardo Bacchelli, con il quale condivise l’esperienza letteraria. La conoscenza tra Morandi e Raimondi, che era appena rientrato dal fronte della prima guerra mondiale, si trasformò subito in un sodalizio ben riuscito e assai prezioso per entrambi. Raimondi introdusse Morandi nel gruppo della rivista Valori plastici, mentre Morandi, dal canto suo, accompagnò lo sguardo di Raimondi verso la comprensione artistica di vari pittori, in particolare di quel Seicento di cui Raimondi fu abile conoscitore e collezionista.
Raimondi scrisse, infatti, diversi saggi di critica d’arte (per esempio, su Morandi, Filippo De Pisis, Carlo Carrà, Ottone Rosai) pubblicati in rivista, oltre a una più ampia monografia dedicata a De Pisis (Firenze 1952), e al volume di ricordi riservato all’amicizia con Morandi (già citato).
Fin da giovane, Raimondi elaborò un piano culturale ben preciso: sprovincializzare Bologna e l’Italia, aprendole a nuove soluzioni espressive. Forte di letture vaste e nuove, che spaziavano dalle avanguardie ai moralisti classici, alla prosa scientifica, al recupero del Leopardi prosatore, fondò, tra il 1916 e il 1917, la rivista Avanscoperta. Nel 1916 scrisse a Guillame Apollinaire, dichiarandogli la sua totale ammirazione e l’intenzione di scrivere un articolo su di lui nella nuova rivista. Grazie al tramite di Apollinaire, arrivarono a Bologna alcuni numeri della rivista francese Les soirées de Paris, che raccoglievano il meglio del panorama artistico e letterario contemporaneo. I numeri della rivista francese cominciarono a portare venti di novità a Bologna e a delineare la figura del «fumista» Raimondi come una delle anime più propositive e lucide all’interno di un nuovo gruppo di artisti e letterati che si formò nel primo dopoguerra.
Sulla base di questa prima esperienza fondò nel 1918 la rivista La Raccolta che, pubblicata mensilmente fino al febbraio 1919, si richiamava a una poetica di «ritorno all’ordine» e fu quindi un’anticipatrice della Ronda e di Valori plastici. Durante il periodo della Raccolta nacque anche l’amicizia con Giuseppe Ungaretti, che contribuì alla rivista.
L’impegno di Raimondi per un ritorno all’ordine gli meritò, nel 1919, la carica di segretario di redazione della Ronda, in sostituzione provvisoria di Aurelio Saffi. A Roma, nei mesi di direzione della Ronda, Raimondi fece la conoscenza di Vincenzo Cardarelli. Quanto Morandi significò per il raggiungimento di solidi interessi e studi sull’arte e per la formazione di una poetica basata sul quotidiano e il minimale, tanto Cardarelli divenne fondamentale come maestro di stile e come esempio di ripresa e ritorno ai classici. Nel 1962, quasi come un dovuto tributo, curò l’edizione delle Opere complete di Cardarelli.
La presenza di Cardarelli fu inoltre visibile nell’opera di Raimondi, in particolare in Stagioni seguite da Orfeo all’Inferno e altre favole (Milano 1922). Egli pubblicò in seguito Notizia su Baudelaire (Milano 1924), quindi Galileo ovvero dell’aria (Milano 1926), Domenico Giordani. Avventure di un uomo casalingo (Bologna 1928), Il cartesiano signor Teste (Firenze 1928), Magalotti (Milano 1929). L’influenza di Baudelaire, Galilei, Valery (il signor Teste) e Leopardi (richiamato da Giordani) fu fondamentale per il recupero di una tradizione descrittiva e meditativa; inoltre, cominciò a rivelarsi come tratto tipico di Raimondi il celarsi dietro maschere ironiche, costruite su un’intensa filigrana filosofica e letteraria, con evidente richiamo al Filippo Ottonieri di Leopardi. Questi personaggi-maschere autobiografiche si nutrirono anche della vita anfibia di Raimondi e della sua capacità di portare la letteratura e l’arte più moderne e interessanti dentro un negozio di stufe. Infatti, le figure scelte da Raimondi come alter ego furono personaggi che vivevano tra la scienza e la letteratura, tra l’erudizione e la creatività. Raimondi non dimenticò mai di essere un artigiano prestato alla letteratura; o meglio, uno scrittore e un critico prestato all’artigianato. In questo modo seppe fare della letteratura un mestiere e della scrittura un sottile lavoro di artigianato: «Scrivevo con la medesima penna con cui attendevo al lavoro tecnico di ufficio. L’inchiostro era il medesimo e, in certo modo, anche l’animo. Solo che, sul tavolo di casa, mi mancavano la squadra, il doppiodecimetro, e il regolo calcolatore. Per anni, ho maneggiato questi strumenti. Ed è curioso che essi, in fondo, non si trovassero a disagio coi libri» (G. Raimondi, I divertimenti letterari, Milano 1966, pp. 215 s.).
Il matrimonio, nel 1922, con Elide Micheli, detta Vittorina, e la nascita delle sue cinque figlie (Argentina, Giovanna, Paola, Anna e Rosa), uniti al lavoro sempre più impegnativo nella fumisteria, costrinsero Raimondi a dedicare meno tempo alla letteratura e alla critica. Solo durante il periodo in cui fu sfollato a Portomaggiore, durante la seconda guerra mondiale, egli poté riannodare il filo della memoria e degli studi, e scrivere finalmente la sua opera maggiore: Giuseppe in Italia, un’autobiografia che ripercorreva gli anni dalla nascita alla Liberazione di Bologna. L’opera fu anticipata in parte sulla rivista L’Immagine, appena fondata da Cesare Brandi, nel 1947, e uscì poco dopo in volume per Mondadori (Milano 1949).
I fatti storici descritti venivano sempre filtrati attraverso l’esperienza di vita e la memoria personale, che procedeva a lampi e scarti. Anche lo stile antirondesco segnava un cambiamento di rotta, evidente nella frase spezzata, spesso nominale, e nel ritmo brusco. Si potrebbe dire che ciò che interessava a Raimondi era costruire una grande natura morta; una di quelle preziose raffigurazioni che egli tanto amava osservare in Morandi. Nel Giuseppe in Italia la memoria proustianamente vive attraverso gli oggetti e morandianamente gli oggetti parlano di più e al posto dei personaggi: ne è un esempio la descrizione della morte del padre Torquato, dove le parole sono assenti, non c’è partecipazione emotiva, ma dominano superfici descrittive su cui campeggiano pere e arance in una zuppiera e mosconi assiderati dietro il vetro, sul davanzale.
A Giuseppe in Italia seguirono opere di ricordi e zibaldoni di pensieri e letture: Notizie dall’Emilia (Torino 1954); e prima, come anticipazione, Anni di Bologna: 1924-1943 (Milano 1946); Mignon: racconti (Milano 1955) e La valigia delle Indie (Firenze 1955); Ritorno in città (Milano 1958); Lo scrittoio (Milano 1960); Le domeniche d’estate (Milano 1963); l’unico romanzo, ambientato nel primo dopoguerra, L’ingiustizia (Milano 1965); I divertimenti letterari. Il recupero della memoria per lui consistette sempre nel rappresentare una natura morta, tra la sua bellezza e la sua consunzione: così, per supportare le analogie memoriali, I divertimenti letterari furono pubblicati recando in copertina La natura morta con quattro oggetti di Morandi. Pubblicò, inoltre, due volumi di racconti: Le nevi dell’altro anno (Milano 1969) e Il nero e l’azzurro (Milano 1970).
Raimondi fu, in ultima analisi, un artigiano, scrittore, fine conoscitore dell’arte, che imparò a dipingere con la penna e il «materiale» linguaggio bolognese minimi oggetti quotidiani, nature morte cariche di sensi, tra atmosfere metafisiche e scritture di meditazione.
Morì a Bologna il 3 agosto 1985.
Fonti e Bibl.: G. Mazzotta, G. R. fra poeti e pittori. Mostra di carteggi, Bologna 19772; C. Martignoni, Per la prosa d’arte di G. R., tra Cardarelli e Laforgue, in In ricordo di Cesare Angelini. Studi di letteratura e filologia, a cura di F. Alessio - A. Stella, Milano 1979, pp. 388-416; G. Contini, Letteratura dell’Italia unita, Firenze 19972, pp. 789-791; G. R. Carte, libri, dialoghi intellettuali, Bologna 1998; La letteratura italiana. Il Novecento, diretta da E. Raimondi, II, Dal neorealismo alla globalizzazione, a cura di G. Fenocchio, Milano 2004, p. 237; C. Brandi - G. Raimondi, Lettere 1934-1945, a cura di M. Pasquali - M.A. Bazzocchi, Pistoia 2011.