RAVIZZA, Giuseppe
RAVIZZA, Giuseppe. – Nacque a Novara il 19 marzo 1811 da Giovanni e da Rosa Cortesella.
Dopo essersi laureato in legge all’Università di Torino e avere intrapreso la professione di avvocato nella città natale, il giovane Ravizza cominciò a occuparsi di stenografia con l’obiettivo di affinarne i metodi. Ben presto però volse i suoi interessi alla scrittura a macchina, allorché tra il 1832 e il 1833 entrò in contatto con l’ingegnere Pietro Conti da Cilavegna (nell’odierna provincia di Pavia). Questi aveva costruito nel 1823 un sofisticato dispositivo a tasti e leve per scrivere su carta, cera e metalli teneri, da lui chiamato «tachigrafo» o «tachitipo» (Notizia di una macchina per istampare e scrivere rapidamente, in Giornale arcadico di scienze, lettere, ed arti, 1828, vol. 38, pp. 324 s.). La prima macchina da scrivere funzionante della quale oggi si abbia conoscenza era stata inventata dal conte Agostino Fantoni da Fivizzano (Massa-Carrara) nel 1802, e perfezionata dal suo buon amico Pellegrino Turri da Castelnuovo di Garfagnana (Lucca) nel 1808. Appassionato di meccanica fin dall’adolescenza, Ravizza restò assai colpito dall’apparecchio di Conti e intorno al 1837 iniziò a dare corso al progetto di realizzare una propria macchina da scrivere. Frattanto, il 18 agosto 1835 era convolato a nozze con la ventenne Ernesta Crosio, nativa di Mede (Pavia), con la quale avrebbe poi avuto sei figlie: Rosa, Sofia, Giulia, Elisa, Teodolinda e Laura.
Verso il 1846 Ravizza completò la costruzione del suo primo modello di macchina da scrivere, che riprendeva e sviluppava il tachigrafo di Conti. All’epoca egli risiedeva periodicamente alla cascina Montarsello della frazione novarese di Nibbiola, in una casa con terreno che aveva ereditato dalla madre. Questa circostanza lo avvicinò alla vita del piccolo comune, al punto che dal 1848 al 1854 ne fu il sindaco. Uomo di formazione liberale nonché convinto patriota, negli anni del proprio mandato si impegnò con successo a far progredire a Nibbiola la pubblica istruzione (uno dei suoi primi provvedimenti fu l’istituzione di una scuola elementare femminile), il servizio sanitario, il sistema di guardia nazionale e, in generale, tutto l’impianto amministrativo. Il 20 dicembre 1854 rassegnò le dimissioni da sindaco della cittadina piemontese per tornare stabilmente a Novara, dove già era consigliere municipale, direttore delle Scuole Cannobiane e amministratore del Sacro Monte di Pietà.
Dopo aver fabbricato ulteriori e più evoluti modelli del proprio strumento di scrittura, il 14 settembre 1855 Ravizza ne ottenne il brevetto presso l’Ufficio centrale delle privative industriali di Torino sotto la denominazione di «cembalo scrivano ossia macchina da scrivere a tasti» (Aliprandi, 1931, p. 17).
L’apparecchio presentava una tastiera fissa simile a quella del pianoforte, da cui il nome, la quale comprendeva 32 tasti bianchi a forma di parallelepipedo collocati su due file sovrapposte. Sui tasti centrali erano dipinte le lettere in ordine alfabetico, mentre su quelli ai lati erano raffigurati i segni di interpunzione; non mancava, inoltre, un tasto spaziatore. Battuti ritmicamente con le dita di entrambe le mani, i tasti sollevavano delle leve munite di martelletti che recavano impressi i caratteri di scrittura; le leve erano disposte a cestello attorno a un anello di ferro sostenuto da pilastrini e sovrastato da un telaio portacarte su cui andavano a picchiare i martelletti. Tra questi ultimi e la carta era interposto un nastro inchiostrato scorrevole, che produceva la stampa dei caratteri battuti. A ogni percussione di un tasto corrispondeva uno spostamento del telaio per far spazio al carattere susseguente, e un campanello segnalava l’approssimarsi della fine della riga. Un sistema di ruote consentiva l’avanzamento delle righe fino alla formazione della pagina. Il modello di cembalo scrivano brevettato da Ravizza nel settembre del 1855 non permetteva di vedere ciò che di mano in mano veniva scritto, dal momento che il telaio portacarte nascondeva il foglio di scrittura alla vista dell’operatore.
Dopo il deposito del brevetto, il cembalo scrivano riscosse immediatamente l’attenzione di vari giornali della penisola italiana. Per parte sua Ravizza lo esibì all’Esposizione industriale di Novara del 1856, dove ricevette una medaglia d’argento. Nella stessa occasione ebbe modo di comporre un testo, con il suo strumento, dinanzi al re di Sardegna e futuro re d’Italia Vittorio Emanuele II di Savoia, il quale a sua volta volle provare il congegno battendo alcune parole, incluso il proprio nome. Ravizza presentò il cembalo scrivano anche all’Esposizione industriale di Torino del 1858, dove gli fu assegnata una medaglia di bronzo, e all’Esposizione nazionale di Firenze del 1861. Nel 1863 la Société commémorative des Expositions nationales et universelles gli conferì una medaglia celebrativa, coniata a Londra, «per il servizio reso al progresso delle utili arti» (Aliprandi, 1931 p. 24).
Mentre in Italia Ravizza era intento a sviluppare nuovi modelli del proprio apparecchio, nel giugno del 1868 Christopher Latham Sholes, Samuel Soule e Carlos Glidden brevettavano negli Stati Uniti una macchina da scrivere essenzialmente analoga al cembalo scrivano. Entrata in produzione nella fabbrica dell’industriale Philo Remington, nel 1874, la nuova macchina fu lanciata con grande successo sul mercato statunitense. Due anni dopo giunse in Europa, raccogliendo anche qui straordinari consensi. Intanto, dopo la curiosità iniziale, il cembalo scrivano aveva perso quasi ogni attrattiva. Pochi lo consideravano utile, e qualche detrattore novarese lo ribattezzò con l’appellativo derisorio di «pianolin d’la bigota»: il «pianoforte della bambola» (ibid., p. 16). In aggiunta, da un certo momento in poi Ravizza dovette anche fronteggiare il forte disappunto dei propri familiari circa il tempo e il denaro che continuava a spendere per il suo dispositivo.
Trasferitosi nel 1873 a Livorno, qualche anno più tardi ebbe modo di vedere alcuni esemplari della macchina da scrivere Remington. A tal proposito, nel suo diario personale annotò sia un amaro commento – «il mio imitatore o contraffattore Remington nuota nei milioni, mentre io sono malato ed invecchio» (Aliprandi, 1955, p. 13) – sia un onesto giudizio sui progressi realizzati dai tecnici statunitensi: «Vedendo le macchine americane Remington, mi casca la benda dagli occhi. Vedo il molto che ho fatto, ed il molto più che ha fatto Remington dopo di me» (p. 55). Stimolato comunque dai risultati raggiunti Oltreoceano, Ravizza cercò ancora di sviluppare la sua macchina e nel 1883 brevettò (insieme allo spedizioniere genovese Carlo Fantoni) un modello di cembalo scrivano a scrittura visibile: un traguardo che il gruppo di Remington neppure aveva sfiorato (la prima macchina a scrittura visibile in commercio sarebbe stata quella realizzata dalla compagnia statunitense Underwood nel 1898). Ma ciò non cambiò le sorti del cembalo scrivano, che non poté trovare nell’Italia del tempo il contesto adatto alla sua trasformazione in prodotto industriale.
In età avanzata Ravizza dedicò molti sforzi anche alla costruzione di un telaio meccanico per tessuti, che venne presentato all’Esposizione nazionale di Milano del 1881; si occupò inoltre di studi storici e filologici.
In particolare, nel 1872 diede alle stampe una storia della cittadina novarese di Suno (Memorie storiche di Suno e dei SS. Genesii Martiri, Novara 1872), presso la quale aveva contribuito a fondare – circa due anni addietro – un ricco museo storico-archeologico; nel 1877 pubblicò un catalogo di detto museo corredato di annotazioni del grande classicista tedesco Theodor Mommsen (Catalogo primo del Museo patrio di Suno ed appendice alle Memorie storiche del cav. avv. G. R. con spiegazioni ed osservazioni di Teodoro Mommsen, Novara 1877); nel 1878 uscì la sua traduzione italiana commentata dell’opera Novaria sacra di Carlo Bascapè (spesso citato come Bescapè, vescovo di Novara dal 1593 al 1615), originariamente edita in latino nel 1612 (La Novara sacra del vescovo venerabile Carlo Bescapè. Tradotta in italiano con annotazioni e vita dell’autore dall’avvocato cav. Giuseppe Ravizza, Novara 1878).
Morì a Livorno il 30 ottobre 1885.
L’epigrafe apposta sulla sua tomba lo ricorda come «latinista, storico, archeologo, filosofo» (Aliprandi, 1931, p. 15): nessun accenno al cembalo scrivano, di cui Ravizza aveva costruito sedici o diciassette modelli riuscendo a venderne non più della metà. In Italia la produzione industriale di macchine da scrivere sarebbe stata avviata da Camillo Olivetti nel 1908. Lo stesso Camillo Olivetti avrebbe autorevolmente spiegato, in un intervento del 1927, che tutti i principi meccanici fondamentali di una moderna macchina da scrivere si trovavano già applicati nel cembalo scrivano di Ravizza (Olivetti, 1927).
Fonti e Bibl.: C. Benzi, Il cembalo scrivano dell’avvocato G. R. in Novara. Cenni illustrativi, Torino 1856; Ravizza cav. avv. Giuseppe, di Novara, e Fantoni Carlo e Cia, di Genova, Macchina da scrivere a scrittura visibile, n. 15061, in Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia, Roma, supplemento al n. 100, 28 aprile 1883, p. 8; C. Olivetti, L’avv. R. di Novara e l’invenzione della macchina da scrivere. Conferenza tenuta al Rotary club di Milano dall’ing. Camillo Olivetti, Milano 1927; G. Aliprandi, G. R. inventore della macchina da scrivere, Novara 1931; Id., G. R. attraverso le pagine del suo diario, Novara 1955; M.H. Adler, The writing machine. A history of the typewriter, London 1973, ad ind.; W.A. Beeching, Century of the typewriter, Bournemouth 19902, p. 8; L.J. Bononi, Libri & Destini. La cultura del libro in Lunigiana nel secondo millennio, Lucca 2001, pp. 191-205; F. Toscano, G. R. e il ‘cembalo scrivano’, in Nuova civiltà delle macchine, XXVIII (2010), 4, pp. 193-200; M.C. Rossari, «Tempi di felici speranze». Nibbiola ai tempi del sindaco R. e del parroco Bignoli, in Bollettino storico per la provincia di Novara, CII (2011), 1, pp. 163-212.