RECCO, Giuseppe
RECCO, Giuseppe. – Nacque a Napoli il 12 luglio 1634 e fu battezzato nella parrocchia di S. Maria della Carità dove, nei due anni precedenti, le sue sorelle Giovanna Teresa e Giovanna Pellegrina, erano state tenute a battesimo rispettivamente dai pittori Massimo Stanzione e Filippo Di Maria (L. Salazar, Documenti inediti intorno ad artisti napoletani del XVII secolo, in Napoli nobilissima, 1897, vol. 6, n. 9, pp. 129-132 (in partic. p. 131). In occasione delle nozze con la diciottenne napoletana Francesca della Peruta, celebrate nell’ottobre del 1654, Recco dichiarò di essere figlio del quondam Giacomo, fra gli iniziatori del genere della natura morta a Napoli, e di svolgere anch’egli la professione di pittore (Prota-Giurleo, 1953, pp. 14-16). Verosimilmente nipote ex fratre dell’ancora poco noto generista Giovan Battista Recco, fu a sua volta padre di Elena e Nicola Maria: a quanto sappiamo, gli unici – tra i «dodici figliuoli» attribuitigli da Bernardo De Dominici (1742-1745 circa, 2008, p. 549, n. 23) – a continuare, senza grande esito, l’attività paterna (Middione, 1989, pp. 912 s., nn. 10-11).
Recco poté dunque formarsi al seguito di Giacomo, probabilmente nella bottega che questi divideva fin dal 1631, allo Spirito Santo, con l’ancora sconosciuto Antonio Cimino. Un atelier non particolarmente confortevole, a rileggere i documenti, e di cui Recco senior pare fosse addirittura socio di minoranza (A. Delfino, Documenti inediti su alcuni pittori napoletani del Seicento tratti dall’Archivio storico del Banco di Napoli, in Ricerche sul ’600 napoletano. Saggi vari in memoria di Raffaello Causa, Milano 1984, pp. 157-161, in partic. pp. 159 s.; De Vito, 1988, p. 74). Eppure, fu qui che Recco, e prima di lui il giovane Paolo Porpora (Prota-Giurleo, 1953, pp. 12 s.), poterono vedere praticata la pittura di genere in quasi tutte le sue specialità: se è vero, a prestar fede alle fonti e agli inventari antichi, che Giacomo fu non solo fiorante, ma specialista altrettanto richiesto di frutta e fauna marina, quando non anche pittore di «figure de qualsivoglia sorte», da realizzare «cossì ad oglio come a fresco» (G. De Vito, Giacomo Recco «fiorante», ma non solo, in Ricerche sul ’600 napoletano. Saggi e documenti 2010-2011, Napoli 2011, pp. 30-46).
Sulla base di tali premesse, gli studi hanno attribuito sempre meno credito all’ipotesi di una formazione lombarda di Recco, verso cui la critica, da Federico Zeri (1952) a Luigi Salerno (1984, p. 211), pure ha mostrato qualche indulgenza di troppo, sulla scorta della testimonianza di De Dominici (1742-1745 circa, 2008, pp. 546 s., n. 15), messa in dubbio già da Onofrio Giannone (1771-1773, 1941, p. 152), e della fantomatica dipendenza da Evaristo Baschenis di alcune tra le più note composizioni di soggetto allegorico della maturità dell’artista.
Il biografo napoletano appare invece meglio informato quando riferisce della straordinaria varietà tematica della produzione di Recco («pittore singolarissimo di fiori, frutti, cose dolci, pesci, cacciagione, verdume, ed altro»; De Dominici, 1742-1745 circa, 2008, p. 546), tanto da giustificare il dominio precoce di queste «varie sorte di pitture» con l’ipotesi di una presunta formazione eclettica di Recco, il quale, di ritorno a Napoli, sarebbe diventato discepolo di «varii maestri». De Dominici ricorda, tra questi, il solo Porpora, documentato però a Roma fin dal 1648, da cui Recco pure avrebbe fatto in tempo ad apprendere «il dipingere i pesci, e la frutta del mare, nel qual genere riuscì migliore, anzi eccellente più che di altre specie ne’ suoi dipinti» (p. 547).
Ma è ancora nel solco di Giacomo che andrebbero collocate, nel sesto decennio del Seicento, alcune tra le prove più interessanti della giovinezza del pittore. Si pensi alla composizione, firmata, con Fiori e rospi del Walters Art Museum di Baltimora (Middione, 1989, p. 906, fig. 1090), strettamente apparentata alle tele, siglate, con Anatre e tulipani e Tulipani e giaggioli in un paesaggio, l’una un tempo in collezione Della Vecchia a Napoli, l’altra già presso Canesso a Parigi (La pittura napoletana, 1984, fig. 611; Salvi, 2007, pp. 82 s., n. 19). Non diversamente, sarebbero da ricondurre allo schema arcaico dei ben noti, e talvolta controversi, Vasi di fiori del Recco più anziano i precoci esercizi di Giuseppe sul tema, come i Tulipani già presso la Arcade Gallery di Londra o le Ortensie e tulipani di collezione privata napoletana, entrambi firmati (R. Causa, Un avvio per Giacomo Recco, in Arte antica e moderna, 1961, vol. 4, nn. 13-16, pp. 344-353, in partic. pp. 349 s., 352, n. 17, fig. 156a; La pittura napoletana, 1984, fig. 609): opere, queste, che aprono la strada, tra il sesto e il settimo decennio, a uno sviluppo del genere più maturo e maggiormente condizionato dallo stile di Porpora.
Tale percorso è testimoniato, per esempio, dal Vaso di fiori, siglato, di collezione Molinari Pradelli a Marano di Castenaso, nel Bolognese (Pagano, 2012, pp. 64 fig. 9, 162 s., n. 9); dalle tele à pendant con Anemoni e tulipani e Rose e tulipani, l’una siglata, l’altra firmata, già nella raccolta Lazzari d’Aloisio a Messina e ora Canesso (Salvi, 2007, pp. 98 s., n. 27); dalla coppia con Tulipani recisi, siglata, resa nota da De Vito (1988, pp. 72, 102, 104, figg. 21-22, e pp. 103, 105, tavv. II-III; Salvi, 2007, pp. 96 s., n. 26); e dallo splendido pendant, ormai di gusto pienamente barocco, con Fiori in vaso figurato, firmato e datato 1685, nella collezione del marchese di Exeter a Burghley House (De Vito, 1988, pp. 70, 80 nn. 32-33, 87 s., figg. 6-7).
Ancora al sesto decennio risalgono alcune invenzioni del pittore più direttamente riconducibili alla conoscenza dell’opera di Luca Forte: la composizione con Fiori, frutta e vaso di fichi di collezione napoletana (Middione, 1989, pp. 903, 905); le tele à pendant, anch’esse in collezione privata a Napoli, con Uva, pampini e altri frutti, una delle quali firmata «Giuseppe» (Spinosa, 2011, p. 281, nn. 317-318); la Natura morta di frutta e fiori con vasellame in maiolica decorata, di recente tornata alla luce (p. 284, n. 325).
Agli anni in discorso vanno anche riferiti i primi e già decisivi contatti con l’opera di Giovan Battista Recco, all’origine di molti dei temi della produzione di Giuseppe tra il settimo e l’ottavo decennio. Ai due quadri giovanili di Cacciagione, siglati, l’uno in collezione privata napoletana, l’altro già in collezione Masieri a Firenze (Middione, 1989, pp. 903 s., n. 1088; Causa, 1972, fig. 417), seguono rappresentazioni del tema via via più complesse e monumentali. Basti citare, restando ai casi più noti, la Natura morta con pani, pasticcio e ghiacciaia, siglata, di collezione Molinari Pradelli (Pagano, 2012, pp. 65 fig. 10, 163, n. 10); le due Cucine, l’una con gatto, siglata, l’altra con maialino, tacchino spennato, anatra e vivande varie, firmata, rispettivamente al Metropolitan Museum of art di New York e alle Trafalgar Galleries di Londra (La pittura napoletana, 1984, fig. 625; Spinosa, 2011, pp. 132, 283, n. 627); la composizione con Merluzzo e aringhe in una cesta, acquamanile e granceola sopra un ripiano di pietra, nelle redazioni del Musée des beaux-arts di Strasburgo e della galleria Canesso di Parigi (Salvi, 2007, pp. 84 s., n. 20, fig. 1); e specialmente il celeberrimo Interno di cucina della Gemäldegalerie der Akademie der bildenden Künste di Vienna, firmato e datato 1675, da porre in rapporto – episodio flagrante del sodalizio tra i due maestri – con la altrettanto nota Cucina di Giovan Battista al Rijksmuseum di Amsterdam (D.M. Pagano, in Ritorno al barocco. Da Caravaggio a Vanvitelli, catal., I, Napoli 2009, p. 403, n. 1236).
In alcuni di questi dipinti, d’altronde, Recco comincia a far mostra della sua straordinaria capacità nella rappresentazione della fauna marina, che gli sarebbe valsa la fama, a tutt’oggi, di «principe della pittura di genere a Napoli» (Causa, 1972, p. 1023). Il «molto genio» che egli aveva dimostrato per «le cose del mare» l’avrebbe condotto – già nel giudizio di De Dominici (1742-1745 circa, 2008, p. 547) – a superare «tutti quelli che innanzi a lui le avevano dipinte», essendo in grado di restituire dei «suoi pesci» – «i frutti, le buccine, e le conchiglie, ma più i granchi, e le testuggini del mare» – finanche quel «lucido così bello, che più tosto vivi che dipinti rassembrano» (Zabel Settanni, 1998). E se in alcune composizioni del settimo decennio, quali l’Interno di cucina con pesci già Matthiesen e la Natura morta con conche di rame, pesci e calamari di collezione privata, Recco pare ancora suggestionato dai valori caravaggeschi della pittura di Giovan Battista (Salvi, 2007, pp. 90 s., n. 23, fig. 1), i capolavori degli anni successivi rivelano una grandiosità scenografica senza confronto. Ne rappresentano gli esempi più validi la monumentale Natura morta di pesci e altri animali marini, siglata, del Museo nazionale di Capodimonte (Leone de Castris, 1994, pp. 170 s., n. 88), e l’altrettanto impressionante Natura morta di pesci con un pescatore, firmata e datata 1668, commissionata da Giacomo Paravagna, marchese di Noja, a Recco e Luca Giordano (O. Ferrari - G. Scavizzi, Luca Giordano. L’opera completa, I, Napoli 1992, pp. 54, 56, 227, nn. 40-41, 283, n. A203, II, p. 568, fig. 278).
Tra l’ottavo e il nono decennio si collocano, infine, alcuni dei raggiungimenti più alti dell’esperienza artistica di Recco, assai coerenti per stile e originalità iconografica. Tra questi, I cinque sensi di collezione Canesso, firmati e datati 1676, vanno a formare un gruppo assai omogeneo con le composizioni analoghe dei Musei civici di Pesaro e delle raccolte Intesa Sanpaolo a Napoli e Sapori a Spoleto (Salvi, 2007, pp. 102 s., n. 29, fig. 1); mentre la Natura morta con maschere, libri, tendaggi e strumenti musicali del Museo Boymans-Van Beuningen di Rotterdam e la Natura morta con vetri del Museo nazionale di Varsavia, entrambe firmate, possono tenersi, senza dubbio, tra le invenzioni più spettacolari dell’intera pittura di genere a Napoli (R. Middione, in La natura morta italiana. Da Caravaggio al Settecento, catal., Firenze, a cura di M. Gregori, Milano 2003, pp. 214-217).
La qualità e la complessità di queste ultime prove rivelano come Recco obbedisse ormai alle esigenze di una clientela di rango, sia aristocratica sia borghese, cui va certamente ricondotta anche la commissione della celebre tela con Cristalli, maioliche e fiori con un paggio della Fundación Casa Ducal de Medinaceli, firmata e datata 1679 (De Vito, 1988, pp. 68 s., 80, nn. 23-27; Borrelli, 1988, pp. 29-31, 48 s., nn. 220-239). È in questi anni, del resto, che Recco è ricordato come «pittore del Marchese de los Vélez», viceré di Napoli dal 1675 al 1682, in rapporto a un pendant di pesci citato nell’inventario della collezione di Gaspar Méndez de Haro marchese del Carpio, stilato a Roma tra il 1682 e il 1683 (M.B. Burke - P. Cherry, Collections of paintings in Madrid 1601-1755, I, Los Angeles 1997, p. 761).
È possibile che la coppia vada identificata nelle due composizioni di scoglio che De Dominici (1742-1745 circa, 2008, p. 548, n. 20) ricorda esposte a Napoli, su richiesta di Luca Giordano, alla festa del Corpus Domini nel 1684; e che il marchese – come conferma l’assenza dei dipinti in un successivo inventario del 1687-88 – avrebbe poi venduto per far fronte a nuove difficoltà economiche (ibid.).
Il titolo di cavaliere («eques»), già nella firma della monumentale Natura morta con festoni di fiori e cacciagione del Museo nazionale di Capodimonte datata 1671, è un’ulteriore e quanto mai limpida testimonianza del prestigio sociale raggiunto dal pittore (Leone de Castris, 1994, pp. 168 s., n. 87).
Tale onorificenza è stata connessa, in passato, al cavalierato di Calatrava, dal momento che il referto di De Dominici (1742-1745 circa, 2008, p. 548, n. 19) sembrava trovare riscontro in un documento spagnolo reso noto da Alfonso E. Pérez Sánchez (1988), che la critica tende piuttosto a riferire a un omonimo del generista napoletano (De Vito, 1988, pp. 65-68, 79 s., nn. 1-21).
De Dominici (1742-1745 circa, 2008, p. 549, n. 22) è il solo biografo a riportare che Recco, all’apice del successo, fu onorato dell’invito a corte di Carlo II. Durante il viaggio, a seguito di un naufragio di due mesi, il pittore fu però costretto a riparare sulla spiaggia di Alicante, dove morì di febbre il 29 maggio 1695.
Fonti e Bibl.: B. De Dominici, Vite de’ pittori, scultori ed architetti napoletani (1742-1745 circa), a cura di F. Sricchia Santoro - A. Zezza, III, 1, Napoli 2008, pp. 542, 546-550 (note di commento a cura di E. Fumagalli); O. Giannone, Giunte sulle vite de’ pittori napoletani (1771-1773 circa), a cura di O. Morisani, Napoli 1941, p. 152; F. Zeri, G. R.: una Natura morta giovanile, in Paragone, III (1952), 33, pp. 37 s.; U. Prota-Giurleo, Pittori napoletani del Seicento, Napoli 1953, pp. 12-16; R. Causa, La natura morta a Napoli nel Sei e nel Settecento, in Storia di Napoli, V, 2, Napoli 1972, pp. 995-1055 (in partic. pp. 1019-1023, 1048-1052, nn. 85-103, figg. 404-417); L. Salerno, La natura morta italiana. 1560-1805, Roma 1984, pp. 198-200, 211-219; La pittura napoletana del ’600, a cura di N. Spinosa, Milano 1984, figg. 609-628; G. Borrelli, La borghesia napoletana della seconda metà del Seicento e la sua influenza sull’evoluzione del gusto da barocco a rococò, in Ricerche sul ’600 napoletano. Saggi e documenti per la storia dell’arte, Milano 1988, pp. 7-49 (in partic. pp. 29-31, 48 s., nn. 220-239); G. De Vito, Un giallo per G. R. ed alcune postille per la natura morta napoletana del ’600, ibid., pp. 65-127; A.E. Pérez Sánchez, Don G. R., caballero de Calatrava, in Scritti di storia dell’arte in onore di Raffaello Causa, Napoli 1988, pp. 239-241; R. Middione, G. R., in La natura morta in Italia, a cura di F. Porzio, II, Milano 1989, pp. 903-911; P. Leone de Castris, in I tesori dei d’Avalos. Committenza e collezionismo di una grande famiglia napoletana (catal.), Napoli 1994, pp. 166-173, nn. 85-89; S. Zabel Settanni, «Un lucido così bello…». Das Schimmern des Lichtes in den Stilleben von G. R., in Diletto e maraviglia. Ausdruck und Wirkung in der Kunst von der Renaissance bis zum Barock, a cura di C. Göttler et al., Emsdetten 1998, pp. 146-165; C. Salvi, G. R. Napoli, 1634 - Alicante, 1695, in L’œil gourmand. Percorso nella natura morta napoletana del XVII secolo (catal., galleria Canesso), a cura di V. Damian, Paris 2007, pp. 80-105; N. Spinosa, Pittura del Seicento a Napoli. Da Mattia Preti a Luca Giordano. Natura in posa, Napoli 2011, pp. 132, 281-289, nn. 317-334; D.M. Pagano, G. R., in Quadri di un’esposizione. Pittura barocca nella collezione del maestro Francesco Molinari Pradelli (catal.), a cura di A. Mazza, Bologna 2012, pp. 161-163, nn. 7-10.