ACI (Iaci), Giuseppe Reggio e Grugno principe di
Nacque a Palermo il 17 Sett. 1765.Intrapresa, secondo le tradizioni familiari, la carriera militare, divenne ben presto capitano della compagnia dei Reali Alabardieri, ispettore del Corpo dei Cacciatori Reali, cavaliere dell'Ordine di S. Gennaro, gentiluomo di camera e aiutante generale del re. Durante il primo soggiorno della corte borbonica a Palermo, nel 1798-99, l'A. godette di una grandissima influenza a corte, tanto che la regina Maria Carolina lo definiva, in una lettera del 27 genn. 1799, il "factotum" del re. Ritornato il Regno di Napoli ai Borboni, l'A. seguì la corte a Napoli, dove continuò ad essere l'amico più intimo e il consigliere più ascoltato del re. Nel 1806, col ritorno della corte a Palermo, l'influenza dell'A. apparve invece notevolmente scemata: il posto di favorito del re era tenuto da Troiano Marulli, duca d'Ascoli. Questo fatto spinse l'A. ad avvicinarsi a quei gruppi di nobili siciliani, che in quegli anni facevano la fronda contro la corte, a causa delle eccessive contribuzioni finanziarie richieste alla Sicilia per sostenere la politica borbonica di riconquista del regno di Napoli. Però, nella sessione parlamentare del 1810 - l'A. era membro del braccio baronale - dopo aver preso posizione nel corso del dibattito contro le richieste finanziarie della corte, finì col votarle, attirandosi gli aspri rimproveri dei capi dell'opposizione parlamentare. L'episodio è indicativo della natura degli orientamenti liberali dell'A.: il suo atteggiamento in Parlamento, infatti, aveva solo il valore di un monito alla corte, ed esprimeva in sostanza il desiderio di riprendervi l'antica influenza. Il re tuttavia non accennò a mutare atteggiamento nei confronti dell'A., il quale si legò sempre più all'opposizione. L'11 marzo 1811 appose così la sua firma alla protesta dei baroni siciliani contro il reale editto del 14 febbr. 1811, con cui si imponeva il dazio dell'1% su tutti i pagamenti e, quindi, insieme con Giuseppe Ventimiglia, principe di Belmonte, sollecitò l'appoggio e la mediazione dell'ambasciatore inglese a Palermo, lord Amherst, e del comandante supremo delle truppe inglesi nell'isola, generale John Stuard. La corte e il governo reagirono alla protesta dei baroni facendo arrestare cinque dei firmatari, fra cui l'A., che fu dimesso da tutte le sue cariche e confinato a Ustica.
Fu rimesso in libertà il 20 genn. 1812, in seguito al deciso intervento del nuovo rappresentante inglese in Sicilia, lord William Bentinck, che costrinse il re a sciogliere il ministero napoletano, ad allontanarsi dagli affari politici e a farvisi sostituire dal principe ereditario. Iniziatesi le trattative per la costituzione di un ministero siciliano, il principe di Belmonte, uno dei cinque baroni deportati il 19 luglio, fece subito il nome dell'Aci. La sua proposta suscitò una forte resistenza in tutti gli ambienti politici siciliani, dove la scarsa consistenza politica dell'A. era ampiamente nota. Si opposero decisamente, in particolare, il Bentinck e il principe vicario, che non voleva concedere un tale riconoscimento al vecchio cortigiano. Le trattative si protrassero per ben due mesi e alla fine, per non perdere l'apporto del Belmonte che aveva condizionato il suo ingresso nel ministero alla presenza dell'A., il Bentinck impose al principe vicario la nomina dell'A, a ministro della Guerra (28 marzo 1812). Come era stato previsto, la presenza dell'A. si rivelò subito assai dannosa all'unità ed efficienza del ministero. L'A., infatti, cominciò a strafare, con la pretesa di non dover dare conto ai colleghi del suo operato. Questo suo comportamento suscitò continui conflitti con i colleghi di gabinetto, e in particolare col Bentinck, ma, proprio per questo, gli attirò le simpatie del principe vicario e preparò il suo riavvicinamento alla corte. Smanioso di mettersi in vista a tutti i costi, nel maggio del 1812 egli propose di adottare in Sicilia la costituzione inglese nella sua interezza, abbinando a questa proposta un piano per una spedizione nell'Italia meridionale.
La concessione della costituzione inglese alla Sicilia, pensava l'A., avrebbe agevolato la riconquista del Regno di Napoli. Il progetto, che prevedeva la completa separazione dei due regni di Napoli e di Sicilia con il principe ereditario regnante a Palermo e re Ferdinando a Napoli, ebbe il pieno appoggio del principe vicario e per un certo tempo fu al centro dell'attività politica siciliana, ma alla fine la decisa opposizione del Bentinck lo fece rientrare.
Desideroso intanto di acquistarsi popolarità, nell'aprile del 1812 promosse la costituzione di una deputazione frumentaria per sopperire, col denaro raccolto fra i nobili dell'isola, alla carestia che aveva colpito la Sicilia. Messosi a capo della deputazione, cominciò ad orchestrare una violenta campagna contro il pretore di Palermo, G. A. Filingieri Alliata conte di S. Marco, accusandolo di concussione. Pubblicò quindi anonimo un opuscolo, Indirizzo di un padre di famiglia all'estensore del Registro politico (Palermo 1812), in cui, abbandonandosi alla più sfrenata demagogia, si atteggiava a protettore del popoio, facendo l'apologia della sua attività di capo della deputazione.
A questo dovevano seguire vari altri opuscoli politici: Dilucidazione che si dirizza al Parlamento sopra un articolo della presente Costituzione,Palermo 1812, in cui si esaltava l'articolo della costituzione che sanciva l'abolizione della feudalità, presentando la "volontaria" rinuncia dei baroni ai diritti feudali come un gesto puramente umanitario; Riflessioni diverse tanto sulla libertà dei prodotti quanto sopra varie privative...,Palermo 1813 (vi sosteneva la necessità di ripristinare i calmieri a vantaggio dei consumatori); Risposta del Generale Principe di Aci ex ministro di guerra e marina al progetto di riforma della marina in Sicilia,Palermo 1813 (in polemica con altro opuscolo, anonimo, chiedeva il potenziamento della marina siciliana, prospettando nel commercio marittimo il necessario sbocco dell'auspicato incremento dell'agricoltura isolana); Progetto per la fissazione della congrua del patrimonio del Comune di Palermo appoggiato a' piani su lo stato attuale del patrimonio attivo e passivo e de' debiti e crediti a tutto agosto IV indizione 1816, diretto al Senato palermitano,Palermo 1816.
In Parlamento, ebbe a sostenere, fra l'altro, in sede di stesura della costituzione, la dottrina lockiana della legittima resistenza alla autorità reale. Ma la demagogia e gli atteggiamenti ultrademocratici servivano solo a mascherare il suo deciso riaccostarsi alla corte.
Nell'agosto del 1812 egli aveva già preso contatti diretti col re, col quale mantenne da allora, segretamente, un'assidua corrispondenza, tenendolo minutamente informato di tutto quanto si diceva e si faceva nel ministero, mentre, nello stesso tempo, tentava in ogni modo, secondo le direttive della corte, di sabotare l'attività del ministero. Nel novembre del 1812, entrò così in violentissimo conflitto con l'esponente più autorevole e qualificato del ministero, il ministro delle finanze Carlo Cottone principe di Castelnuovo, riuscendo a ottenerne le dimissioni, che però non furono accettate quando si scopri il carattere puramente provocatorio della manovra dell'Aci.
Di lì a poco l'A. gettò la maschera, recandosi a rendere omaggio pubblicamente, e senza avvertire i colleghi di gabinetto, al re, proprio nel momento in cui questi si era trasferito nella sua villa"La favorita", col proposito di liquidare la costituzione e di riprendere in mano le redini del governo. Il Bentinck allora con una nota del 4 febbr. 1813 chiese e ottenne le dimissioni dell'A. dal ministero. Divenuto l'A., ormai apertamente, uno dei capi più influenti del partito realista, svolse nella Camera dei pari, dal 1813 al 1815, una costante azione di boicottaggio della costituzione e di discredito delle istituzioni liberali.
La condotta politica dell'A., con il suo iniziale accostamento ai costituzionali e il suo definitivo passaggio all'opposizione anticostituzionale, se si spiega in buona parte con il carattere dell'uomo e i suoi rapporti personali con la corte, riflette, però, in definitiva l'arretrata e assai deficiente coscienza politica di tanta parte della nobiltà siciliana.
Già reintegrato in tutte le sue cariche di corte, fu nominato tenente generale dell'esercito, e nel 1815 pretore di Palermo. Ritornò a ricoprire la carica di pretore nel 1820. Nel luglio dello stesso anno, appena si ebbero a Palermo i primi sentori della rivoluzione di Napoli, l'A. partecipò a una riunione di nobili in cui si stabilì di convocare il Decurionato di Palermo per chiedere al re il ripristino della costituzione del 1812, evitando così il rischio di adottare la più democratica costituzione spagnola. La manovra era di ispirazione schiettamente reazionaria: lo stesso A. infatti, convocato nella qualità di alto esponente dell'esercito, dal luogotenente Diego Naselli, lo consigliò di adoperare la forza nell'eventualità di una rivolta a Palermo.
Scoppiati i primi moti a Palermo, l'A. tentò di ricorrere ancora una volta alla vecchia arma della demagogia e si mostrò favorevole ai rivoltosi, incitandoli persino ad occupare le fortezze della città. Quando però l'insurrezione popolare esplose in tutta la sua pienezza, si accorse di essere estremamente inviso ai rivoltosi, a causa delle violenze e concussioni commesse durante l'esercizio della pretura. Vistosi perduto, fuggì da Palermo rifugiandosi presso l'arcivescovo di Monreale, D. B. Balsamo. Quivi lo raggiunsero le notizie delle violenze commesse dalla plebe in rivolta che chiedeva la sua testa. Preso dal panico, invece di restarsene nascosto a Monreale, decise di andarsi a discolpare davanti alla Giunta provvisoria di governo. Il 22 luglio rientrò a Palermo e si presentò alla Giunta, che, senza voler sentire le sue difese, lo mandò in custodia presso la sede dell'arcivescovado, sotto l'accusa di essersi impadronito di 80.000 scudi dell'amministrazione cittadina. Sparsasi la notizia del suo arresto, la plebe in rivolta saccheggiò la sua villa e si diresse quindi all'arcivescovado per linciarlo. L'A., avvertito dei propositi dei rivoltosi, fuggì, dirigendosi verso l'abitazione di certo Antonio Cavallaro, già console dei conciapelli e noto capopopolo, con cui aveva rapporti poco chiari di amicizia e di interessi. Il Cavallaro gli negò la sua protezione. L'A. fu così ucciso, lo stesso giorno, a fucilate da una squadra di rivoltosi, proprio sulla soglia dell'abitazione del Cavallaro, e il suo corpo fu orribilmente seviziato.
Fonti e Bibl.: P. Balsamo, Sulla storia moderna del Regno di Sicilia - Memorie segrete,Palermo anno I della Rigenerazione (1848), passim;N. Palmieri, Saggio storico e politico sulla Costituzione del Regno di Sicilia,Palermo anno I della Rigenerazione (1848), passim;G.Bianco, La Sicilia durante l'occupazione inglese (1806-1815),Palermo 1902, pp. 124-125, 162-165 e passim;Id. La rivoluzione siciliana del 1820,Palermo 1905, pp. 54-56e passim;N. Niceforo, La Sicilia e la costituzione del 1812,in Arch. stor. siciliano,n.s., XL (1915), p. 36; XLI (1917), pp. 324-325; XLIV (1922), pp. 75,127-128; XLV (1924), p. 18; F. San Martino de Spucches, La storia dei feudi e dei titoli nobiliari di Sicilia...,I, Palermo 1924, p. s; J. Rosselli, Lord William Bentinck and the British occupation of Sicily. 1811-1814,Cambridge 1956, passim.