IMPERIALI, Giuseppe Renato
Nacque a Oria o, più probabilmente, a Francavilla Fontana, il 28 apr. 1651, da Michele, principe di Francavilla, e Brigida Grimaldi. Apparteneva a uno dei numerosi rami della famiglia genovese degli Imperiali, trapiantato in Puglia sin dal Cinquecento e rapidamente assurto a notevole potenza.
Dopo avere trascorso l'infanzia in Puglia, nel 1662 l'I. fu inviato, insieme con tre dei suoi fratelli, a Roma presso il prozio Lorenzo, influente cardinale. A Roma studiò presso il Collegio germanico-ungarico, un'istituzione alla quale rimase sempre molto legato. Nel 1688, alla morte del fratello maggiore, Pierfrancesco, l'I. si avviò alla carriera ecclesiastica, sotto la protezione del cardinale Lorenzo, che gli fece conferire alcuni benefici ecclesiastici. Conseguita la laurea in utroque iure, l'I. mosse con sicurezza i primi passi nella carriera. Il 19 nov. 1672 fu nominato referendario di Segnatura, in deroga alla sua giovane età e nel 1684 assunse la lucrosa carica venale di chierico della Camera apostolica; quattro anni più tardi fu posto al vertice dell'amministrazione finanziaria pontificia come tesoriere generale. In questa veste, l'I. promosse un'energica politica di lavori pubblici, che interessò soprattutto la città di Civitavecchia e alcuni centri minori, come Cervia. Si distinse inoltre per una gelosa difesa delle prerogative giurisdizionali del Tesorierato, rivelando un temperamento deciso che si sarebbe meglio manifestato negli anni successivi. Il 13 genn. 1690 l'I. fu creato cardinale e subito inviato a Ferrara in qualità di legato; vi sarebbe rimasto sette anni, pur allontanandosene in diversi momenti, come nel conclave del 1691. A Ferrara l'I. dispiegò un'intensa attività politico-amministrativa, promuovendo opere pubbliche e importanti iniziative in campo economico e finanziario, come l'abolizione della "gabella dei libriccioli", che gravava su generi di prima necessità, la riduzione delle prestazioni lavorative coatte per i lavori di regimazione idrica e l'erogazione di sovvenzioni a favore delle attività manifatturiere.
Si trattava di un ampio programma di "buon governo", all'interno del quale trovava spazio il progetto, per certi versi utopico, di rinchiudere vagabondi e medicanti in ospizi-reclusori, come negli stessi anni si stava facendo a Roma. Le capacità amministrative dell'I. non riuscirono a evitare una forte tensione tra il legato e il ceto dirigente ferrarese, irritato dalla decisione di istituire il libero mercato del grano, misura che ledeva i privilegi annonari della città e danneggiava il patriziato. Non deve allora stupire se nel 1695 un giovane rampollo di una delle maggiori famiglie ferraresi, Luigi Bentivoglio, osò compiere una vera e propria spedizione militare contro gli ammassi del grano.
Nel 1697 l'I. fu richiamato a Roma e riprese il suo posto in numerose congregazioni; tuttavia egli non assunse cariche di governo veramente importanti e aspirò piuttosto a ritagliarsi uno spazio di rilievo nel mondo politico e culturale romano, in attesa di un ricambio del personale politico che l'avanzata età del papa Innocenzo XII lasciava presagire imminente. L'I. aderiva alla fazione cardinalizia degli zelanti, un eterogeneo raggruppamento di cardinali che aspirava a limitare l'influenza delle potenze europee sui conclavi e a rilanciare la centralità del Papato nella politica e nella cultura italiana. Stando ad alcune relazioni coeve egli sarebbe stato uno degli elementi di spicco della fazione, che dominò i conclavi del primo Settecento. Quello del 1700 rappresentò un notevole successo per l'Imperiali. Nonostante l'opposizione dei cardinali del partito francese ai candidati più rappresentativi della fazione dell'I., gli zelanti riuscirono senza grandi difficoltà a eleggere l'ancora relativamente giovane cardinale Giovanni Francesco Albani, che era riuscito a coniugare l'adesione al programma zelante con un velato filofrancesismo. Personalità debole e di intelligenza mediocre, l'Albani, che assunse il nome di Clemente XI, fu, soprattutto nei primi anni del pontificato, fortemente influenzato da alcuni cardinali di Curia, tra cui l'I., che, come scrisse l'ambasciatore veneto, "riescono appresso il papa mezi di soggezione, non di confidenza" (Relazioni di ambasciatori…, p. 316).
Il 4 maggio 1701 il papa nominò l'I. prefetto della congregazione del Buon Governo, uno dei principali organi dello Stato della Chiesa.
In quella fase, la congregazione, che si occupava prevalentemente del controllo sulle finanze locali, era inibita nella sua azione dalla mancanza di un autorevole vertice. Dopo l'abolizione del nepotismo (1692) la congregazione era stata posta alle dipendenze del segretario di Stato che, come denunciò lo stesso I. in una lettera al papa, non riusciva a imprimerle un indirizzo politico-amministrativo e finiva per demandare gli affari al personale di rango prelatizio. L'I. mantenne la prefettura del Buon Governo dal 1701 al 1736, finendo per dirigere buona parte dell'amministrazione temporale dello Stato della Chiesa. L'interesse per il governo dello Stato rimase sempre fortissimo nell'I., che invece rimase relativamente distante dalle grandi dispute religiose che caratterizzarono i primi decenni del Settecento. Convinto assertore del ruolo della S. Sede, egli non appare infatti mai in primo piano nei dibattiti sul giansenismo, mentre partecipò attivamente all'elaborazione della politica papale su questioni politico-religiose che investivano direttamente i rapporti della S. Sede con gli Stati italiani. Alla base dell'azione politica dell'I. stava una chiara volontà di ammodernare la struttura dello Stato, rafforzando i controlli del Buon Governo sulle amministrazioni locali e promuovendo politiche di perequazione fiscale.
Nel corso del 1701 l'I. avviò l'emanazione di una cospicua normativa in materia di amministrazione finanziaria dei Comuni. Ancora più importante fu inoltre la decisione di intraprendere ispezioni (le visite) nei comuni, compiute personalmente dall'I. o da prelati della congregazione del Buon Governo dotati di pieni poteri. Tramite le visite il Buon Governo poté acquisire un quadro finalmente preciso della situazione finanziaria locale e affermare formule impositive più equilibrate. Tra il 1704 e il 1705 l'I. promosse un'altra importante riforma, decisa in una congregazione particolare nella quale si stabilì che i beni immobili dei feudatari dovevano essere tassati al pari degli altri beni privati. Nell'ambito delle aspre discussioni che divisero la congregazione l'I. assunse un atteggiamento decisamente favorevole alla tassazione dei beni feudali e negli anni successivi, attraverso le visite nei comuni infeudati, verificò l'esecuzione della riforma.
Nei primi anni del Settecento l'I. acquisì un ruolo di primo piano anche nel mondo culturale romano grazie alla sua biblioteca, raccolta nel giro di pochi anni, ma rapidamente affermatasi tra le maggiori a Roma.
Il nucleo originario era costituito dalla modesta raccolta libraria del prozio, che fu molto ampliata a partire dal 1689-90 con l'acquisto di una parte consistente della biblioteca del cardinale G.G. Sluse e con l'acquisizione di una parte della biblioteca Severoli, avvenuta intorno al 1710. Nel 1711, quando Giusto Fontanini ne pubblicò il catalogo, la biblioteca Imperiali comprendeva più di 15.000 volumi, con una prevalenza di testi di diritto, filosofia e letteratura. La biblioteca era una struttura aperta, capace di promuovere l'incontro tra letterati, anche per merito di eruditi d'alto livello quali lo stesso Fontanini e Domenico Giorgi, fortemente impegnati come pubblicisti al servizio del Papato. Anche nel settore del collezionismo artistico l'I. acquisì un ruolo importante sulla scena romana, accumulando nel giro di pochi anni una cospicua collezione, venduta alla sua morte. I suoi gusti si orientavano verso un moderato classicismo, con una netta preferenza per alcuni autori contemporanei, quali Carlo Maratta, Domenico Maria Muratori e Francesco Ferrandi, che divenne il suo pittore personale.
A partire dal 1707-08 l'attività riformatrice promossa dall'I. come prefetto del Buon Governo dovette misurarsi con il progressivo aggravamento della situazione finanziaria dello Stato, causato dalla partecipazione del Papato alla guerra di successione spagnola. Nella primavera del 1708 Clemente XI, deciso a difendere il ruolo del Papato in Italia e irritato dall'atteggiamento aggressivo delle truppe imperiali che stazionavano nelle Legazioni, decise di reagire con le armi e conferì alla congregazione Economica, istituita ad hoc, il compito di trovare i mezzi per finanziare la costituzione di un esercito. Sin dalle prime sedute della congregazione (giugno-luglio 1708) l'I. manifestò una forte contrarietà ad aumenti eccessivi del peso fiscale che gravavano sullo Stato e, in segno di protesta, si allontanò da Roma per alcuni giorni. Le vicende della guerra finirono per dare ragione ai timori dell'Imperiali. La sconfitta dell'esercito pontificio obbligò il papa a firmare l'umiliante armistizio il 15 genn. 1709, che aprì una fase più distesa dei rapporti con l'imperatore ma non risolse i problemi finanziari dei Comuni, duramente provati dall'aumento della tassazione e dalle razzie operate dalle truppe imperiali. L'I. reagì a questa situazione avviando una complessa opera di risanamento finanziario basata su una rateizzazione degli aumenti d'imposta e su politiche di perequazione fiscale, che consentirono di ridurre le esenzioni del clero e dei patriziati. L'operazione ebbe un discreto successo e rafforzò il credito dell'I. presso il pontefice, che decise di impiegarlo anche in politica estera.
Nell'autunno 1711 l'I. fu così incaricato di una missione a Milano, presso il neoeletto imperatore Carlo VI. Nel corso di quel soggiorno, prolungatosi fino al gennaio 1712, l'I., che non era sospetto di filofrancesismo, trattò della restituzione della cittadina di Comacchio, ancora occupata dagli Imperiali, e di un accomodamento su una serie di pendenze cerimoniali ancora aperte. Tornato a Roma, l'I. riprese il suo posto alla congregazione del Buon Governo, affrontando con indubbia capacità il problema dell'assestamento del debito comunale.
Nel 1720 l'I. fu incaricato dal papa di ottenere dalla Repubblica di Genova l'arresto del cardinale Giulio Alberoni, per poterlo processare a Roma. L'operazione non riuscì in pieno: dopo un breve confino la Repubblica rilasciò l'Alberoni, ma il processo fu istruito ugualmente e l'I. fu chiamato a far parte della congregazione cardinalizia incaricata di giudicare il porporato. Pur avendo già da tempo manifestato ostilità nei confronti dell'Alberoni, nel 1723 l'I. finì per pronunciarsi contro la sua rimozione dal cardinalato e a favore di una conclusione del processo per via di grazia. Difensore spesso rigido dei diritti della S. Sede, l'I. continuò anche negli anni successivi a misurarsi con le grandi questioni della politica internazionale della S. Sede. Prese, per esempio, posizione assai nettamente nelle congregazioni incaricate di ricercare un accomodamento con il governo sabaudo, che da anni perseguiva politiche giurisdizionaliste particolarmente avanzate; incisiva fu anche l'attività svolta per ottenere la cattura di Pietro Giannone.
Dopo avere giocato un ruolo minore nei conclavi del 1721 e del 1724, l'I. si trovò in qualche difficoltà durante il pontificato di Benedetto XIII (1724-30). Il nuovo pontefice, giunto al trono in età molto avanzata, era ostaggio di discutibili collaboratori, che aveva condotto con sé dalla diocesi di Benevento, e in particolare di monsignor Niccolò Coscia.
Mentre il pontefice si occupava soprattutto degli aspetti pastorali del suo ministero, il nuovo gruppo di governo si impadronì rapidamente delle più importanti posizioni di potere, scavalcando sistematicamente le congregazioni e suscitando malumori in ampi settori del collegio cardinalizio. Ancora maggiore apprensione suscitò l'avvio di trattative con i principali Stati italiani, al fine di comporre i conflitti giurisdizionali, apertesi negli anni precedenti.
In un S. Collegio che difettava di membri autorevoli, l'I. assunse, insieme con il cardinale Pietro Marcellino Corradini, un ruolo di primo piano nell'opposizione al papa. Nel concistoro dell'11 giugno 1725 votò, con altri nove cardinali, contro l'elezione del Coscia al cardinalato. Nel 1727-28 l'I. intervenne nelle congregazioni speciali create dal papa per risolvere la questione dei beni ecclesiastici del Piemonte, opponendosi a qualunque tentativo di accordo con Vittorio Amedeo II che ledesse la potestà papale e l'immunità ecclesiastica. L'opposizione dell'I. non poté avere ragione della volontà di pacificazione di Benedetto XIII e dei suoi collaboratori, lautamente finanziati dagli agenti del re di Sardegna; già nel 1727 fu quindi firmato un primo concordato, che gli zelanti giudicarono lesivo dei diritti della S. Sede.
Alla morte di Benedetto XIII il gruppo degli zelanti tentò di imporre un proprio candidato al trono papale. Il conclave del 1730 si aprì in una situazione incerta, in cui al dinamismo degli zelanti faceva riscontro la volontà delle potenze europee di evitare l'elezione di un pontefice capace di rilanciare il ruolo del Papato nella politica internazionale. Nella generale incertezza dei primi giorni gli zelanti tentarono di forzare la situazione lanciando la candidatura dell'Imperiali. Dopo alcune votazioni, il 20 marzo l'I. raccolse 18 voti su 42 - tanti erano i cardinali presenti in conclave - e, in seguito, riuscì a ottenere ben 22 consensi. Di fronte al rischio di un'elezione dell'I. il cardinale C. Bentivoglio, portavoce degli interessi spagnoli in conclave, decise di sbarrargli la strada lanciando "l'esclusiva", che fu mantenuta nonostante i sostenitori dell'I. avessero inviato a Madrid un corriere per chiederne la revoca.
Al termine del lungo conclave fu eletto Lorenzo Corsini, un vecchio cardinale che assunse il nome di Clemente XII. L'I., vicino al papa, poté ancora ricoprire un ruolo politico di rilievo. Dopo aver fatto parte di una congregazione particolare incaricata di giudicare alcuni collaboratori di Benedetto XIII, nel 1731-32 promosse la costituzione del porto franco di Ancona, un importante progetto che avrebbe dovuto contribuire al rilancio dell'economia. Coronamento della lunga attività amministrativa dell'I. fu la pubblicazione, tra il 1732 e il 1734 di una raccolta in tre volumi della normativa emanata dal Buon Governo, usualmente conosciuta con il titolo De bono regimine, curata da Pietro Andrea De Vecchi, un giurista legato all'Imperiali.
A partire dal 1734 l'I. fu nuovamente impegnato nel risanamento delle finanze locali, duramente colpite dai transiti degli eserciti impegnati nella guerra di successione polacca. Per reagire alla situazione, nel 1736 egli elaborò un piano di ammortamento dei debiti comunali, che non fece in tempo ad attuare.
L'I. morì, a Roma, il 15 genn. 1737.
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