BREGLIO, Giuseppe Roberto Solaro di
Nacque in Piemonte, forse a Govone (Cuneo), intorno al 1680 da Ottavio Francesco dei conti di Govone e da Maria Provana di Druent.
La sua famiglia si riallacciava a una delle più nobili del Piemonte, quella dei Solaro di Govone, che da secoli erano al servizio della corte sabauda, ricevendone in cambio alte cariche e onorificenze. Ottavio Francesco, il padre, aveva acquistato il marchesato di Breglio ed era stato diplomatico e governatore del principe Amedeo di Carignano, ricevendo la commenda dei SS. Maurizio e Lazzaro e lasciando alla sua morte un patrimonio considerevole, ma oberato da circa centotredicimila lire di debito per le spese sostenute al servizio della corte. Il B. ebbe nove fratelli, di cui tre maschi, Antonio Maurizio, anche lui diplomatico, Carlo Vittorio, abate, e Giovanni Luigi, colonnello nell'esercito austriaco. Delle sei sorelle, cinque finirono in convento e una, Paola, fu sposa a Cesare Giustiniano Alfieri marchese di Sostegno .
Il B., che trascorse la propria adolescenza fra Torino e Govone, ebbe l'educazione tipica del nobile destinato alla carriera diplomatica e fu mandato in Francia in viaggio d'istruzione. Ma ben presto, scoppiata la guerra di successione spagnola, secondo le tradizioni familiari si arruolò nell'esercito e nel 1701 ebbe il grado di cometta colonnella dei dragoni genovesi. Nel 1703 fu fatto prigioniero alla Secchia. Liberato, venne nominato aiutante di campo di Vittorio Amedeo II e partecipò ai due assedi di Verrua e di Chivasso. Nel 1705 fu nominato capitano dei dragoni genovesi.
Per tutto il resto della guerra attese invano un'altra promozione. Aveva sposato intanto la contessa Francesca Maria Vassallo di Favria, che portò alla famiglia dei Solaro quel contado, i cui beni furono affittati a undicimila lire annue. Da essa ebbe otto figli, di cui il più noto fu Roberto, che ebbe l'incarico di ambasciatore a Parigi e fu amico di Montesquieu, Voltaire e Rousseau.
Verso la fine del 1718, mentre la carriera militare gli stava dando una grossa delusione, il R. ebbe l'incarico di ministro plenipotenziario a Napoli, presso il viceré austriaco, conte Daun. Partito nell'ottobre 1718, tenne l'incarico dal 22 apr. 1719 al 30 genn. 1720 (in realtà era giunto a Napoli il 1º dic. 1718 e ne ripartì il 29 dic. 1719). Il suo incarico, svolto con diligenza e con piena soddisfazione della corte piemontese - come si rileva da quanto egli afferma nelle scarne memorie -, aveva una certa importanza, per la situazione delicata che si era venuta creando dopo il passaggio della Sicilia alla corona imperiale, in cambio, svantaggiosissimo per il Piemonte, della Sardegna.
Durante la permanenza napoletana il B. ebbe l'incarico di avvicinare, per offrire loro cattedre all'università di Torino, alcuni intellettuali napoletani. Fra questi primeggiavano le figure di Gaetano Argento, Costantino Grimaldi e Nicolò Caravita, mentre il Giannone, accanitamente impegnato nel lavoro dell'Istoria, cominciava a distinguersi come avvocato e come intellettuale. Fra l'altro, essendo stato incaricato di procurare un professore di eloquenza, ebbe un incontro con il Vico, che dovette fargli una ben cattiva impressione, se, scrivendone a Torino, lo definì un "vrai pédant", non adatto per l'incarico universitario (cfr. F. Nicolini, p. 165).
Nel 1720 il B. ebbe la nomina di ambasciatore a Vienna, premio per la sua diligenza, ma anche prosecuzione naturale dell'attività svolta a Napoli. Infatti, come si rileva dai suoi primi dispacci (Arch. di Stato di Torino, Lettere Ministri,Austria, mazzo 47), arrivato a Vienna il 30 genn. 1720, venne accolto dallo stesso Daun che egli aveva conosciuto a Napoli come viceré e che era da poco tornato alla corte austriaca. Ben presto si pose in contatto con i personaggi che guidavano la politica austriaca: Raimund Perlas de Vilhena, marchese di Rialp, e il principe Eugenio, oltre naturalmente a Philipp Ludwig Sinzendorf, ottenendone la simpatia. Seguì attentamente le cose di Spagna, pronto a segnalare le ambizioni della Farnese e le mosse della diplomazia austriaca, che non aveva rinunciato al sogno di ricostituire l'impero di Carlo V. Né gli sfuggì l'atteggiamento del re di Prussia Federico Guglielmo, che tentava, con l'appoggio dell'Inghilterra, di contendere all'Austria la supremazia in Germania. Ma soprattutto fu invano impegnato fino al 1725 - assistito dall'avvocato Siccardi - a risolvere le annose questioni dei feudi delle Langhe, in cui si era già misurata l'abilità del Mellarède negli anni della guerra di successione spagnola. Ma in sostanza il B. svolse quasi esclusivamente attività di osservazione in un periodo in cui (Arch. di Stato di Torino, Lettere Ministri,Austria, mazzi 49-50-51) il re Vittorio Amedeo II (come osserva G. Quazza, p. 105), impegnato in un piano di riforme all'interno, ma soprattutto deluso per la perdita della Sicilia, preferiva seguire una linea di cauta attesa nella politica estera. Egli seppe assolvere piuttosto bene questo incarico inviando alla corte piemontese acute relazioni di uomini e fatti, durante tutte le fasi diplomatiche che precedettero la pace di Vienna. Dopo questa pace, la funzione del Piemonte e il significato della sua alleanza acquistano un senso maggiore: l'imperatore, per mezzo del B., verso la fine del 1725 invitò Vittorio Amedeo II ad accedere ai trattati di Vienna (cfr. Quazza, p. 118). Ma il sovrano piemontese, tramite il suo ambasciatore, non solo rifiutò per allora di impegnarsi ad accettare la Prammatica, ma si avanzò a chiedere, a scopo dilatorio, lo scambio della Sardegna con la Toscana.
Nel 1727 il B. venne richiamato a Torino, lasciando a Vienna come provvisorio sostituto il fratello Maurizio; il re voleva destinarlo a Parigi o in Spagna, ma - dopo otto mesi - preferì rinviarlo a Vienna, dove egli rimarrà fino al 1732.
Tornato a Vienna, il B. assisté all'incrinarsi dell'alleanza fra Madrid e Vienna (Arch. di Stato di Torino, Lettere Ministri,Austria, mazzo 59) e al prepararsi di un clima di guerra, osservando attentamente lo stato delle truppe imperiali (mazzo 60, 21 dic. 1729) e le trattative che porteranno al trattato di Vienna del 22 luglio 1731 con l'Inghilterra (mazzo 61). Fino alla fine del 1731, mentre i preparativi della guerra si faranno sempre più intensi, il B. rifiuterà di discutere un progetto di alleanza fra Austria e Piemonte in cui non si fosse parlato della Lombardia.
L'8 genn. 1732 il B. fu sostituito dal fratello Maurizio, ma rimase nella capitale austriaca fino al febbraio. Tornato a Torino, ebbe il titolo di capitano delle guardie del corpo del re e nel 1733 fu nominato governatore del futuro Vittorio Amedeo III. Dapprima non apparve contento dell'incarico, perché lo considerava una manovra dell'Ormea per metterlo precocemente in pensione, ma non perse affatto di prestigio e fu uno dei consiglieri più fidati di Carlo Emanuele III, come autorevole esponente del partito favorevole all'Austria in continuo conflitto con l'Ormea. Il 19 marzo 1737 ricevette il collare dell'Annunziata; successivamente fu nominato "tenente maresciallo alla maniera tedesca e pochi mesi dopo all'occasion dell'union colli francesi luogotenente generale".
A lui - come antico amico durante il soggiorno viennese - si rivolse il Giannone, prigioniero in Piemonte, perché gli fosse resa giustizia e gli venissero restituiti alcuni effetti personali. Come precettore, ebbe molti contatti con Wicardel de Fleury e con il Bertola, insegnante di materie scientifiche. Nell'educazione del principe, secondo il Carutti, incorse nelle critiche di molti, in quanto si riteneva che instillasse nel futuro sovrano un'eccessiva liberalità; come consigliere di Carlo Emanuele III, morto l'Ormea, fu spesso in conffitto con un altro rappresentante della politica e amministrazione piemontese, il Bogino.
Nel 1748 fu plenipotenziario al congresso di Nizza "per regolare - commenta amaramente - ed accomodare gli articoli della pace d'Aquisgrana riguardanti l'Italia. S.M. fece tutte le spese ed 10 le mie fatiche senza ulterior provento...". Poco prima (il 27 maggio 1747) aveva ricevuto la commenda dei SS. Maurizio e Lazzaro con la rendita annua di lire 3.333 per i suoi meriti di precettore.
A questa carica in un certo qual modo è legata l'amicizia con Montesquieu. Questi aveva incontrato il B. a Vienna nel 1728 ed era stato molto colpito dalla sua figura di intelligente e abile ambasciatore, profondamente stimato e ben visto negli ambienti della diplomazia europea raccolti a Vienna; ebbe poi occasione di stringere più stretti legami con il fratello del B., che egli aveva giudicato "bien inferieur". Da allora numerosi riferimenti a una reciproca stima compaiono nelle lettere del Montesquieu (cfr. Correspondance..., a cura di F. Gebelin, Paris 1914. I-II, passim). L'amicizia si rinsaldò quando nei primi mesi del 1749 il B. apprezzò talmente l'Esprit des lois da farlo leggere al suo regale alunno (cfr. la lettera del Montesquieu al B. del 22 luglio 1749, ibid., II, p. 209: "Vous me ravissez quand vous me dites que Son Altesse Royale m'a fait l'honneur de lire mon livre et qu'elle vous en a paru contente..."). In seguito, più volte il B. invitò lo scrittore francese a Govone, ove mise a sua disposizione nel novembre 1750 un appartamento. Del resto i rapporti con il mondo culturale francese erano una tradizione familiare. (Nel 1728 i marchesi di Breglio avevano accolto come lacchè nella casa di Torino l'adolescente Rousseau [cfr. Le Confessioni, Torino 1955, pp. 102 ss.], che ci ha lasciato un bel ritratto della sorella del B., Paola, poi corteggiata dal Montesquieu [cfr. L. Firpo, Rousseau in Italia, in Filosofia, XIV (1963), pp. 273 s.].
Negli ultimi anni, la vita del B. fu quella tipica del diplomatico trasformatosi in autorevole consigliere di Carlo Emanuele III, che lo interpellava ancora, con il Bogino e il Caissotti, alle avvisaglie della fine della guerra dei Sette anni, nel dicembre 1762. Ottuagenario, frequentava i salotti letterari e galanti, tenendo brillante conversazione e corteggiando, con diplomatica puntualità, la giovane e simpatica madama Martin. Era però anche buon amministratore delle sue terre, come dimostra un preciso bilancio delle proprietà e delle migliorie apportate (Conto fatto in dipendenza delle pretenzioni dell'eccellentissimo comm. Solaro verso il conte suo fratello, in Archivio di Stato di Torino, Archivio Alfieri, mazzo 82, fasc. 19), scritto il 27 marzo 1757, e contenente, prima del resoconto economico, una succinta autobiografia, e inoltre alcune aggiunte successive.
Govone, che suo padre "homo di somma pietà e dottato di una mente giusta e quadra e molto capace" sosteneva essere il feudo più importante della loro casata, nel 1757 rendeva circa 18.000 lire, mentre gli altri beni, fra cui il patrimonio della contessa Favria, affittato per 11.000 lire, rendevano circa 12.000 lire, contro una spesa annua di circa 26.000 lire. Nell'anno successivo (1758), il reddito era stato di 46.000 lire e le spese di circa 43.000, per cui la resa era quasi la stessa. Inoltre il B. documenta come Govone, che nel 1718 rendeva 26.000 lire, nel 1732 ne rendesse solo 18.000, e nonostante gli impieghi di capitale non avesse mai superato le 24.000. Altre notizie curiose, di queste scarne memorie, riguardano i debiti: nel 1732, dopo la partenza da Vienna, aveva dovuto impiegare 13.000 lire del proprio patrimonio "non avendo bastato la vendita dell'argenteria, mobili, cavalli, ed altri effetti per pagare detti debiti".
Il B. morì a Govone il 15 marzo 1764.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Torino, Lettere Ministri Austria, mazzi 47-61; Ibid Negoziazioni Austria, mazzi 12-13; Ibid., Archivio Alfieri, mazzo 82 (la memoria citata e altre carte di famiglia); D. Carutti, Storia del regno di Carlo Emanuele III, Torino 1859, I, pp. 33, 128-129; II pp. 155, 207-209; Id., Storia della diplomazia della corte di Savoia, III, Torino 1879, pp. 557-572; IV, ibid. 1880, p. 256; M. Zucchi, Igovernatori dei principi reali di Savoia, Torino 1932, p. 62; V. Angius, Sulle famiglie nobili della monarchia di Savoia, Torino 1841-57, I, pp. 915 s. (dove si sostiene che il B. morì il 15 marzo 1761, data evidentemente erronea). Per i rapporti con Vico, cfr. F. Nicolini, La giovinezza di G. B. Vico, Bari 1932, p. 165, e B. Croce, Bibliogr. vichiana accresciuta e rielaborata, a cura di F. Nicolini, Napoli 1947, I, p. 75; II, pp. 183 s. (riassume la lettera del B. del 24 nov. 1719 a Vittorio Amedeo II). Per i rapporti con Montesquieu, oltre la Correspondance già citata, cfr. di Montesquieu, Voyage en Autriche, in Oeuvres complètes, a cura di R. Caillois, I, Paris 1949, p. 539; P. Ambri Berselli, L'opera di Montesquieu nel 700 ital., Firenze 1960, p. 4; e ancora, la fondam. monografia di R. Shackleton, Montesquieu. A critical Biography, Oxford 1961, ad Indicem. Per quanto riguarda la missione diplomatica a Vienna, cfr. R. Moscati, La polit. estera degli Stati italiani dalla caduta di Alberoni al III trattato di Vienna, in Rass. stor. del Risorg., XXXV (1948), pp. 3-42; Repertorium der diplomat. Vertreter aller Länder..., II, Zürich1950, pp. 362, 365 s.; La legaz. sarda in Vienna (1707-1859), a cura di E. Piscitelli, in Min. Aff. Esteri. Indici dell'Arch. storico, Roma 1950, pp. 18-22; T. Geheling, Ein europäischer Diplomat am Kaiserhof zu Wien: François Louis de Pesme seigneur de Saint-Saphorin als englischer Resident am Wiener Hof 1718-1727, Bonn 1964, passim. Ma fondamentale è G. Quazza, Il problema ital. e l'equilibrio europeo. 1720-1738, Torino 1965 (che rielabora e rifonde i precedenti contributi e dà una parte di notevole rilievo al B. di cui pubblica in appendice una relazione del 1727 Sullo Statodella populazione,commercio,religione,redditi e guarniggione di tutti gli stati della real casa d'Austria, pp. 405-413). Per i rapporti con il Giannone prigioniero a Torino, cfr. G. Ricuperati, Le carte torinesi di P. Giannone, Torino 1962, p. 62 n.