Giuseppe Salvioli
La figura di Giuseppe Salvioli presenta motivi talmente complessi da non potersi pensare a una soddisfacente definizione di sintesi, bensì, semmai, a una chiave di lettura in virtù della quale coniugare, all’interno di un quadro d’insieme, molteplici profili ideologici e metodologici. La complessità discende non solo dall’eclettismo dell’uomo, ma anche dallo sfondo economico-sociale, dal contesto culturale, dal quadro politico. L’Europa del secondo Ottocento, alle prese con l’industrializzazione e con la questione sociale, fu il crocevia intellettuale di un’intricata rete di dottrine, movimenti, teorie, dalla sociologia al positivismo, dal darwinismo al marxismo, dal materialismo all’idealismo. La complessità di Salvioli, comune a diversi giuristi della sua generazione, riflette perciò quella del contesto generale, valendo per l’uno e per l’altro l’inadeguatezza di etichette semplificanti.
Figlio di Gabriele, impiegato nell’amministrazione del Ducato di Modena, e Anna Maria Cecchi, Giuseppe Salvioli nacque a Modena il 13 settembre 1857, in una famiglia cattolica della media borghesia. Secondo di cinque fratelli, si iscrisse alla facoltà di Giurisprudenza della città natale, dove si laureò nel 1878. Ancora studente, intraprese le prime ricerche nel campo della filologia e della letteratura, a testimonianza di una marcata poliedricità culturale: sotto la guida di Giovanni Calvani, erudito cultore della poesia provenzale, pubblicò una serie di articoli sulla letteratura celtica e sulla poesia epica in Francia, poi raccolti nel volume Filosofia della letteratura francese nel Medio Evo (1878).
Negli stessi anni, incoraggiato da Cesare Foucard, direttore dell’Archivio di Stato, si accostò alle discipline storiche, frequentando assiduamente anche la Biblioteca Estense. A questa fase risalgono le indagini L’istruzione pubblica in Italia nei secoli VIII, IX e X (1879) e Nuovi studi sulla politica e le vicende dell'esercito imperiale in Italia nel 1526-27 e sul sacco di Roma: contributo alla storia d'Italia sotto la dominazione di Carlo V (1879), preludio ai primi lavori di storia giuridica, incentrati sugli statuti comunali e sulle scuole di diritto.
Trasferitosi a Roma nel 1880, Salvioli sperimentò la carriera giornalistica, dedicandosi alla rassegna stampa della «Rivista europea», collaborando con la «Rassegna settimanale», scrivendo per il «Diritto», facendo, dal 1882 al 1883, il corrispondente da Berlino della «Rassegna» e della «Tribuna». Nello stesso periodo, Luigi Bodio, direttore dell’Ufficio di statistica del ministero dell’Agricoltura, Industria e Commercio, gli affidò una serie di inchieste, alcune delle quali sulla storia dei prezzi in Italia, dandogli così l’occasione di avvicinarsi alla sociologia, come dimostra la pubblicazione di Della statistica del suicidio (1881).
Ormai votato alla ricerca storico-giuridica, anche per l’influenza esercitata dalla personalità di Theodor Mommsen, conosciuto a Berlino, e per gli insegnamenti di Francesco Schupfer, da lui considerato il suo vero maestro, Salvioli divenne, nel 1882, «privato docente» di storia del diritto presso l’Università di Roma. Dopo un breve incarico nel 1883 a Camerino, vinse nel 1884 il concorso per la cattedra di storia del diritto italiano all’Università di Palermo. In quest'ultima città conobbe e sposò, nel 1886, Maria Orlando, dalla quale ebbe cinque figli.
Gli anni palermitani furono cruciali per la formazione di Salvioli che venne a diretto contatto con la realtà economica siciliana e respirò il clima intellettuale di una Palermo che all'epoca esprimeva una cultura accademica fra le più vivaci della penisola. Nella lettera che il 22 dicembre del 1893 scrisse a Werner Sombart (in Il capitalismo antico, 1929, ed. it. di Le capitalisme dans le monde antique, 1906), Salvioli invitava l’economista tedesco a fare un giro in Sicilia, in mezzo a «meno socialismo, ma più fame, miseria, abbrutimento», fra lo sfruttamento dei «fanciulli di 6 anni nelle miniere» e le «torme di uomini senza lavoro» (rist. 1985, p. LIX).
È in questo periodo, con la fondazione nel 1892 del Partito del lavoratori italiani, divenuto nel 1895 Partito socialista italiano, che si consolidarono in Salvioli, a contatto con Antonio Labriola, Napoleone Colajanni e Filippo Turati (che lo invitò ad affiancarlo nella direzione della «Critica sociale»), quei motivi di ispirazione socialista, solidarista e riformista che avrebbero determinato gli indirizzi tematici della sua produzione scientifica.
Il sostegno che egli diede al movimento dei Fasci siciliani rimase costante anche durante i moti del 1893 e 1894, concretizzandosi non tanto nella militanza politica attiva (nel 1892 partecipò alle amministrative di Palermo e si candidò come deputato nei collegi di Canicattì e Girgenti) quanto nella collaborazione alle riviste dell’isola più sensibili ai problemi della classe operaia, come «Giustizia sociale», «Il siciliano», «L’Isola», e nella scelta di temi d’indagine collegati alla questione sociale.
Dall’inizio degli anni Novanta, pubblicando una serie di articoli in materia di sciopero, diritto del lavoro, crisi agraria, Salvioli intensificò la sua collaborazione con riviste come «La riforma sociale», «La scuola positiva», «Critica sociale», la «Rivista popolare», la «Rivista italiana di sociologia», la «Rivista di politica e scienze sociali», «Le devenir social». Nel 1894 partecipò ai lavori della commissione reale per i contratti agrarii. Nel 1897 fondò, insieme a Giuseppe D’Aguanno, la «Rivista di storia e filosofia del diritto», nel cui primo numero illustrò, in qualità di direttore, i criteri de La nuova fase della storia del diritto.
A Palermo rimase fino al 1903, quando si trasferì all’Università di Napoli, dove assunse la cattedra di storia del diritto italiano, tenendo anche corsi di filosofia del diritto. Nel 1906 il ministro di Grazia e Giustizia Nicolò Gallo lo nominò membro della commissione reale per la riforma generale della legislazione di diritto privato. Socio dell’Accademia pontaniana, Salvioli entrò presto nella vita intellettuale della città partenopea, conoscendo Benedetto Croce, con il quale ebbe qualche iniziale dissenso, e frequentando gli ambienti più vivaci della cultura cittadina.
La Prima guerra mondiale, rispetto alla quale Salvioli sostenne la neutralità, fu l’occasione per una ricerca storica su L’italianità di Trento nel suo diritto medievale («Rivista italiana di sociologia», 1915, pp. 328-46) e per riprendere i suoi studi sul concetto di 'guerra giusta'.
Nel 1922, nell’anno dell’avvento del fascismo, divenne preside della facoltà di Giurisprudenza di Napoli. In uno scritto del 1925 su Stato e individuo, rilevato l’acuirsi del conflitto fra capitale e lavoro, caldeggiò, di fronte alla crisi dello strumento parlamentare, l’«inserzione» dei sindacati «nello Stato», senza tuttavia aderire all’ideologia del regime, contro il quale, anzi, firmò il Manifesto degli intellettuali antifascisti («Il Mondo», 1° maggio 1925). Morì a Napoli il 24 novembre 1928, durante una seduta di esami, colto in aula da un improvviso malore.
Le linee metodologiche di Salvioli sono esplicitamente illustrate in almeno due opere (Il metodo storico nello studio del diritto civile, prolusione letta a Palermo il 20 dicembre 1884, e La teoria storica di Marx, del 1895), ma affiorano in realtà in tutta la sua produzione scientifica.
Già nei primi lavori, in cui sembra prevalere un neutrale tecnicismo, Salvioli si misura con i temi della storiografia giuridica che presentano immediati collegamenti con il contesto economico: la spiegazione del diritto commerciale passa dalla ricostruzione storica degli istituti, nel presupposto che «la migliore e più solida interpretazione delle leggi commerciali è quella ottenuta colla storia delle leggi stesse», tanto più se vi è «un nuovo codice» (riferimento a quello del 1882), del quale vanno ricostruite le radici, rilevando «quello che di nuovo è entrato», «quello che è rimasto fuori e quello che si è mantenuto» (Le giurisdizioni speciali nella storia del diritto italiano, 1° vol., La giurisdizione patrimoniale e la giurisdizione delle chiese in Italia prima del Mille, 1884, p. II).
Il primato dei fatti economici e la profondità dell’indagine storica rappresentano i punti fermi di un metodo che Salvioli andò elaborando in maniera via via più consapevole.
Nel 1884, con la citata prolusione Il metodo storico, egli riconosceva al positivismo il merito di aver sostituito «all’idea il fatto», favorendo una concezione del diritto come «processo organico e naturale», «organismo prodotto da una serie di fatti e di esperimenti, legato alla società, alle abitudini, ai costumi» (pp. 83-84), ma metteva in guardia da ogni forma di unilateralismo metodologico. All’analisi scientifica dei fatti economici e sociali occorreva affiancare l’elaborazione giurisprudenziale, alla speculazione metafisica l’indagine storica. La storia diventava strumento di conoscenza del diritto, che non era un isolato sistema di «forme logiche», ma un fenomeno derivante «dalla natura delle cose» (p. 85). Né «esatta manifestazione della coscienza giuridica popolare», né mero prodotto «dell’evoluzione con tutte le sue leggi di selezione, differenziazione, adattamento» (p. 85), il diritto era elaborazione scientifica dei fatti economici e sociali, «genesi» e «prodotto di evoluzione» (p. 93).
Nella prima edizione (1890) del Manuale di storia del diritto italiano dalle invasioni germaniche ai nostri giorni, Salvioli poteva così mettere in pratica a tutto campo la propria teoria storico-evolutiva, considerando il diritto non
l’invenzione arbitraria di uno o più individui [ma] il frutto dell’evoluzione di concetti, usi e consuetudini preesistenti, il prodotto degli sforzi e delle esperienze dei legislatori e dei giureconsulti (p. 1).
Nella sesta edizione (1908) del Manuale, anche in virtù di una maggiore consapevolezza definitoria, il diritto diventava
un fatto sociale, un prodotto storico, cioè necessariamente relativo, diverso nello spazio e nel tempo, proporzionato alle condizioni particolari che determinarono tutta la vita di un popolo, al grado di sua mentalità, alla forma della sua organizzazione economica (p. 1),
mentre le leggi si affrancavano da ogni residuo di arbitrarietà, nascendo
dal terreno sociale, da un sostrato storico, [...] in rispondenza colla struttura economica del popolo, col grado di civiltà, di organizzazione politica, di ideazione morale e religiosa (p. 1).
Da qui, da questa concezione del fenomeno giuridico quale «manifestazione della vita reale», la rottura con il formalismo esegetico e la valorizzazione del ruolo del giurista, chiamato a preparare «i materiali pel legislatore», fino all’idea, espressa nel 1891, che «la vera regola corrispondente alla realtà e alla giustizia sarebbe questa: lasciare libertà al giudice» (Gli aforismi giuridici, «La scuola positiva», 1891, p. 298).
La ripetuta insistenza sulla struttura economica, evidentemente, avvicinava il metodo di Salvioli al materialismo storico, primo dei suoi tanti punti di contatto con l’universo marxista. In La teoria storica di Marx (1895), egli attribuiva al filosofo tedesco il merito di aver richiamato «potentemente l’attenzione sul lato economico della storia», avviando «una nuova era», da cui discendeva l’esigenza di riscrivere la storia «in questa nuova luce».
La ricerca storiografica avrebbe dovuto penetrare in profondità, trascendere il piano formale delle istituzioni e della legislazione con l’obiettivo di ricostruire le dinamiche economiche e i rapporti sociali di produzione. Il riferimento alle «classi» sarebbe stato un paradigma ricorrente nelle opere di Salvioli, così come l’attenzione ai «modi di produzione» e ai «rapporti sociali che ne derivano», alle fasi della divisione sociale del lavoro e alle corrispondenti forme di proprietà.
In quest’ottica, a partire da Consortes e colliberti secondo il diritto longobardo (1883), Salvioli studiò la storia della costituzione economica dell’Italia, soffermandosi in primo luogo sulla conformazione del patrimonio immobiliare. La tesi, perfezionata più tardi in Sulla distribuzione della proprietà fondiaria (1899), si basava sulla persistenza, accanto al latifondo, della piccola proprietà, 'salvata', durante l’età romana e l’alto Medioevo, dall’assenza di «investimenti capitalistici».
L’analisi sulle forme della proprietà fondiaria serviva, secondo Salvioli, a comprendere il presente, a trovare soluzioni concrete ai problemi della società industriale, come nel caso della crisi economica siciliana, per superare la quale egli auspicava l’incremento della piccola proprietà contadina.
Alla ricerca delle cause della questione meridionale, Salvioli individuava l’«avvenimento» cruciale nello «spezzarsi in due della penisola italiana in sullo scorcio del secolo IX», allorquando «si determinarono i destini delle due Italie», la cui storia procederà ormai separata, fino al giorno in cui la temeraria iniziativa di alcuni uomini la ricongiunse in un’unità che parve miracolo» (Le nostre origini, 1913, p. 3). Se al Nord la piccola proprietà aveva garantito un modello di economia sostenibile, al Sud il latifondo aveva creato i presupposti per un forte conflitto di classe, in un quadro di sperequazioni che non avrebbe sopportato l’impatto del sistema capitalistico del quale, in Le capitalisme dans le monde antique (1906), Salvioli ribadiva, in sintonia con Karl Marx e in contrasto con Mommsen, il carattere prettamente moderno.
Ancora una volta, tuttavia, la condivisione di un indirizzo teorico non si traduceva nel fideistico sostegno a una dottrina. Come non c’è, in Salvioli, quell’incondizionata adesione al positivismo che si riscontra in molti neoterici del secondo Ottocento, così non c’è una piena identificazione con il materialismo storico, né con la dottrina marxista. Ferme restando l’acquisizione alla scienza della «teoria dei fatti storici» e la convinzione che il «processo storico» fosse l’effetto di una serie di forze congiunte, in primis quelle economiche, Salvioli non riteneva che l’interpretazione della storia dovesse «essere soltanto economica»: chi lo avesse creduto sarebbe caduto nel solito difetto di semplicismo, «nello stesso errore comune a tutte le antiche filosofie della storia»; «il materialismo storico» non conteneva «la formula per spiegare tutti i particolari storici, anzi in generale gli avvenimenti isolati non sono suscettibili di alcuna generalizzazione scientifica» (Prefazione, in Loncao 1900, pp. VI-VII).
Quello di Salvioli era un materialismo storico 'temperato', impregnato di socialismo, solidarismo, positivismo, antiformalismo, evoluzionismo, sociologismo. Dall’approfondita conoscenza del marxismo le sue ricerche sarebbero state «riccamente fecondate», ma ciò non ne avrebbe fatto «un marxista ortodosso», 'religiosamente' legato al credo e alla «terminologia marxiana», come scrisse nel 1912 Karl Kautsky nella prefazione a Der Kapitalismus im Altertum (edizione tedesca de Le capitalisme dans le monde antique).
Con queste premesse, ricomposte con originalità all’interno di un solido statuto metodologico, Salvioli avviava, a partire dalla prolusione palermitana del 1890 su I difetti sociali del Codice civile in relazione alle classi non abbienti e operaie, una riflessione critica sulla codificazione e sulla legislazione di diritto privato. «I difetti sociali» non dipendevano da «questa o quella disposizione», ma dall’«origine prima, filosofica della legge», che pur muovendo dal giusto principio dell’autonomia individuale era degenerata nel più bieco individualismo, concependo ciascun uomo come «un microcosmo», avulso dalla «collettività di cui è parte» (pp. 8-9). Il principale bersaglio diventava il diritto romano, originario padre di quell’impostazione individualistica che, idealizzando l’eguaglianza formale, aveva finito per avallare la prevalenza del più forte sul più debole. «La vera eguaglianza», raggiungibile solo «trattando disegualmente i diseguali», sarebbe stata, invece, «quella che colloca ognuno in eguale grado di forza verso i terzi e lo soccorre e lo integra in quello che gli manca di fronte agli altri» (p. 14).
La soluzione di Salvioli, pertanto, passava dall’intervento dello Stato, affinché, sostituendo all’«egoismo individuale» l’«utilità superiore dei sentimenti e delle virtù solidarie» (p. 8), si riequilibrasse la posizione dei soggetti deboli: la legislazione moderna avrebbe dovuto eliminare la disparità fra le «centinaia di articoli» che disciplinavano la proprietà e «il misero articolo che parla della locazione di opera», rimuovere l’idea che la proprietà sia «tutto» e «la persona nulla», spostare la «base» del diritto dalla «proprietà» al «lavoro» (pp. 21-24), riformare le norme che in materia di patria potestà, filiazione, rapporti tra i coniugi, successioni e obbligazioni avvantaggiavano la classe capitalista.
Il solidarismo di Salvioli non si arrestava alla consueta istanza di equilibrio e proporzione, ma assumeva tinte ideologiche, mirando, sulla scia di Anton Menger, al riscatto della classe operaia e contadina. La critica avveniva in chiave classista, nella convinzione, come si legge nella citata lettera a Sombart del 1893, che urgesse «diffondere le nuove idee sociali e preparare il proletariato ai suoi nuovi destini» (in Il capitalismo antico, cit., rist. 1985): i codici dell’Ottocento, confezionati egoisticamente dalla «borghesia grassa e ricca», contenevano, in quanto «leggi unilaterali» della classe detentrice del «possesso fondiario», un diritto borghese, incentrato sulla proprietà dell’individuo (I difetti sociali, cit., pp. 17-21); «le vittime di questo individualismo od egoismo» erano i contadini, «le classi operaie e le non abbienti, che non hanno possesso fondiario né dispongono degli strumenti per la produzione» (p. 10).
Non sembravano esserci margini per una ricomposizione: «l’età della borghesia» era «realmente passata» e con essa si era «chiuso il ciclo dell’attuale legislazione privata» (p. 24). Durante la fase di «transizione», caratterizzata dal contrasto «tra capitale e lavoro», la legge avrebbe dovuto privilegiare «il lavoratore presente sul capitalista e sull’azionista assente», ma per «l’avvenire» sarebbe stato lecito attendersi «quell’evoluzione pacifica il cui ultimo termine mostra la classe operaia padrona dei mezzi di produzione e intrapprenditrice di se stessa» (pp. 24-25, 43).
I titoli al portatore nel diritto longobardo studiati in rapporto alla cessione, al mandato e alla rappresentanza, Roma 1882.
Consortes e colliberti secondo il diritto longobardo. Contribuzione alla storia della proprietà fondiaria in Italia, «Atti e memorie delle Deputazioni di storia patria per le provincie modenesi e parmensi», s. III, 1883, vol. 2°, parte I, pp. 183-223.
L’assicurazione e il cambio marittimo nella storia del diritto italiano, Bologna 1884.
Manuale di storia del diritto italiano dalle invasioni germaniche ai nostri giorni, Torino 1890, 19308.
I difetti sociali del Codice civile in relazione alle classi non abbienti ed operaie, «Annuario della R. Università degli Studi di Palermo», 1890-1891, pp. 5-46.
Il lavoro delle donne e dei fanciulli nelle leggi straniere più recenti, «La scuola positiva», 1892, pp. 68-84.
Il passato e l’avvenire della lotta di classe in Inghilterra, «Critica sociale», 1893, fascc. 8 e 9, pp. 118-22 e 135-38.
Gabellotti e contadini in Sicilia nella zona del latifondo, «La riforma sociale», 1894, pp. 67-81.
La questione delle otto ore di lavoro in Europa nel 1893-1894, «La riforma sociale», 1894, pp. 463-68.
Gli scioperi americani, «La riforma sociale», 1895, pp. 231-37.
La teoria storica di Marx, «Rivista di sociologia», 1895, pp. 161-82.
Le latifundium sicilien et son mode d’exploitation, «Le devenir social», 1895, 1, pp. 449-64.
Il nuovo progetto di codice civile tedesco e i suoi difetti sociali, «La riforma sociale», 1896, pp. 587-96.
Sulla distribuzione della proprietà fondiaria in Italia al tempo dell’Impero Romano, «Archivio giuridico», 1899, fascc. 2 e 8, pp. 212-46 e 499-539.
Prefazione a E. Loncao, Il lavoro e le classi rurali in Sicilia durante e dopo il feudalesimo, Palermo 1900, pp. V-VIII.
I difetti sociali delle leggi vigenti di fronte al proletariato e il diritto nuovo, Palermo 1906.
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