SAMONÀ, Giuseppe
– Nacque a Palermo l’8 aprile 1898 da un’antica famiglia aristocratica siciliana. Il padre, Carmelo, aveva tra i suoi antenati notai e uomini di legge, notabili della terra di Sicilia e di Sardegna.
Si ricordano, nella prima metà del Seicento, Baldassarre Samonà, vicario del viceré del Regno di Sicilia e, nel XVIII secolo, Antonio Samonà Buongiorno, primo marchese d’Isola e cavaliere dell’Ordine della stella e della croce.
Don Carmelo aveva studiato medicina, ma si occupò dei beni di famiglia e delle relative rendite senza esercitare mai la professione, coltivando invece i suoi interessi per gli studi filosofici e nel campo della psicologia, e frequentando in quegli ambienti personalità di spicco tra cui Giovanni Gentile, che per il giovane Samonà fu una figura di formazione. La moglie, Adele Monroy, principessa di Pandolfina e di Formosa, discendeva da una nobile famiglia spagnola originaria dell’Estremadura. Alla fine dell’Ottocento, il matrimonio di don Carmelo e della principessa Adele concorse alla riunificazione di possedimenti provenienti da vari feudi e baronie non solo siciliani. Giuseppe fu il primogenito dei loro sette figli.
Durante gli anni del liceo, frequentò gli atelier di pittori e scultori siciliani quali Antonio Ugo, Bernardo Balestrieri ed Ettore Ximenes, che lo introdussero alla pratica del disegno. L’interesse per l’architettura nacque probabilmente quando lo zio materno Ferdinando Monroy gli portò in dono, di ritorno da Parigi, la collezione dal 1840 al 1879 della Revue générale de l’architecture. Un’altra figura di riferimento per il giovane Giuseppe fu un altro zio materno, ingegnere presso il Comune di Palermo.
Dopo la dolorosa esperienza della guerra, Samonà s’iscrisse alla Regia scuola di ingegneria di Palermo, ove si laureò in ingegneria civile nel dicembre del 1922 con Ernesto Basile, presentando un progetto «di gusto austriaco» (Infussi, 1992, p. 160).
Nel 1923 sposò Teresa Favara, dalla quale ebbe tre figli: Adele, che nacque nel 1924; Carmelo, ispanista e letterato, nel 1926; e Alberto nel 1932, architetto come il padre.
La sua carriera accademica iniziò nel 1927 con l’invito a collaborare presso la Scuola superiore di ingegneria di Messina come assistente volontario alla cattedra di disegno d’ornato e architettura elementare di Enrico Calandra, che Samonà riconobbe come suo unico maestro. Da lui ereditò un sapiente approccio al progetto che traeva origine dal disegno, espressione di un bilanciato rapporto di tradizione e modernità; questo orientamento lo condusse ad assumere una posizione moderata nei confronti dell’avanguardia modernista, che egli argomentò nel saggio Le funzioni dell’ornato nell’architettura moderna del 1930 (in Rassegna di architettura, II, 3, pp. 87-95), anticipato nel 1929 da Tradizionalismo e internazionalismo architettonico (ibid., I, 12, pp. 459-466), nel quale veniva sottolineata l’importanza del disegno e dell’attività pittorica per l’architetto, come fondamento della composizione.
Nei primi anni di attività Samonà, dal 1923 al 1926, collaborò con l’ingegner Riccardo Gesugrande a Palermo, e partecipò a numerosi concorsi di architettura, tra i quali quello per la cattedrale della Spezia e quello per il palazzo di Giustizia a Campobasso, nel 1929; quello per il palazzo del Mercato della lana e del grano a Foggia, nel 1931; e tre concorsi per chiese nel territorio dell’arcivescovado di Messina, nel 1932.
La prima opera realizzata da Samonà fu la villa comunale di Catania, detta villa Bellini, realizzata nel 1930 in collaborazione con Camillo Autore (1882-1936). Con Autore, vinse anche il concorso, bandito nel 1929, per la ricostruzione della Palazzata a mare di Messina, la cui costruzione si protrasse per quasi trent’anni, tra il 1930 e il 1958. Si inaugurava così una fervida stagione di collaborazione professionale anche con gli altri due componenti del gruppo di progettazione costituito per la ricostruzione del lungo fronte messinese, raso al suolo dal catastrofico terremoto del 1908: Raffaele Leone (1897-1981), responsabile del sindacato architetti della Sicilia orientale, e Guido Viola (1895-1984), l’ingegnere con il quale Samonà realizzò diversi lotti della Palazzata, anche negli anni del dopoguerra. Insieme i due furono inoltre autori del palazzo Littorio di Messina, che si trova in uno degli isolati della Palazzata, e dell’edificio dell’INFAIL (Istituto Nazionale Fascista per l’Assistenza agli Infortuni sul Lavoro), entrambi realizzati tra il 1938 e il 1940, per i quali misero a punto una particolare declinazione del linguaggio moderno, che nel ventennio fascista, in Italia, richiedeva di conciliare la modernità con la classicità e con il carattere mediterraneo, per soddisfare le esigenze rappresentative della committenza pubblica.
Il vigore innovativo dell’architettura doveva esprimere, secondo Benito Mussolini, il carattere rivoluzionario del movimento da lui guidato e, al contempo, mettere in evidenza la vocazione imperiale del Paese attraverso l’enfasi monumentale dell’architettura come arte di Stato, in una stagione che fornì ai giovani architetti, proprio attraverso lo strumento del concorso, numerose occasioni di lavoro e di riflessione.
Nel dibattito architettonico di quegli anni Samonà non si schierò né con i razionalisti né con gli accademici; la sua cauta accettazione della modernità, alla quale rimproverava un eccesso di nudità, lo condusse a una personale ricerca figurativa del chiaroscuro, del colore e della decorazione, capaci di interpretare i singoli temi progettuali nelle diverse occasioni senza mai ripetersi in soluzioni omologate. L’attività progettuale e quella accademica furono strettamente interconnesse nell’arco dell’intera vita di Samonà, che non diede a nessuna delle due un ruolo prevalente, considerando ciascuna un terreno di sperimentazione e verifica, e dedicando alla didattica un ruolo di primaria importanza per la formazione di una categoria di eccellenza.
L’8 novembre 1930 ottenne la libera docenza in architettura generale e fu chiamato a Napoli, dove ricoprì l’incarico di applicazioni di geometria descrittiva presso la Regia Scuola superiore di architettura. È di questo stesso anno un suo viaggio a Parigi in occasione della mostra dei progetti del concorso per il palazzo della Società delle Nazioni, dove ebbe modo di studiare la proposta di Le Corbusier, traendone una lezione decisiva sul ruolo urbano del progetto. Si trasferì quindi con la famiglia a Napoli, ove il 28 novembre 1932 nacque il terzo figlio, Alberto, che con lui avrebbe intrapreso un lungo sodalizio professionale a partire dalla laurea in architettura, conseguita a Roma nel 1958.
A Napoli Giuseppe iniziò una seconda stagione di concorsi, partecipando a quello per la stazione di Firenze (1932-33), con un progetto caratterizzato da un monumentale accesso centrale in forma di volta a botte, ridotta alla sua geometria essenziale, e a quello per gli uffici postali romani (1933), nel quale risultò vincitore per quello del quartiere Appio, realizzato tra il 1933 e il 1935, confermando il suo carattere di sobrio interprete della modernità.
Presentò per questo edificio un progetto compatto che denuncia le funzioni interne, fortemente caratterizzate da un ampio spazio vetrato per il pubblico al piano terra e da due piani superiori destinati agli uffici con piccole finestre seriali aperte su fronti rivestiti in travertino.
Di questo periodo sono anche i concorsi per il palazzo del Littorio di Roma del 1934 e del 1937, cimento di tutte le generazioni attive nella professione nel ventennio fascista.
A Napoli Samonà rimase fino al 1936, quando vinse il concorso per la cattedra di disegno architettonico e rilievo dei monumenti a Venezia. Qui dal 1938 iniziò una lunga collaborazione professionale e accademica con Egle Renata Trincanato, con la quale realizzò l’edificio INA-Casa di Treviso (1949-53) e i nuovi uffici dell’INAIL (Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro) a Venezia: un intervento, quest’ultimo, particolarmente delicato, realizzato in più fasi tra il 1947 e il 1961, per l’inserimento di due edifici affiancati alla sede storica, nei pressi del Canal Grande, per i quali scelse una soluzione strutturalista dai caratteri architettonici simili a quelli adottati per le altre sedi dell’INAIL da lui realizzate negli stessi anni a Bari, Palermo e Livorno.
Dal 1945 Samonà fu direttore dello IUAV (Istituto Universitario di Architettura di Venezia), struttura didattica e di ricerca che egli riorganizzò, coinvolgendo personalità di rilievo in ambito nazionale che concorsero alla costituzione di una scuola di eccellenza. Bruno Zevi, Carlo Scarpa, Luigi Piccinato, Franco Albini, Ignazio Gardella, Lodovico Barbiano di Belgiojoso, Giovanni Astengo, Giancarlo De Carlo, Saverio Muratori furono chiamati a completare il corpo docente per un corso di studi che Samonà improntò fortemente sull’impostazione della didattica progettuale orientata all’unità tra architettura e urbanistica. Con alcuni di questi colleghi fu impegnato anche nella progettazione. Per il quartiere INA-Casa a San Giuliano, Mestre (1951-56), coordinò con Piccinato un progetto sperimentale che, traendo ispirazione dai campielli veneziani, strutturava il nuovo insediamento come somma di ‘unità di vicinato’.
Il concetto di unità architettura-urbanistica può considerarsi la base teorica della progettazione di Samonà, che riteneva lo studio sociale e urbano indispensabile per un’impostazione corretta del progetto. Ne sono esempi fin dall’inizio della sua carriera il progetto del lungomare di Gaeta, del 1939; del quartiere Lavinaio a Napoli, del 1945, e nel 1960 i progetti per il concorso per il piano regolatore di Messina.
Da progettista, Samonà frequentò con assiduità i convegni dell’INU (Istituto Nazionale di Urbanistica), e nel 1960, con Astengo, fu incaricato della stesura del codice dell’urbanistica, con l’idea che potesse diventare una legge nazionale in sostituzione di quella del 1942, la n. 1150.
Dopo l’arrivo a Venezia, l’intensificarsi dell’impegno accademico coincise con un aumento di lavoro professionale: dal 1956 al 1963 fu incaricato di realizzare una serie di centrali ENEL (Ente Nazionale per l’Energia Elettrica) soprattutto in Sicilia, di cui la sede di Palermo (1961-63), progettata in collaborazione con il figlio Alberto e con Giuseppina Marcialis, è considerata un caposaldo del ‘brutalismo’ italiano degli anni Sessanta.
Sono ascrivibili a questa impostazione teorica i progetti nei quali Samonà affrontò il tema della ‘grande dimensione’ e dell’edificio-città, come ad esempio quello per la Biblioteca nazionale di Roma (1959), e quello per il Centro direzionale di Torino (1962), elaborati con il figlio Alberto nello studio di Roma, città nella quale la famiglia aveva stabilito la sua residenza. Proprio in occasione del concorso per il Centro direzionale di Torino, e in seguito, nel 1964, per il concorso per la sistemazione della nuova isola del Tronchetto a Venezia, padre e figlio costituirono un gruppo di lavoro di cui fecero parte Costantino Dardi, Emilio Mattioni, Valeriano Pastor, Luciano Semerani, Gigetta Tamaro e Andrea Vianello Vos. La collaborazione fra Giuseppe e Alberto proseguì nell’iconico concorso per i nuovi uffici e per la biblioteca della Camera dei deputati a Roma (1967), con il progetto per la Banca d’Italia di Padova (dal 1968) e con il progetto di concorso per il ponte sullo stretto di Messina (1969).
In questi progetti strutturalismo e brutalismo sono interpreti di un particolare approccio al contesto urbano storico. In particolare nel progetto per la Camera dei deputati il suolo tra gli edifici di piazza Montecitorio e piazza del Parlamento è liberato e pedonalizzato, e alti ed esili pilastri metallici sostengono volumi aerei che coprono un sistema di piazze e terrazze: qui il riferimento non didascalico a Le Corbusier risulta frutto di una rielaborazione personale del piano pilotis, che Samonà realizzò riducendo al minimo le dimensioni dei pilastri che dovevano sostenere i volumi al di sopra di un suolo pubblico pedonalizzato. L’omaggio a Le Corbusier è ribadito dalla presenza scultorea della ‘mano aperta’ in copertura, vera e propria citazione della main ouverte lecorbusieriana, che in questa occasione divenne un puro oggetto decorativo, decontestualizzato.
La carriera accademica di Alberto Samonà aveva avuto inizio nel 1960, a Venezia, come assistente di Ignazio Gardella. È del 1966 la nomina a professore incaricato di progettazione architettonica presso l’università di Palermo, dove divenne ordinario nel 1970. In questa facoltà ebbe un ruolo di riformatore della didattica della progettazione, che si espresse fin dai primi anni nella scelta dei temi del corso, svolti alla scala della città e del paesaggio. I loro esiti e le questioni teoriche e pratiche del progetto erano annualmente dibattuti in un’innovativa forma d’incontro tra docenti e assistenti delle facoltà italiane nei Seminari di Gibilmanna, che si tennero dall’inizio degli anni Settanta, e per più di dieci anni, nella residenza estiva della famiglia Samonà, nei pressi di Cefalù.
L’ultima opera realizzata da Giuseppe Samonà, sempre in collaborazione con Alberto, è il teatro di Sciacca (1974), considerato dalla critica architettonica una delle opere italiane più significative degli ultimi decenni. I due Samonà, per questo progetto, operarono una sorta di rilettura di quello di Le Corbusier per la chiesa di Saint-Pierre a Firminy in Francia. L’opera del maestro svizzero, completata solo nel 2006 dopo una lunga pausa dal progetto originario del 1960, fu quindi preceduta dalle riflessioni sulla concezione della grande aula a forma di tronco di cono sghembo del teatro di Sciacca, che risalgono al 1973 e, più indietro, agli schizzi del 1970 per il progetto del centro civico di Gibellina, non realizzato. La composizione di grandi volumi che si relaziona con la natura del luogo, instaurando imperfetti nessi morfologici con il suolo, è presentata nei disegni del progetto di Sciacca da dettagliate descrizioni geometriche della costruzione in cemento a vista, che illustrano un insolito ruolo paesaggistico di questo edificio, posto a breve distanza dal mare, come un monumento dell’antica Magna Grecia.
Ricca e specializzata è la produzione teorica di Giuseppe Samonà. Nell’ambito del dibattito culturale sono fondamentali alcuni suoi scritti, che trattano dei temi primari della sua riflessione teorica, la modernità, la lettura della storia, l’unità architettura-urbanistica: La casa popolare, Napoli 1935; Il duomo di Cefalù, Roma 1939; L’urbanistica e l’avvenire delle città, Bari 1959; L’unità di architettura e urbanistica, Milano 1975 sono stati a lungo testi di riferimento per la cultura architettonica italiana.
Tra i più importanti incarichi di rilevanza internazionale, Giuseppe Samonà fu membro onorario del Royal Institute of British Architects (1949) e membro del CIAM (Comitato Internazionale d’Architettura Moderna), gruppo italiano (1949).
Tra il 1972 e il 1976 Samonà fu senatore della repubblica. Morì a Roma il 30 ottobre 1983.
Dopo la morte del padre, Alberto partecipò al concorso per il teatro di Rimini (1985), seguito dall’incarico di redigere i piani regolatori di Volterra e di Grosseto e da quello per il parco archeologico di Orvieto (1989-91). È del 1985 il suo trasferimento presso la facoltà di ingegneria dell’Università di Roma Tor Vergata, dove fu docente fino alla morte, avvenuta il 15 ottobre 1993.
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