SANMARTINO, Giuseppe
SANMARTINO, Giuseppe. – Figlio di Nunziante, nacque a Napoli nel 1720 (Correra, 1899, p. 340). Non è noto il nome della madre, né si ha notizia di un suo matrimonio o di eventuali figli.
La sua formazione come scultore ebbe luogo verosimilmente nella bottega di Matteo Bottigliero (Catello, 2004, pp. 11, 21) o presso il fratello Felice, ingegnere della Real Camera della Sommaria, come riportato da Pietro Napoli Signorelli (1811), che definì Giuseppe il «Santacroce de’ nostri tempi» (p. 260). Sanmartino rielaborò la grande tradizione barocca locale, aggiornandosi sull’eclettismo di Domenico Antonio Vaccaro e sulle tendenze rococò di Giacomo del Po (Fittipaldi, 1972, pp. 267 s.; Id., 1973, pp. 71 s.).
Tutta ancora da scrivere è la fase giovanile del maestro, che poggia su basi vacillanti dal punto di vista attributivo (Catello, 1988, pp. 16 s.). Fatta eccezione per i due «bottini» di marmo del 1746 eseguiti per conto del marmoraro Antonio di Lucca, non più rintracciabili, le prime opere note dell’artista furono il S. Giuseppe e il S. Michele Arcangelo della cattedrale di Monopoli, documentati al 1750, con la collaborazione di Giovanni Cimafonte (Catello 2004, p. 22). Sempre nello stesso anno Sanmartino realizzò un «modello di creta [...] del trionfo fatto d’argento, giusta il disegno di don Francesco de Mura», per un regalo che il nobile Pietro Guido Sersale offrì al re Carlo di Borbone (Naldi, 2015, p. 8).
Agli anni tra il 1750 e il 1752 potrebbero risalire i due ovali di marmo con S. Giuseppe col Bambino e la Madonna col Bambino della chiesa napoletana del Divino Amore (Borrelli, 2009).
Momento cruciale della carriera del maestro fu il Cristo velato della cappella Sansevero di Napoli, firmato e datato 1753, celebre per il pittoricismo del sudario marmoreo, e commissionato dal poliedrico Raimondo di Sangro, settimo principe di Sansevero, che lo pose al centro dei rimandi esoterici e simbolici che caratterizzano questo singolare complesso, allestito anche secondo i principi della massoneria, di cui il nobiluomo era granmaestro (Cioffi, 1987).
L’opera non è immemore della pienezza plastica e del patetismo del Cristo morto (1724) di Matteo Bottigliero nel succorpo della cattedrale di Capua, che da solo rafforza l’ipotesi dell’alunnato di Sanmartino presso lo scultore. Alla radice dell’invenzione sanmartiniana ci fu però il bozzetto in terracotta del Cristo velato (Napoli, Museo nazionale di S. Martino) di Antonio Corradini, iniziale direttore dei lavori del mausoleo, grazie al quale il maestro ebbe modo di affinare il suo bagaglio tecnico. Gli altri modelli in creta noti, di uguale soggetto, sono da ritenere studi accademici di allievi o copie (Fittipaldi, 1980, pp. 110-112).
Il 28 giugno 1756 Sanmartino creò una società con Francesco Pagano, il cui contratto fu poi rescisso il 22 dicembre 1758, in cui si suddivisero varie commesse, quali gli Angeli sulla porta d’ingresso all’altare maggiore della chiesa del Gesù Nuovo, dove la firma sanmartiniana può essere ravvisata nelle sculture del lato dell’Epistola, e la Trinità nella chiesa del Gesù Vecchio, terminati poco dopo la fine del sodalizio (Borrelli, 2007).
A riprova della fama raggiunta dall’artista, nel 1757 giunse la commissione di alcuni lavori per la chiesa della certosa di S. Martino, dove scolpì nella cappella dell’Assunta la Verginità e il Premio, e in quella del santo titolare la Carità e la Fortezza, oltre ai Putti e ai Cherubini che le decorano, coadiuvato dall’ingegnere Nicola Tagliacozzi Canale, opere nelle quali sono state notate tangenze con la scultura romana di Pietro Bracci e Filippo della Valle (Nava Cellini, 1982, p. 100) e con la levità arcadica di Francesco De Mura, quasi un alter ego pittorico di Giuseppe (Fittipaldi, 1973, pp. 76-83). Nel contratto, al maestro si richiesero i modelli delle varie statue; a essi si può riferire una Carità di collezione privata londinese (Catello, 2010).
Insieme ad altri scultori, nel 1757 partecipò al concorso bandito per la statua equestre di Carlo di Borbone per la piazza di S. Spirito a Napoli, per la quale era stato scelto inizialmente il modello di Giuseppe Canart e poi temporaneamente nel 1760 quello di Francesco Maria Queirolo, che non terminò l’opera sopraggiunto dalla morte (Bisogno, 2010, pp. 145, 154 e passim).
Sanmartino riallacciò i rapporti con Raimondo di Sangro in concomitanza della decorazione dell’androne del palazzo del principe, dove i Dieci bassorilievi con scene bacchiche e trionfi militari furono realizzati in stucco nel 1758 da Gerardo Solifrano – su disegni e modelli dello scultore –, e probabilmente s’ispirarono a opere di tema dionisiaco dipinte da Giuseppe Bonito per la reggia di Portici (Naldi - Porzio, 2010, pp. 145-147).
Sempre nel 1758 Sanmartino riscosse alcuni pagamenti per i Ss. Filippo e Giacomo di stucco della facciata dell’omonima chiesa, sede dell’Arte della seta (Rizzo, 1979, p. 145).
Nell’ottobre del 1759 ottenne il saldo per i Simboli dei quattro Evangelisti e dell’Agnello sacrificale nel paliotto dell’altare maggiore della chiesa napoletana di S. Maria delle Grazie a Toledo, progettato dall’ingegnere Michelangelo Porzio (pp. 57 s.), e con l’apporto di Francesco Pagano per la parte scultorea (Borrelli, 2007, p. 268). Dal 1758 fino al 1760 fu pagato per il sepolcro del marchese Alessandro Rinuccini, oggi nella chiesa di S. Domenico Soriano e già in S. Maria dell’Avvocata, realizzato su disegno di Ferdinando Fuga. Nel contempo i gesuiti gli commissionarono «la scultura de’ due capialtari consistenti in quattro putti in due gruppi, de’ due puttini nel paliotto, e de’ quattro cherubini attorno la custodia» dell’altare maggiore della chiesa della Nunziatella (Catello, 2004, p. 92), creando l’occasione per un prototipo più volte replicato dallo scultore, come nell’altare maggiore della chiesa di S. Teresa degli Studi, della fine dell’ottavo decennio.
Per la chiesa napoletana di S. Agostino alla Zecca, tra il 1760 e il 1761 allestì un articolato e scenografico complesso di stucchi, disponendo sull’altare maggiore S. Agostino che calpesta l’Eresia, dal modellato nervoso e dall’irruenza berniniana, e la Fede e la Carità, gruppo sovrastato dalla Trinità, collocando ai lati dell’abside Due busti di santi vescovi con putti e nelle nicchie della controfacciata le magniloquenti statue di S. Gregorio Magno e S. Leone Magno.
Non meno maestosi furono i Ss. Pietro e Paolo che Sanmartino realizzò entro il 1761 per la chiesa di S. Giuseppe dei Ruffo a Napoli, vicini alla grandiosità di Camillo Rusconi (Fittipaldi, 1980, p. 149), ai quali è possibile collegare il bozzetto di terracotta di S. Pietro della Galleria nazionale di palazzo Barberini a Roma (Naldi, 2015, pp. 38, 66).
Il vibrante modelletto di terracotta di S. Andrea, attribuito al maestro e desunto dall’omonima statua di Domenico Catuogno (1700) per la chiesa di S. Giorgio Maggiore, mostra il modus operandi di Sanmartino nei bozzetti e nelle opere tra il 1758 e il 1761, pur se non ne è ancora nota la destinazione finale (Naldi, 2015).
A partire dal 1763 l’artista partecipò insieme ad altri scultori al completamento della balaustra dell’emiciclo del Foro Carolino con tre delle Virtù di marmo che avrebbero dovuto fare da quinta all’erigenda statua equestre di Carlo di Borbone (Catello, 2004, p. 143). Per il monumento del sovrano si era scelto nel frattempo il modello di Tommaso Solari, giudicato tra gli altri anche da Sanmartino, al quale il 20 gennaio 1767 furono pagati venti ducati per l’incombenza (Fittipaldi, 1980, p. 137), quando già nel 1766 egli stesso aveva ricevuto il medesimo incarico, poi mai compiuto da alcuno, in quanto il progetto fu nuovamente accantonato (Bisogno, 2010, pp. 168 e passim).
Nel 1764 modellò in terracotta il S. Lazzaro del succorpo della chiesa dell’Annunziata, dove nello stesso anno plasmò in stucco la Gloria di putti e cherubini che attorniano la Vergine con il Bambino di Domenico Gagini.
In virtù dell’alta qualità e di affinità con opere coeve, è possibile assegnare a Sanmartino, in anni vicini al 1765, un gruppo di Putti con i simboli di s. Francesco Saverio della chiesa di S. Ferdinando (Fittipaldi, 1973, pp. 93-97).
Nel mese di agosto del 1766 e poi ancora nel 1767 Sanmartino ricevette i pagamenti per due Putti che abbracciano uno scudo crocifero, che un tempo erano nella chiesa dei Ss. Marcellino e Festo (da dove sono stati trafugati), e che nel 1768 la bottega ripropose nell’altare della cappella Sarriano entro la chiesa di S. Maria delle Grazie a Caponapoli.
Sempre nel 1767 firmò uno dei due Angeli reggifiaccola per i capialtare dell’altare maggiore della cattedrale di Foggia, marmi dal timbro neomanieristico già prefigurati dagli Angeli reggitorcia che l’artista con ogni probabilità eseguì nel 1761 per l’altare maggiore della chiesa di S. Antonio, già di S. Francesco, a Maddaloni.
Nel 1768 tornò nella chiesa della certosa di S. Martino con i due Angeli reggifiaccola di cartapesta e stucco dorato ai lati dell’altare maggiore, basandosi su preesistenti disegni di Francesco Solimena (Catello, 2004, p. 51).
Il linguaggio sanmartiniano si diramò anche nell’Abruzzo, a Chieti, per il tramite del bassorilievo dell’altare maggiore della cattedrale, che il maestro scolpì nel 1769, raffigurante S. Giustino eremita che riceve le insegne episcopali dal popolo di Teate.
Nel 1769 lo scultore lavorò nella sagrestia della demolita chiesa di S. Luigi di Palazzo, progettata da Luigi Vanvitelli, eseguendo molto probabilmente delle statue di stucco delle quali s’ignora il soggetto (p. 51).
Un primo contatto di Sanmartino con la città di Taranto si data al 1770, quando l’artista allestì all’interno della cattedrale il paliotto dell’altare della cappella del Sacramento con Due putti che cingono uno scudo a croce e ai lati Due putti reggimensola, schema compositivo che il maestro adottò nel 1771 anche per l’altare maggiore della chiesa dell’Eremo di Visciano di Nola.
Nel 1771 il vescovo di Martina Franca Francesco Saverio Stabile affidò allo scultore le due statue ai lati dell’altare maggiore della collegiata di S. Martino, ossia l’Abbondanza e la Carità, dalla quale ultima fu probabilmente tratto il bozzetto di terracotta policroma del Bayerisches Nationalmuseum di Monaco (p. 99).
Nel 1772, su incarico del vescovo Francesco Saverio Mastrilli, Sanmartino iniziò a decorare il cappellone di S. Cataldo della cattedrale di Taranto con le statue di S. Domenico, S. Filippo Neri, S. Francesco d’Assisi, S. Francesco di Paola, S. Irene e S. Teresa d’Avila nelle nicchie del vano principale, terminate nel 1773 e tra i culmini della sua produzione.
Il contratto stipulato impose allo scultore l’obbligo di plasmare «li modelli di creta espressivi e leggiadri» (Marciano - Pasculli Ferrara, 1985, p. 148), ai quali si potrebbero collegare sia i bozzetti di terracotta della S. Teresa (Bacchi, 1997, p. 54) e di S. Francesco di Paola del Museo nazionale di S. Martino di Napoli (Rega, 2006, pp. 235 s.), sia il S. Francesco d’Assisi di collezione privata napoletana (Fittipaldi, 1980, p. 162).
Sempre nel 1772 Sanmartino fu tra i prescelti di Vanvitelli come professore di scultura dell’Accademia di belle arti di Napoli (p. 138).
Maestro nello scandaglio psicologico, lo scultore eccelse nel settore della ritrattistica funebre, a partire dal sepolcro, realizzato tra il 1776 e il 1778, del cardinale Antonino Sersale nel duomo di Napoli, il cui ritratto è racchiuso in un tondo sorretto da uno dei due putti che asimmetricamente si dispongono sul sarcofago. Al 1776 risale la memoria funeraria dell’illustre erudito Alessio Simmaco Mazzocchi per la basilica di S. Restituta, che custodisce anche il monumento funebre del canonico Giuseppe Simeoli, attribuito a Sanmartino, e finito intorno al 1780 (Fittipaldi 1972, pp. 296 s.).
Sempre nel 1776 l’artista scolpì per la chiesa dei Ss. Apostoli il deposito del giureconsulto Vincenzo Ippolito, la cui effigie, inserita in un medaglione, è affiancata da due putti che reggono un vaso decorato da un fregio con eroti, del quale esistono due disegni preparatori (Id., 1980, pp. 155 s.). Il connubio tra l’impostazione già neoclassica della lastra epigrafica e il taglio vivissimo del ritratto nel 1774 era già stato adottato dallo scultore nella memoria funeraria del magistrato Agnello Cappellaro per la chiesa di S. Maria la Nova (Naldi, 2011, pp. 564-566).
Entro lo stesso anno Sanmartino concluse i Ss. Pietro e Paolo della facciata della chiesa dei Girolamini, marmi dal timbro eroico, già sbozzati da Cosimo Fanzago, come si evince dall’atto notarile (Catello, 1983, pp. 8 s.), e ai quali è possibile avvicinare vari bozzetti (Id., 2004, pp. 143, 148).
Tra il 1775 e il 1778 plasmò il busto del padre domenicano Gregorio Maria Rocco, terracotta di spregiudicata veridicità, lavorata in presenza del religioso stesso (p. 140), e aggiornata sulla moderna vena ritrattistica di Gaspare Traversi (Fittipaldi, 1980, p. 153).
La statua di Papa Pio VI per l’abbazia di Casamari fu portata a termine dal maestro nel 1776, anno in cui viaggiò sino a Roma per ricevere dal pontefice stesso le lodi per l’opera eseguita (pp. 152 s.).
Sanmartino, divenuto oramai protagonista della scena scultorea partenopea, ebbe modo di distinguersi anche presso la corte dei Borbone, per i quali nel 1777 scolpì i due putti della memoria funebre di Filippo di Borbone primogenito del re Carlo, progettata da Ferdinando Fuga per la basilica di S. Chiara.
Dalla sua bottega nel 1778 uscì il busto di Lucio Caracciolo per la cappella Caracciolo di Vico nella chiesa napoletana di S. Giovanni a Carbonara, basato su un preesistente modello di Giuliano Finelli (Catello, 2004, p. 136).
Nel 1780 Sanmartino, ispirandosi probabilmente a dipinti di Fedele Fischetti, terminò il ritratto della nobildonna Livia Doria, di collezione privata napoletana, maschera impietosa di verità, ideata come memoria funebre per la cappella gentilizia della principessa in S. Domenico Maggiore, per volontà di Vincenzo Maria Carafa Cantelmo Stuart, principe della Roccella (Pisani, 1990). In questo sito la mano dello scultore è ravvisabile nei Due angeli (1786) sopra il timpano dell’altare e nel tondo della Madonna del Purgatorio (1783) nella cripta sottostante.
L’artista raccolse una ricca collezione di stampe, apprezzata dall’architetto veneziano Giannantonio Selva durante il suo viaggio napoletano del 1780, e a tal punto famosa che l’abate Pietro Antonio Maria Zani, a Napoli nel 1793, si dispiacque di non averla visionata per l’infermità dello scultore (Catello, 2004, p. 24).
Due guizzanti modelletti di terracotta con S. Luca e S. Matteo in collezione privata sono stati ricondotti a Sanmartino e accostati a due dei Quattro evangelisti che Angelo Viva, suo allievo, scolpì nel 1780 per la chiesa di S. Giovanni dei Pappacoda (Bacchi, 2009, pp. 5-9, 34-45).
Nel 1781 Sanmartino creò per la chiesa dell’Annunziata le statue in stucco della Meditazione, della Sapienza, dell’Orazione e della Santità, ravvivate da un abbrivio chiaroscurale memore delle raffinatezze della pittura di Pietro Bardellino (Fittipaldi, 1980, p. 67), sotto la supervisione di Carlo Vanvitelli.
Il Real passeggio di Chiaia, progettato dallo stesso Vanvitelli, era abbellito dalle statue di Partenope e del Sebeto, che il maestro nel 1781 realizzò in stucco per una fontana, con l’accordo successivo di riprodurle in marmo (Catello, 2004, pp. 51 s.).
Nel 1786 firmò e datò la Religione velata, marmo dalla composizione agitata, ora a Trieste nel cimitero di S. Anna, ma destinato alla cappella di S. Filippo Neri che il sacerdote Pietro Regine aveva eretto nel suo palazzo di Forio d’Ischia (Firmiani, 1986), sacello in cui il pavimento maiolicato, oggi a Napoli nel museo dell’Istituto d’arte Filippo Palizzi, fu approntato nel 1787 da Ignazio Chiaiese su disegno di Sanmartino (Catello, 2004, p. 82). La statua della Religione velata è stata a lungo creduta dispersa, tanto che in tempi passati il suo bozzetto, conservato a Roma nel Museo nazionale di Palazzo Venezia, era assegnato ad Antonio Corradini (Santangelo, 1958, pp. 381 s.).
Nel 1785 lo scultore, diretto dall’architetto Pompeo Schiantarelli, scolpì per la chiesa di S. Maria della Stella il monumento funebre, oggi distrutto, di Domenico Cattaneo, principe di Sannicandro, ricostruibile grazie a un disegno della Società napoletana di storia patria, riproducente le statue dell’Educazione e della Mestizia che affiancavano il ritratto del defunto incastonato in un’urna di porfido (Causa Picone, 1974, p. 174).
Tra il 1785 e il 1788 finì il S. Francesco d’Assisi del Museo nazionale di S. Martino, fortemente mistico, e replica dell’omonimo santo tarantino, già nella chiesa di S. Efremo Nuovo, dove era attestato anche un suo busto del medico Carmine Ventapane (Fittipaldi, 1980, p. 139).
Il S. Gregorio Magno della chiesa madre di Manduria (1786), in legno policromato, di Gennaro Trillocco è al momento l’unica statua di questo materiale per la quale si possa documentare una derivazione dal maestro (pp. 163-165), pur se un’impronta sanmartiniana è riscontrabile anche nel Cristo alla colonna di Michele Trillocco della chiesa parrocchiale di Positano (1798) e nel S. Giuseppe con il Bambino d’ignoto artista della fine del secolo nella chiesa di S. Matteo ad Agerola (Catello, 2004, p. 161).
Gli Angeli reggicandelabro della chiesa dei Girolamini, ai lati della balaustra dell’altare maggiore, dal tono malinconico e dal panneggio vorticoso, furono pagati a Sanmartino nel 1787 la ragguardevole cifra di 7150 ducati (Fittipaldi, 1980, pp. 165 s.).
Ancora nel 1787 il maestro portò a termine il deposito del marchese Carlo Cito per la basilica di S. Chiara, su progetto dell’architetto Gaetano Barba, e nell’anno successivo, con l’aiuto di Angelo Viva, licenziò il gruppo del Padre Eterno con putti per la chiesa di S. Giuseppe al rione Luzzatti.
I due bassorilievi di Antonio Belliazzi con il Miracolo del cieco nato e la Cena in Emmaus della chiesa di S. Maria Regina Coeli nacquero da un’idea di Sanmartino, che nel 1789 fu retribuito per i modelli di terracotta (pp. 167 s.), dei quali è noto solo quello del Miracolo del cieco nato (Roma, Museo di palazzo Venezia).
Nel 1790 lo scultore intervenne nuovamente nel cappellone di S. Cataldo della cattedrale di Taranto con il nitido S. Giovanni Gualberto e il S. Giuseppe con il Bambino nelle nicchie del vestibolo, commissionati, il primo, dal nobile Francesco Saverio Carducci Agustini, e l’altro dall’arcivescovo Giuseppe Capecelatro. Del S. Giovanni Gualberto si conserva anche un disegno allegato al contratto, in cui il santo appare glabro e non barbuto come nella versione finale (Carducci, 1975, p. 149). Un delicatissimo bozzetto in terracotta di S. Giuseppe con il Bambino, di collezione privata napoletana, ascritto a Sanmartino, potrebbe rappresentare un primo stadio dell’omonima figura tarantina, o un’idea per una statua in argento (Naldi, 2014).
Nel 1792 l’artista completò le statue in marmo di Mosè e Aronne della facciata della chiesa dei Girolamini, già cominciate nel 1776 a conclusione del rapporto di fiducia che aveva instaurato con la congregazione degli oratoriani, ai quali probabilmente aveva già donato le due Pietà di terracotta policromata e la testa di creta di S. Filippo Neri, oggi nella quadreria del complesso monastico, ascrivibili al nono decennio (Fittipaldi, 1980, pp. 181-183).
A partire dal marzo del 1793 l’artista fu coinvolto nella progettazione di più altari per la chiesa di S. Lorenzo a San Severo (Foggia), commessa continuata dalla bottega e dal fratello Gennaro.
Sanmartino collaborò spesso con i maestri argentieri partenopei, fornendo modelli in terracotta, tradotti sotto la vigile regia dell’artista, sempre attento alle istanze della committenza, che più volte richiese il suo diretto intervento (Catello, 2004, pp. 31-39).
Nel bozzetto di terracotta di S. Vincenzo Ferrer del Metropolitan Museum of art di New York, assegnato a Sanmartino, è stato riconosciuto il modello di uguale soggetto che l’artista plasmò nel 1757 per la statua in argento (oggi smarrita) eseguita da Francesco Manzone per la chiesa di S. Pietro Martire a Napoli, su disegno di Giuseppe Bonito (Hecht, 2002), del quale ricalca alcune soluzioni formali, come si evince anche dal confronto con altre opere del pittore (Naldi - Porzio, 2010, p. 148).
Nella cappella del Tesoro di S. Gennaro del duomo di Napoli, nel sesto decennio del secolo, la matrice sanmartiniana è riscontrabile sia nel vigoroso busto di S. Domenico, lavorato in argento da Pietro Manzone, sia nella coinvolgente Maddalena dell’argentiere Filippo Del Giudice, i cui figli, Giuseppe e Gennaro, presero le redini della bottega paterna, dalla quale nel 1797 uscì il monumentale gruppo di Tobia e l’angelo, sempre su disegno del maestro, immaginato per lo stesso luogo.
Sono da ritenere perdute le statue argentee dei Ss. Filippo Neri, Pietro e Giuseppe, eseguite dai Del Giudice tra il 1774 e il 1789 per la cappella Regine di Forio d’Ischia, derivate da un’idea di Sanmartino, che ispirò gli stessi artefici anche per l’efebico S. Vito (1787) dell’omonima chiesa sempre a Forio d’Ischia.
Una serie di busti d’argento d’impronta sanmartiniana veicolò il linguaggio dell’artista in gran parte del Meridione, a partire dal S. Elpidio (1763) della chiesa parrocchiale di S. Arpino e dal S. Sabino (1767) della cattedrale di Canosa, entrambi trafugati, passando per il S. Bartolomeo (1767) della chiesa madre di San Bartolomeo in Galdo e il S. Prisco (1771) nella cattedrale di Nocera Inferiore, per terminare con l’intenso S. Rocco (1793) della cattedrale di Ruvo di Puglia.
L’attività presepiale di Sanmartino fu rilevante ed era già apprezzata ai suoi tempi, tanto che Pietro Napoli Signorelli (1811) stimò il valore del maestro «nel formar vaghe e naturali teste di pastori di vario carattere ed età differente ed angeli bellissimi e divotissime figure di Maria e Giuseppe» (p. 272).
Tutta da ridimensionare è però la fama dell’artista come di uno scultore che avrebbe dato «il meglio di sé proprio nella modellatura di figure da presepe» (La scultura nel presepe..., 1950, p. 13), considerando la coralità propria di quest’arte, che esula dal fare emergere l’identità di un singolo artefice. Nel microcosmo del presepe Sanmartino si lasciò ispirare dalla propria statuaria, infondendovi una certa sua vena tanto elegiaca quanto naturalistica, non disgiunta dai toni esotici e popolareschi, tipici di questi manufatti. In mancanza di prove documentarie e in assenza di firme, è solo su base stilistica che gli sono state attribuite varie statuine (Fittipaldi, 1980, pp. 186-194; Catello, 2004, pp. 163-173).
Lo scultore morì all’età di 73 anni il 12 dicembre 1793 e fu seppellito nella chiesa di S. Efremo Nuovo, come attestato dall’atto di morte (Correra, 1899, p. 340).
Fonti e Bibl.: P. Napoli Signorelli, Vicende della coltura nelle Due Sicilie, VII, Napoli 1811, pp. 260-262, 272; N.F. Faraglia, Notizie di alcuni artisti che lavorarono nella chiesa di San Martino e nel Tesoro di San Gennaro, in Archivio storico per le province napoletane, X (1885), pp. 446 s.; L. Correra, Il presepe a Napoli, in L’arte, II (1899), p. 340; La scultura nel presepe napoletano del Settecento (catal.), a cura di B. Molajoli, Napoli 1950, p. 13; A. Riccoboni, Sculture inedite di Antonio Corradini, in Arte veneta, VI (1952 [ma 1953]), pp. 151-161; A. Santangelo, Antonio Corradini: la Fede velata, in Bollettino d’arte, s. 4, XLIII (1958), pp. 381 s.; G. Borrelli, Sanmartino scultore per il presepe napoletano, Napoli 1966; Id., Il presepe napoletano, Roma 1970, pp. 232-236; T. Fittipaldi, Lo scultore G. S. tra il 1770-1785, in Arte cristiana, LX (1972), pp. 265-302; R. Mormone, Sculture inedite di G. S., in Scritti in onore di Roberto Pane, Napoli 1972, pp. 457-479; T. Fittipaldi, Puntualizzazioni sulla prima attività dello scultore G. S. a Napoli, in Arte cristiana, LXI (1973), pp. 71-101; M. Causa Picone, Disegni della Società napoletana di storia patria, Napoli 1974, pp. 173 s.; T. Fittipaldi, G. S. (III), in Arte cristiana, LXII (1974), pp. 199-224; A. Carducci, Le sculture ignorate del Sanmartino nella cattedrale di Taranto, in Studi in memoria di Adiuto Putignani, Taranto 1975, pp. 137-158; V. Rizzo, Sculture inedite di D.A. Vaccaro, Bottigliero, Pagano e Sanmartino, in Napoli nobilissima, s. 3, 1979, vol. 18, pp. 41-61, 133-147; T. Fittipaldi, Scultura napoletana del Settecento, Napoli 1980, pp. 58-61, 136-194 e passim; A. Nava Cellini, La scultura del Settecento, Torino 1982, pp. 97-103; E. Catello, Fuga, Sanmartino e la facciata dei Girolamini, in Napoli nobilissima, s. 3, 1983, vol. 22, pp. 3-11, 173-182; G. Marciano - M. Pasculli Ferrara, Il cappellone di San Cataldo nella cattedrale di Taranto, Taranto 1985, pp. 49-62, 148; F. Firmiani, G. S. da Forio d’Ischia a Trieste: la «Religione» perduta e ritrovata, in Arte in Friuli. Arte a Trieste, IX (1986), pp. 67-73; R. Cioffi, La cappella Sansevero. Arte barocca e ideologia massonica, Salerno 1987; E. Catello, Sanmartino, Napoli 1988; M. Pisani, I ritratti di Livia Doria Carafa principessa di Roccella di Fedele Fischetti e di G. S.: un contributo alla ritrattistica napoletana, in Antologia di belle arti, XXXV-XXXVIII (1990), pp. 30-41; A. Bacchi, G. S., Santa Teresa d’Avila, in Terrecotte italiane tra manierismo e barocco (catal.), a cura di M. Vezzosi, Firenze 1997, p. 54; J. Hecht, «I’m no angel». A terracotta model of Saint Vincent Ferrer by G. S., in Metropolitan Museum journal, XXXVII (2002), pp. 229-238; E. Catello, G. S. (1720-1793), Napoli 2004; T. Rega, Un bozzetto inedito di Sanmartino per le sculture del cappellone di San Cataldo, in Napoli nobilissima, s. 5, 2006, vol. 7, pp. 235-237; G.G. Borrelli, Alcune precisazioni su Francesco Pagano e G. S. da un singolare contratto, in La scultura meridionale in età moderna nei suoi rapporti con la circolazione mediterranea. Atti del Convegno..., Lecce... 2004, a cura di L. Gaeta, II, Galatina 2007, pp. 265-280; A. Bacchi, G. S., Angelo Viva e gli evangelisti della cappella Pappacoda, Firenze 2009; G.G. Borrelli, scheda nel Catalogo della scultura, in Ritorno al Barocco. Da Caravaggio a Vanvitelli (catal.), a cura di N. Spinosa, II, Napoli 2009, p. 35, n. 2.8; S. Bisogno, Il Foro Carolino e la statua equestre di Carlo di Borbone, in Napoli nobilissima, s. 6, 2010, vol. 57, pp. 145-188; E. Catello, Il bozzetto di G. S. per la «Carità» della Certosa napoletana, ibid., pp. 53-58; R. Naldi - G. Porzio, Bonito, Sanmartino e i temi bacchici, in Nuovi studi, XV (2010), 16, pp. 145-155; R. Naldi, Andar per chiostri. G. S. e la «memoria» di Agnello Cappellaro in Santa Maria la Nova a Napoli, in Forme e storia, a cura di W. Angelelli - F. Pomarici, Roma 2011, pp. 563-572; R. Ruotolo, G. S. e il tesoro di San Bartolomeo in Galdo, in Sannio e Barocco (catal., Benevento), a cura di V. De Martini, Napoli 2011, pp. 115-117; R. Naldi, Per Sanmartino modellatore. Un San Giuseppe con il Bambino in terracotta, in Ricerche sull’arte a Napoli in età moderna. Scritti in onore di Giuseppe De Vito, Napoli 2014, pp. 134-143; Id., G. S. modeller. A Saint Andrew the Apostle of terra-cotta, Munich 2015.