SANTOMASO, Giuseppe
SANTOMASO, Giuseppe. – Nacque a Venezia il 26 settembre 1907 da Filippo, maestro orafo ed esperto di pietre preziose, e da Ida Cattelan, padovana.
Dopo una formazione scolastica irregolare, avendo dimostrato un’accentuata propensione per il disegno e la pittura, frequentò per breve tempo lo studio del pittore veneziano Luigi Scarpa Croce. Autodidatta, si esercitò nella pittura di paesaggio, seguendo la tendenza allora dominante tra gli artisti veneziani, in opere come Rio di Ca’ Pesaro (collezione privata), nella ritrattistica e nella natura morta.
Nel 1926, a diciotto anni, espose per la prima volta alle mostre dedicate ai giovani artisti presso la Fondazione Bevilacqua la Masa, nella sede di Ca’ Pesaro e quindi in quella del Lido, frequentando assiduamente l’ambiente artistico locale. Qui entrò in contatto con la ‘fronda’ giovanile, stringendo amicizia con Giuseppe Marchiori, allora pittore, e in seguito principale critico d’arte della scena veneziana dell’epoca, e con Leone Minassian, pittore e in seguito anche critico d’arte e collezionista. L’assimilazione di quanto di meglio proponevano le biennali, la consultazione di riviste e libri conservati nelle biblioteche veneziane e l’apprezzamento della produzione di Gino Rossi, nonché le tracce lasciate dalle presenze veneziane di Filippo de Pisis, lo portarono a superare l’iniziale impaccio espressivo.
Nel 1934 espose per la prima volta alla XIX Biennale di Venezia, dove in seguito fu presente nove volte; frequente fu anche negli anni Trenta e Quaranta la partecipazione alle mostre della Fondazione Bevilacqua con opere come Case in collina (1933, collezione privata), che attestano una decisa sintonia con i modi postimpressionisti. D’importanza fondamentale per la sua cultura visiva fu il primo viaggio all’estero, che egli ebbe modo di intraprendere nel 1937. Invitato a tenere una mostra a Veendam nei Paesi Bassi, poté conoscere la collezione di dipinti e disegni di Vincent Van Gogh ancora nella casa del nipote del pittore, figlio di Theo, l’ingegnere Vincent Willem, a Laren; e sia nel viaggio di andata sia al ritorno si fermò a Parigi, dove ebbe modo di visitare le numerose mostre organizzate in occasione dell’Esposizione universale: il padiglione francese, il padiglione spagnolo con Guernica di Pablo Picasso e le opere di Alexander Calder e Joan Mirò, le mostre al Petit Palais e al Jeu de Paume dedicate agli artisti d’avanguardia, dove poté conoscere il ‘secondo’ Georges Braque, Henri Matisse e gli altri maestri moderni del postimpressionismo.
Rientrato in Italia, si smarcò dal paesaggismo veneziano, misurandosi in un corpo a corpo con l’arte contemporanea europea; ne sono testimonianza le ventisette opere esposte nel 1939 alla prima mostra personale a Parigi (Galerie Rive gauche) con introduzione critica di Marchiori, dove presentò delle inquietanti nature morte; in questa occasione ebbe l’opportunità di conoscere Christian Zervos, che lo presentò a Picasso (Valsecchi, 1957). Le mostre furono occasioni d’incontri determinanti; alla personale presso la Galleria Genova nel capoluogo ligure, nel 1940, l’artista stabilì i primi contatti con Alberto Della Ragione, collezionista dei giovani promettenti ruotanti attorno al movimento di Corrente e presenti alla varie edizioni del premio Bergamo (le opere di Santomaso oggi al Museo Novecento di Firenze, come Sedia con chiavi, del 1939, provengono dalla collezione Della Ragione).
All’inizio degli anni Quaranta cade anche la commissione di Carlo Anti, che chiese a Santomaso di dipingere i ritratti dei rettori dell’Università di Padova, nell’ambito della grande impresa decorativa progettata per palazzo Bo e per palazzo Liviano (G. Dal Canton, Santomaso all’Università di Padova, in Saggi e memorie di storia dell’arte, 2009, n. 33, pp. 523-534). Nel travagliato quinquennio che seguì, Santomaso fu in contatto con i principali protagonisti della generazione di mezzo; ne è testimonianza l’epistolario con il critico d’arte triestino, ma veneziano d’adozione, Umbro Apollonio, dove risulta evidente il ruolo costruttivo svolto da Santomaso in quel periodo (Salvagnini, 2009), quando egli passò attraverso un espressionismo figurativo sia nel ciclo dei Nudi sia in quello delle Teste, impegnandosi molto nella grafica (nel 1945 apparve l’edizione milanese di Grand air, di Paul Eluard, con 27 disegni di Santomaso).
Dopo la Liberazione, cui contribuì con attività di intelligence per le forze antifasciste (un impegno che lo legò per sempre a protagonisti come Sandro Pertini), Santomaso tornò alla pittura con diverso spirito, ristabilendo i rapporti con i giovani artisti di Roma e di Milano, da Renato Guttuso a Renato Birolli, con i quali si avviò il processo di cucitura che avrebbe portato alla Nuova secessione artistica (1946) e al Fronte nuovo delle arti (1947-50). In questa fase giocarono un ruolo importante due figure singolari di collezionisti, Vittorino Meneghelli e Achille Cavellini: il primo, nella sua casa di terraferma, attento alle opere di carattere espressionista dei giovani artisti di allora e alla scultura di Alberto Viani, il secondo a documentare la stagione postcubista dei veneziani in una collezione che si espanse a raggio europeo e che fece della sua casa di Brescia luogo di mostre e di dibattiti (Cavellini, 1958).
Nel 1946 Santomaso fece la conoscenza di Peggy Guggenheim, che stava trasferendo a Venezia la sua collezione, e ne diventò amico e collaboratore, aiutandola a individuare in Ca’ Venier dei Leoni la sede futura della sua casa-museo e convincendo il segretario della Biennale, Rodolfo Pallucchini, a esporre le opere della collezionista statunitense nel padiglione della Grecia, allora inutilizzato, alla XXIV Esposizione internazionale d’arte del 1948. In quella fase il centro di raccolta di opere e di idee fu il ristorante all’Angelo, gestito da Renato Carrain, situato in Spadaria, nei pressi della basilica di S. Marco, a due passi dalla casa di Marchiori. Vi confluirono artisti e intellettuali che animarono il locale, trasformandolo, con disegni e quadri, in un piccolo ‘museo’ del contemporaneo, dove erano raccolti molti dipinti di Santomaso, dal Nudo (1937) fino al Trittico dell’angelo (1946), commissionato da Carrain a Santomaso, ad Armando Pizzinato e a Emilio Vedova (Arte moderna all’Angelo, 1947).
Sollecitato dai confronti e dai dibattiti in corso, l’artista maturò la svolta decisiva della sua carriera tra l’estate e l’autunno del 1947, durante una lunga permanenza nella casa di campagna di Marchiori, in località La Rotta Sabbadina, nei pressi di Lendinara. Là nacque il ciclo delle Finestre, esposto quasi per intero alla Biennale del 1948 nelle sale del Fronte nuovo delle arti, momento decisivo nell’elaborazione di una sintassi neocubista, orientata a esplorare l’autonomia dell’immagine dal dato referenziale. Da quel momento la figura umana fu definitivamente espunta dalla pittura di Santomaso, che cominciò una pluridecennale indagine sulle possibilità espressive del colore, liberato dai cascami della figurazione e proiettato verso una sorta di autovalorizzazione estetica in funzione dei dati memoriali ed esperienziali. Impegnato a difendere l’autonomia dell’arte nel dibattito su realismo-astrattismo, Santomaso cominciò un’intensa attività di polemista in giornali e riviste, rilasciando interviste e intervenendo a convegni. L’attività pittorica (parallelamente all’impegno nella grafica, continuativo a partire dal 1938: Calderoni, 1975; Tedeschi, in Giuseppe Santomaso..., 2008) manifestò un crescente interesse per forme piatte evocatrici di esperienze mobili nello spazio, ricche di richiami ai dati sensoriali, ma distanti da qualsiasi intento imitativo.
Riconosciuto all’estero in mostre come quella a New York, al Museum of modern art, nel 1949, «Twentieth century Italian art», il suo lavoro ottenne una prima consacrazione alla XXVII Biennale di Venezia del 1954, quando gli fu assegnato il premio per la pittura italiana, grazie a opere come Ricordo verde (Milano, Banca Intesa, Gallerie d’Italia) e Ritmi rurali (Roma, Galleria nazionale d’arte moderna). Anche in seguito all’avvio della Biennale d’arte di San Paolo del Brasile (dove fu presente alla prima edizione nel 1951, e poi nel 1953 e nel 1961) la posizione di Santomaso si distinse sia per la qualità delle opere esposte (nel 1953 ottenne il secondo premio con L’ora delle cicale) sia per l’interesse suscitato presso i maggiori collezionisti brasiliani (tra gli altri Ciccillo Matarazzo).
A partire dal dopoguerra, per più di un decennio, Santomaso esplicò un’intensa attività nell’ambito della decorazione, a cominciare dall’affresco realizzato nel 1947 per la casa di Marchiori alla Rotta Sabbadina, fino alle grandi pitture murali per il Jolly Hotel a Valdagno (1949), e a Venezia per l’Ufficio centrale delle Poste, nel Fondaco dei Tedeschi a Rialto (1959).
Presso le Ceramiche San Polo di Venezia creò fin dal 1949 i pezzi per il caminetto del ristorante all’Angelo, le maioliche zoomorfiche inviate al premio Faenza e il caminetto per il collezionista Cavellini (1951), mentre per la fornace Guerra-Gregorj di Treviso ideò piastrelle destinate alla facciata del teatro Rivoli di Valdagno e al palazzo Antenore di Padova. Alcuni suoi lavori furono collocati nei transatlantici, come la parete a mosaico in legno sul tema dei Divertimenti (1948) per il Conte Biancamano e i due arazzi per il Leonardo da Vinci. Con la vetreria muranese di Archimede Seguso espose un pannello decorativo e maniglie in vetro alla IX Triennale di Milano del 1951, così come un simile ‘diaframma policromo‘ venne installato nel palazzo del Ghiaccio di Cortina d’Ampezzo in occasione dei VII Giochi olimpici invernali del 1956.
Sposatosi nel 1932 con una musicista, Lucia Zaccari (dal loro matrimonio nacque la figlia Marina), Santomaso poté accentuare la sua naturale inclinazione alla musicalità del comporre, con opere sinestetiche suggerite, oltreché dalla conoscenza delle teorie di Vasilij Kandinsky, dalla collaborazione con l’industriale e compositore vicentino Antonio Pellizzari (per es. in Dai concerti di Arzignano). Intanto si era formato, anche grazie al suo impegno, il Gruppo degli Otto, sotto l’egida di Lionello Venturi, che vide coordinati quei pittori che, dopo l’esperienza del Fronte nuovo delle arti, stavano transitando alla poetica dell’informale. Conseguentemente, Santomaso venne chiamato alla cattedra di pittura e decorazione nell’Accademia di belle arti di Venezia, mantenendo l’insegnamento per quasi vent’anni, dal 1957 al 1974-75.
Al 1957 sono riconducibili due avvenimenti significativi della sua vita: dipinse Vita segreta, acquisito da Peggy Guggenheim, ed effettuò il primo viaggio negli Stati Uniti. Qui stabilì un accordo con la newyorkese Borgenicht Gallery, che ospitò una serie di personali dell’artista ormai all’apice della sua parabola creativa esponendo quadri come: Senso dell’ora, Fermento, Incontri all’alba. Ebbe così inizio la stagione americana di Santomaso, le cui opere entrarono nelle maggiori collezioni dell’epoca: Schulhof, Khan, Marvin Winter.
Per quasi un decennio il colore assunse accentuate sembianze materiche, e segni e tracce si rivelarono fondamentali a suggerire il formarsi dell’immagine come accadimento nel tempo. Con l’avvio delle mostre Documenta, a Kassel (dove espose nel 1955, 1959 e 1964), alcuni tra i più influenti critici d’arte dell’epoca si occuparono dell’opera di Santomaso: Herbert Read, Pierre Francastel e Werner Haftmann. Nel 1960 il maestro effettuò un viaggio in Puglia da cui scaturì un ciclo di dipinti e di gouache nei quali prese forma il suo carattere drammatico, ispiratosi stavolta alla natura carsica del paesaggio; con un’appendice a Matera, dove, il pittore fu colpito dall’esperienza dei ‘sassi’ (Verso Matera, Angoscia a Gravina). L’esperienza pugliese ebbe due esiti critici di alto valore: i saggi di Francastel (1962) e di Haftmann (1964), cui fece seguito la monografia di Nello Ponente (1968), che l’artista considerava la migliore sul suo lavoro.
Dopo il 1962 avvenne un rinnovamento radicale nell’attività dell’artista, che per un decennio, in coincidenza con l’intervento di natura filosofica che egli tenne quell’anno al Convegno della Fondazione Cini (Arte e cultura contemporanea), si manifestò attraverso un originale confronto con la prassi minimalista. Gradatamente la superficie del dipinto si spogliò della ricchezza semantica per approdare a un’essenzialità che metteva in questione la pittura stessa, contrapponendosi anche alle ottimistiche, emergenti ipotesi gestaltiche promosse da Giulio Carlo Argan: teorie di gruppo alle quali Santomaso si oppose anche pubblicamente con prese di posizione polemiche. Opere come Separazione azzurra, Spazio blu e i numerosi dipinti Senza titolo mostrano un Santomaso ‘concettuale’, al punto che nel 1966, dopo l’alluvione di Firenze, non poté esimersi dal comporre l’Omaggio al crocifisso di Cimabue, ispirato alla più dolente compostezza.
Di notevole importanza anche il rapporto dell’artista con i poeti, in particolare quello con Ezra Pound, che accettò di produrre una cartella e un libro con testi dai Cantos, illustrati dall’artista: apparve così, nel 1972, An angle, per le edizioni Im Erker di Franz Larese, una vicenda ricostruita in seguito dal pittore, che maturò anche in relazione a quest’esperienza una svolta nella sua pittura (Santomaso, 1985); e quello di più lungo respiro con Andrea Zanzotto, di cui Santomaso illustrò più di un’edizione.
Il 1975 fu un anno significativo per Santomaso, che vide compiuto il lavoro di Luisa Alfieri per il Catalogue raisonné della sua opera pittorica, dagli esordi fino al 1974; un bilancio che, alla soglia dei settant’anni, s’impose in concomitanza con il Catalogo dell’opera grafica (Calderoni, 1975), due eventi che non poterono non comportare una svolta nell’attività dell’artista. La riflessione sul proprio lavoro precedente culminò infatti nella lavorazione del ciclo Lettere a Palladio, nel 1977, nove dipinti ispirati all’esperienza che quotidianamente l’artista viveva ammirando la facciata delle chiese del Redentore e delle Zitelle alla Giudecca e, più in là, la facciata di S. Giorgio; l’armonia architettonica venne rivisitata dal pittore in chiave di puri rapporti, non nel nome di una semplice proportio, ma intonando il cristallino canto palladiano a inedite e indipendenti scansioni compositive (tutte in collezione privata, a eccezione della Lettera a Palladio n. 3, nelle collezioni della Pinakothek der Moderne di Monaco, e della Lettera n. 6, acquisita nel 1993 dalla Fondazione Guggenheim di Venezia).
Il 1982 si caratterizzò per la mostra che la città natale gli dedicò, al Museo Correr, quando l’artista poté installare, a cura di Guido Ballo, la prima grande retrospettiva di cinquant’anni di pittura, riproposta l’anno dopo a Milano a Palazzo Reale. Nel 1984 Santomaso sottoscrisse un contratto di esclusiva con la Galleria Blu di Milano, gestita da Peppino Palazzoli e dal figlio Luca; l’accordo portò con sé la decisione da parte dei galleristi di fissare a Milano la sede dell’Archivio Santomaso. Sempre più immerso nella rete di relazioni internazionali intessute negli anni, il maestro si trovò coinvolto nelle maggiori istituzioni di Venezia (Biennale, Palazzo Grassi, Fondazione Guggenheim, Università internazionale dell’arte) e internazionali (Issyk-Kul Forum).
L’immagine di Venezia tornò a dominare la pittura di Santomaso tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta fino alle ultime opere, non nella forma di una restituzione, bensì in qualità di frammento significativo, di detonatore cromatico-visivo. I dipinti dell’ultimo periodo si snodano come capitoli di un lungo racconto: Barena, L’amante del Doge, Intrighi a Rialto, Madonna dell’Orto. Per tutti vale Venezia – quello che vorrei salvare (1988), in cui Santomaso esplicitò la consapevolezza che ogni opera equivale a un ‘salvataggio’ del dato visivo rielaborato, originato ma anche espunto e reso indipendente dalla realtà.
Immerso nel lavoro quotidiano che lo vide al centro di grandi mostre in musei e gallerie (nel 1979 a Barcellona e a Monaco di Baviera, nel 1987 e nel 1990 a Milano nella Galleria Blu), Santomaso morì a Venezia il 23 maggio 1990.
Numerosi i premi che Santomaso ottenne nel corso degli anni: Nazionale di pittura Golfo della Spezia (1949), Pittura Esso (1951), IV La Spezia (1952), III Città di Gallarate (1952), I premio - acquisto alla Mostra nazionale di pittura dell’Università di Trieste (1953, Cantiere), all’Esposizione internazionale della grafica di Lubiana (1957), premio Marzotto, Valdagno (1958, Pensieri ordinati), alla Biennale della Grafica di Tokyo e alla Biennale della Grafica di Cracovia (1972), premio Antonio Feltrinelli per le arti figurative all’Accademia dei Lincei (Roma 1983).
Fonti e Bibl.: Dichiarazioni autobiografiche, testi di poetica e di estetica di Santomaso a partire dal 1945 sono ora in gran parte raccolti in Una selezione degli scritti di G. S., in G. S. Catalogo ragionato, a cura di N. Stringa, Torino 2017, pp. 290-324; per i due interventi tenuti alla Fondazione G. Cini di Venezia nel 1957 e nel 1962 si veda: G. Santomaso, in Arte e scienza, Atti del Convegno..., Venezia... 1957, a cura di A. Guzzo, Firenze 1959, pp. 318 s.; Id., La mia pittura in rapporto con il “reale”, in Arte e cultura contemporanee, Atti del Convegno..., Venezia... 1962, a cura di P. Nardi, Firenze 1964, pp. 509-535. Si veda inoltre: G. Santomaso, Il rapporto del pittore col poeta, in Ezra Pound a Venezia, a cura di R. Mamoli Zorzi, Firenze 1985. Ricordi e testimonianze sull’artista: G. Marchiori, La casa sull’argine: storia di un affresco di S., Venezia 1954; A. Cavellini, Arte astratta, Milano 1958, p. 54; G. Soccol, S.: “io dipingo con l’aria”, in Saggi e memorie di storia dell’arte, 2009, n. 33, pp. 413-416; G. Solari, In viaggio con S., ibid., pp. 549-552. La pubblicazione dell’epistolario è stata avviata da S. Salvagnini curatore di “La civiltà europea è crollata in un polverone, l’artista è completamente solo...”. Lettere di G. S. a U. Apollonio conservate all’Accademia di Belle Arti di Venezia (1942-1947), Padova 2009. Altri materiali a: Venezia, Archivio dell’Accademia di belle arti e Archivio Solari; Firenze, Archivio Vieusseux; Milano, Archivio Galleria Blu.
G. Marchiori, S. alla Rive Gauche, in Domus, 1939, n. 138, p. 11; R. Pallucchini, Bepi S., in Emporium, 1942, vol. 95, n. 569, pp. 200 ss.; Arte moderna all’Angelo, a cura di G. Marchiori, Venezia 1947; G. Dell’Oro, L’arte ceramica di G. S., in Il Gazzettino illustrato, 3 giugno 1949; C. Zervos, Quelques jeunes, in Cahier d’art, XXV (1950), 1, pp. 245-269; Otto pittori italiani, a cura di L. Venturi, Roma 1952, passim.; G. Marchiori, S. Pitture e disegni 1952-1954, Venezia 1954; L. Venturi, S., in Commentari, VI (1955), 2, pp. 132-136; M. Valsecchi, La nitida realtà di S., in Il Tempo, 10 ottobre 1957; P. Francastel, S. Cicale e cattedrali, Amriswil 1962; W. Haftmann, S. in Puglia, Bari 1964; S. Pitture, a cura di N. Ponente, Venezia 1968; F. Calderoni, S., l’opera grafica 1938-1975, Roma 1975; G. S. Catalogue raisonné, a cura di L. Alfieri, Venezia 1975; A. Zanzotto, [Santomaso] Percorso necessario, in Il Gazzettino. 9 settembre 1982; G. S. e l’opzione astratta (catal.), a cura di N. Stringa, Venezia 2008 (in partic. F. Tedeschi, S., dal colore inciso al segno dipinto. E viceversa, pp. 196-237); L’Accademia di belle arti di Venezia. Il Novecento, a cura di S. Salvagnini, Crocetta del Montello 2016; E. Prete, G. S., l’astrazione emozionante (catal.), a cura di L. Conti, Milano 2017; G. S. Catalogo ragionato, a cura di N. Stringa, I-II, Torino 2017 (in partic. E. Prete, “Yes, it’s a S.”: dall’atelier alla collezione, I, pp. 117-155; S. Portinari, Pareti di ceramica e finestre dipinte. S. e la “necessità di un carattere decorativo” della pittura, I, pp. 157-193; S. Salvagnini, S. la fortuna critica, I. pp. 195-262; L. Poletto, Una vita per la pittura, I, pp. 263-315; E. Prete, Esposizioni 1926-2015, II, pp. 255-270; Id., Bibliografia 1928-2015, II, pp. 271-293); New York-New York. Arte italiana: la riscoperta dell’America (catal.), a cura di F. Tedeschi, Milano, 2017.