SCIUTI, Giuseppe
‒ Nacque a Zafferana Etnea, Catania, il 26 febbraio 1834, da Salvatore Sciuto Russo, «aromatario» ossia farmacista, e da Caterina Costa, di Acireale (atto di nascita in Iozzia, 2001, p. 64; l’artista si fece poi cambiare il cognome da Sciuto in Sciuti; Sciuti, 1938, p. 9 nota 1). Deciso a intraprendere la carriera artistica anziché divenire farmacista, nel 1849 si trasferì con un assegno paterno a Catania, dove fu ospite per alcuni mesi dello scenografo Giuseppe De Stefani, suo primo maestro. Studiò poi presso il noto ritrattista Giuseppe Gandolfo e presso il pittore Giuseppe Rapisardi, che gli insegnò ornato e prospettiva. Una richiesta di sussidio per proseguire gli studi, presentata il 4 dicembre 1851 al Comune di Zafferana, costituisce il primo documento noto circa la sua attività. Sciuti ottenne nel settembre 1852 una prima annualità di 18 ducati, poi non rinnovata per i dissesti finanziari causati dall’eruzione dell’Etna avvenuta in agosto (docc. in Patané, 2011, pp. 88-90).
Dalla richiesta di una borsa di studio, presentata nel 1852 e inevasa per lo stesso motivo, scaturì la sua prima opera nota, L’eruzione dell’Etna (Catania, Casa-museo Giovanni Verga), terminata nel 1854 e pagatagli 45 ducati dal decurionato comunale di Zafferana nel 1855 (Contarino, 2011, p. 6). Dipinse in quegli anni un’Addolorata (1852, Zafferana Etnea, coll. priv.) e una pala d’altare per la chiesa madre di Zafferana (S. Giuseppe col Bambino, 1854, il bozzetto del 1852 è in coll. priv. a Zafferana). Costretto a guadagnarsi da vivere per via della distruzione dei frutteti di famiglia, Sciuti iniziò a lavorare ad Acireale presso il pittore e decoratore Giuseppe Spina Capritti, che lo pagava quattro tarì al giorno (Dizionario degli artisti, 1906). Nel 1857 sposò Antonietta Anna Torrisi, trasferendosi con lei a Giarre, dove vissero in via dell’Angiolo, casa in cui nacque il 23 ottobre 1860 il primogenito Eugenio e nel 1862 la figlia Caterina, poi divenuta pittrice. Eseguì per abitazioni private di Giarre e per la casa di Giuseppe Tabuso nella vicina Riposto diverse decorazioni ad affresco a soggetto mitologico o allegorico con Il trionfo di Galatea e l’Allegoria della Sicilia.
Nel 1863 (secondo Simone nel 1865 e secondo altri nel 1860 o 1862; Simone, 1892, p. 10) Sciuti ottenne dal Comune di Catania una borsa di studio per perfezionarsi a Firenze, dove giunse dopo un breve soggiorno a Roma e a Napoli. Al suo ritorno a Catania, nel 1865, il Comune acquistò due quadri del periodo fiorentino, La vedova e La tradita (entrambe a Catania, Castello Ursino), opere che attestano l’adesione al verismo mediata dal contatto col gruppo dei macchiaioli e dalla frequentazione del caffè Michelangelo.
Nel 1867 (nel 1868 secondo Simone: p. 11) si trasferì a Napoli, dove visse in vico Fontana dei Serpi e rimase otto anni, frequentando la scuola di Domenico Morelli e precisando in senso realistico il suo linguaggio pittorico. Osservando le novità dei fratelli Palizzi, Sciuti abbandonò il disegno di contorno e pervenne a una pittura dai colori cangianti, forti e pastosi, sostenuta da un esperto uso del chiaroscuro, come attestano ad esempio gli Studi di Pompei eseguiti intorno al 1869 (Modena, coll. priv.). Partecipò nel 1868 alla V mostra della Società promotrice napoletana con Suonatori siciliani e La tentazione, quadro oggi perduto che ottenne ampio successo (fra gli ammiratori i principi Umberto e Margherita di Savoia) e fu acquistato dal banchiere Giovanni Vonwiller, collezionista e mecenate di Morelli e Filippo Palizzi. I dipinti a soggetto storico esposti alla successiva edizione della Promotrice napoletana, Le madri della patria nel 1799 in Napoli, I prigionieri del Castelnuovo dopo la capitolazione del 1799 e Un episodio del saccheggio di Catania, furono notati dalla critica insieme a Un fanciullo che torna premiato dalla scuola (Roma, coll. priv.), e tutti venduti (Dizionario degli artisti, 1906; i primi due furono nuovamente esposti alla Mostra italiana d’arti belle a Parma nel 1870). Un ritratto, oggi disperso, della moglie dell’ammiraglio Simone Antonio Pacoret de Saint-Bon gli fruttò il denaro necessario per continuare a lavorare a Napoli (Sciuti, 1938, p. 150).
Dal 1870 al 1872 collaborò con Morelli alla decorazione del sipario del teatro Verdi di Salerno raffigurante la Cacciata dei Saraceni da Salerno. Il suo orientarsi verso la storia antica si manifestò nel 1873 con i dipinti inviati all’Esposizione universale di Vienna, che Sciuti visitò, come documenta il passaporto datato 2 giugno di quell’anno: La suonatrice d’arpa ovvero I pompeiani, Un concerto e Pindaro che esalta un vincitore dei giochi olimpici, quadro che ottenne il primo premio e che, riesposto l’anno successivo alla Mostra nazionale di Milano, fu acquistato dal ministero della Pubblica Istruzione per la Pinacoteca di Brera (Giuseppe Sciuti, 1989, p. 18). Nel 1873 espose alla Mostra degli amatori e cultori di Roma Donna che legge lettera amorosa. Tornato a Napoli, partecipò nel 1874 all’esposizione della Promotrice napoletana con una Toletta, alla Promotrice di Genova con La Carità e alla I Mostra nazionale di Parma con La pace domestica, che ottenne la medaglia d’argento. Dipinse Uno sposalizio greco, acquistato dal direttore di Brera per 5.500 lire, e I funerali di Timoleonte (Palermo, Galleria d’arte moderna), che espose l’anno seguente alla mostra della Società promotrice palermitana e fu acquistato dal Municipio di Palermo. Nel 1875 fu nominato professore onorario di pittura dell’Istituto reale di belle arti di Napoli. Soggiornò nell’agosto di quell’anno ad Acireale, poi a Palermo, per trasferirsi infine a Roma, dove sarebbe rimasto tutta la vita, prendendo abitazione in via della Pilotta 29 e più tardi in via del Tritone 105.
Dipinse nel 1876 Saffo abbandonata da Faone, Preparativo di una festa e Il tempio di Venere, che espose alla Mostra degli amatori e cultori, dove il terzo ottenne la medaglia d’argento e l’acquisto per la somma di 900 lire da parte del ministero della Pubblica Istruzione per la Galleria nazionale d’arte moderna (in deposito a Roma, Avvocatura generale dello Stato). All’edizione seguente della mostra espose Un’offerta, mentre Le gioie della buona mamma (Palermo, coll. priv.), dipinto sempre nel 1877, ottenne la medaglia d’oro all’esposizione di Melbourne del 1880 e fu più tardi acquistato da Alfio Tomaselli, nipote della moglie di Sciuti. Nel novembre 1877 vinse il concorso nazionale bandito dall’Accademia di S. Luca per gli affreschi della sala del Consiglio nel palazzo Provinciale di Sassari, un’opera di capitale importanza che con l’importo di 30.000 lire risollevò l’artista dalle ristrettezze economiche in cui versava. Vi lavorò dal gennaio 1878 fino al 1880, dipingendo imponenti scene storiche quali La proclamazione della Repubblica sassarese e L’ingresso di Giommaria Angioj in Sassari, unite all’Apoteosi di Vittorio Emanuele II, a La Sardegna nelle varie epoche e a figure di Virtù. Gli affreschi furono salutati come il primo, riuscito esempio di un ciclo pittorico civile nella nuova Italia (Spano, 1899; Camarda, 2012). I cartoni preparatori con il Suicidio di Amsicora sul cadavere di Iosto, suo figlio, nel campo di battaglia e Ballo sardo attorno a un trofeo a Porto Torres per la cacciata dei Mori dall’isola sono conservati presso la Galleria nazionale d’arte moderna di Roma, e i bozzetti de L’ingresso di Giommaria nella raccolta Wolfsoniana a Genova e nel palazzo della Provincia di Catania. Eseguì nel soggiorno sardo Studio di donna in costume di Ittiri (Cagliari, Università degli Studi) e i ritratti del politico e imprenditore Giovanni Antonio Sanna (Sassari, Museo nazionale G.A. Sanna) e di Luigi Usala (Cagliari, Pinacoteca nazionale). Tornato a Roma, partecipò per la seconda volta al concorso per gli affreschi dell’aula del Senato, poi affidati a Cesare Maccari: i bozzetti di Sciuti con Appio Claudio che risponde a Cinea di uscire prima d’Italia per poi trattare la pace e Tito Quinzio che dà la libertà ai Greci furono donati dall’artista al Tomaselli insieme a quello della Morte di Anita Garibaldi e sono oggi in coll. priv. palermitana.
Nel 1881 il Comune di Catania gli affidò l’importante commissione del sipario del teatro Massimo Bellini. Sciuti presentò un bozzetto con La battaglia d’Imera (Catania, coll. priv., e Palermo, coll. priv.), che però fu rifiutato per via dei nudi femminili e del soggetto poco glorioso per la città. L’artista dovette cimentarsi quindi col nuovo soggetto imposto dalla commissione nel 1882, dipingendo Il trionfo dei catanesi sui libici (in situ; il bozzetto, esposto nel 1883 a Roma, è in coll. priv. palermitana; Iozzia, 2011, con docc.). Per via delle grandi dimensioni, il sipario fu dipinto in una sala di palazzo Venezia, a Roma, messa a disposizione dall’ambasciatore austriaco presso la Santa Sede (Sciuti, 1938, p. 412). Corsa a piedi e Post prandium furono presentati nel 1881 all’Esposizione internazionale di Milano e premiati nel 1884 con la medaglia d’oro e un diploma d’onore all’Esposizione universale di Nizza; il bozzetto del secondo, dedicato al giurista Emilio Costa, è passato in asta a Roma nel 2000 (Pennisi, 2011, p. 103). Fra il 1883 e il 1884 Sciuti realizzò a Palermo gli affreschi allegorici per palazzo Tasca e per l’orto botanico, oggi in cattive condizioni.
Nel 1885 lavorò per due mesi a Lugano, decorando a tempera soffitti e scalone del villino dell’industriale Emilio Maraini con l’aiuto di Tomaselli. Firmò nello stesso anno Saffo in casa di Zenone (Palermo, coll. priv.). Nel 1886 terminò ed espose nel suo studio romano in piazza Mattei 10 il quadro per la Mostra degli amatori e cultori di quell’anno, Hic manebimus optime (attuale collocazione ignota), scrivendo invano al presidente del Consiglio, Agostino Depretis, al ministro della Pubblica Istruzione, Michele Coppino, e al re, Umberto I, affinché fosse acquistato dal governo (lettere riprodotte in Giuseppe Sciuti, 1989, pp. 194-196). Il quadro fu presentato nuovamente all’Esposizione italiana di Londra nel 1888 insieme ad altri nove dipinti che ottennero grande successo e furono acquistati in blocco dal colonnello John Thomas North, presidente dell’esposizione, per la cifra di diecimila sterline. Con decreto regio del 17 febbraio 1887 Sciuti fu nominato cavaliere della Corona d’Italia. Nel 1888 espose al pubblico nel suo studio romano La battaglia d’Imera. Il 12 maggio di quell’anno morì la moglie Antonietta nella casa romana di via del Tritone. In agosto Sciuti replicò per la villa dei signori Ovengo a Montegrosso Pian Latte Saffo abbandonata da Faone. L’anno successivo eseguì una tempera ad Arpino, in palazzo S. Germano, con Il trionfo dell’amore, e gli furono affidati diversi incarichi in Sicilia.
Nel 1890 si trasferì in via dei Villini con i figli Eugenio e Caterina e i loro familiari. Prese parte in aprile a una seconda mostra londinese che, seppure non ottenne i consensi della prima, gli procurò due acquisti da parte del colonnello North e la commissione del suo ritratto equestre. Nel 1892 portò a termine gli affreschi del villino del senatore siciliano Francesco Durante a Roma con Le quattro stagioni (bozzetti e cartoni de La storia attraverso i secoli sono conservati presso la Galleria nazionale d’arte moderna). Nel 1894 ultimò la grande tela della Restauratio Aerarii (Catania, Castel Ursino; bozzetto a Palermo, Sicilcassa) e il sipario del Teatro Massimo di Palermo (Uscita di Ruggero I dal Palazzo Reale di Palermo dopo l’incoronazione), commissionatogli l’anno precedente, che per via delle ampie dimensioni fu dipinto a Roma dapprima nella chiesa di S. Saba e poi nel palazzo delle Esposizioni (Sciuti, 1938, p. 104). Il 25 maggio 1895 fu eletto all’unanimità accademico di merito residente per la classe di pittura all’Accademia di S. Luca, su proposta del pittore polacco Henryk Hektor Siemiradzki (Roma, Accademia di S. Luca, Archivio storico, Misc. Tomassetti, vol. 159, cc. 9, 14a, 20, 82, 103). Nel 1896 dipinse a Palermo Il trionfo di Bacco per la sala da pranzo di villa Florio e fu poi invitato da Alfio Tomaselli a Bari per affrescare tre lunette nella facciata della basilica di S. Nicola (Giuseppe Sciuti, 1989, p. 187). Partecipò nello stesso anno, su invito del pittore Albert Hertel, che ne aveva visitato lo studio, all’Esposizione internazionale di Berlino, con un bozzetto del sipario per il Teatro Massimo e un altro dipinto (Roma, Accademia di S. Luca, Archivio storico, Misc. Tomassetti, vol. 179, cc. 37q, 37be, 37bh; Internationale Kunst-Ausstellung, 1896, p. 111 nn. 2061-2062).
Dal 1896 al 1898 lavorò alla collegiata di Catania, affrescandovi la cupola (Assunzione) e la volta con Il passaggio dalle tenebre alla Sapienza divina, la Madonna che stende il mantello della misericordia circondata da due file di Angeli, una Processione, I peccati mortali: avarizia, lussuria e ira ed eseguendo le pale di Frate Geremia davanti a Eugenio IV e della Madonna dell’elemosina (in situ; bozzetti a Modena, coll. priv.). Ospite del barone Raffaele Zappalà Finocchiaro, presso il quale lasciò diverse opere, eseguì sempre a Catania affreschi per i palazzi Manganelli e del Toscano, per l’architetto Filadelfo Fichera, e per la chiesa di S. Agata la Vetere (Madonna dei bambini). L’allegoria Con il benessere fioriscono le arti e le scienze (Zafferana Etnea, Municipio) dà la misura del cauto aggiornamento liberty effettuato da Sciuti intorno alla fine del secolo. Documentato nuovamente a Roma alla fine del 1898, all’opera per Giuseppe Paternò Alliata principe di Manganelli, l’artista firmò nel 1899 la Madonna con Pupù, dedicata al figlio Eugenio per la morte del suo bambino (Roma, coll. priv.). Dipinse nel 1900 Io sono la luce del mondo, quadro che donò nel 1902 all’Accademia degli Zelanti di Acireale, di cui era socio d’onore, durante un soggiorno nel quale ricevette la cittadinanza onoraria. Nello stesso soggiorno eseguì la pala del Sacro Cuore per il Duomo e iniziò la decorazione ad affresco delle volte di palazzo Calanna con composizioni allegoriche terminate nel 1905 (Le quattro stagioni, Il genio dell’istruzione, La Rimunerazione, Il Silenzio e il Sonno, La confidenza), mitologiche (Iride, Le baccanti) e storiche (La battaglia d’Aquilio) per un compenso di quindicimila lire. Tornato a Roma nel giugno 1902, si ammalò allo stomaco e su consiglio medico soggiornò a Montepulciano (dove, in coll. priv., è la Madonna del Divin Amore del 1898, donata dall’artista a Bianca Marocco).
Nel 1903 si stabilì di nuovo ad Acireale, prendendo casa in via Marzulli 78 e rimanendovi quasi ininterrottamente fino al 1907. Festeggiò nel 1904 all’Accademia degli Zelanti le onoranze per i suoi settant’anni, e il re Vittorio Emanuele III lo nominò commendatore della Corona d’Italia. Nel 1905 iniziò a dipingere gli affreschi della cappella del castello Scammacca dei baroni Pennisi di Floristella (Madonna e santi entro medaglioni), terminati nel 1907, ed effettuò diversi soggiorni a Zafferana Etnea. Il 15 gennaio 1905 firmò il contratto per la decorazione del soffitto del Duomo, dove affrescò Madonna, profeti, santi e Virtù, Orchestra degli angeli, Coro delle Vergini e Gloria d’angeli con i simboli di s. Venera, la Fede e il Padre Eterno (cartoni preparatori ad Acireale, Accademia degli Zelanti). Ultimò l’opera tre anni dopo con l’aiuto dell’allievo Primo Panciroli.
Viste le numerose assenze, nel 1906 la sua carica all’Accademia di S. Luca fu mutata in quella di accademico emerito (Roma, Accademia di S. Luca, Archivio storico, Misc. Tomassetti, vol. 191, c. 14a). Espose alla LXXIX Mostra degli amatori e cultori di Roma nel 1909 Un torneo e La verità scoperta dal Tempo.
Morì a Roma il 13 marzo 1911, nella sua casa di via dei Villini.
Fonti e Bibl.: Roma, Accademia di S. Luca, Archivio storico, Misc. Tomassetti, vol. 159, cc. 9, 12, 14a, 20, 21, 82, 103, vol. 179, cc. 37q, 37be, 37bh, vol. 189, c. 22, vol. 191, c. 14a.
B. Odescalchi, Gli studi di Roma. Ricordi artistici, Roma 1876, pp. 78-88; S. Simone, Cenni sulla vita e le opere del grande pittore G. S., Trani 1892 (con bibl.); Dizionario degli artisti italiani viventi: pittori, scultori e architetti, a cura di A. De Gubernatis - U. Matini, Firenze 1906, p. 462; Internationale Kunst-Ausstellung..., Berlin 1896, p. 111 nn. 2061-2062; F.D. Spano, Gli affreschi di G. S. nel Salone del Palazzo Provinciale di Sassari, Sassari 1899; La R. Accademia dei Zelanti di Acireale a G. S. nel suo 70° compleanno, Acireale 1904; P. Sciuti Campanella, G. S. pittore, Palermo 1938; M. Donato, Le decorazioni di G. S. nella Cattedrale di Acireale, Acireale 1984; Id., Ancora sull’attività di G. S. in Acireale, Acireale 1986; G. S., 1834-1911: ritratti di famiglia (catal.), a cura di D. De Dominicis - I. Sacco, Roma 1988; G. Romeo, Cenni biografici su G. S. (1913), Acireale 1988; G. S. (catal., Palermo), a cura di M. Calvesi - A. Corsi, Nuoro 1989 (con bibl.); A. Ficarra, G. S., Palermo 1991; L.R. Pastore, Sante Simone – G. S. e una ignorata vicenda di collezionismo conversanese tra Ottocento e Novecento, in Cultura architettonica nella Puglia dell’Ottocento, a cura di V. L’Abbate, Fasano 1996, pp. 275-285; S. Sciascia, Alcune considerazioni intorno ad un bozzetto della "Battaglia d'Imera" di G. S., in Archivio storico siciliano, s. IV, XXII (2006), pp. 267-274; Da Sciuti a Dorazio: la collezione d’arte moderna della Regione Siciliana (catal.), a cura di S. Troisi, Palermo 2011, pp. 28 s.; G. Contarino, L’ultima battaglia di G. S., in G. S. nel centenario della morte (catal.), Acireale 2011, pp. 6-50; A.M. Iozzia, Il sipario del teatro Massimo Bellini, ibid., pp. 64-70; A. Patané, G. S. e Zafferana Etnea, ibid., pp. 87-93; S. Pennisi, Un aggiornamento al catalogo delle opere di Sciuti, ibid., pp. 94-109; F. Migneco Malaguarnera, Quattro dipinti di G. S., in Catania, 1870-1939, a cura di I.D. Aprile, Palermo 2011, pp. 227-229; A. Camarda, Il Palazzo della Provincia di Sassari: un cantiere artistico nell’Italia dell’Ottocento, Sassari 2012; L. Paladino, Un dipinto di G. S. tra storia e verità di natura..., in Una vita per il patrimonio artistico, a cura di E. D’Amico, Palermo 2013, pp. 110-112; A. Imbellone, in Le collezioni della Fondazione Banco di Sicilia. I dipinti. Ottocento e Novecento, a cura di F. Mazzocca, Cinisello Balsamo 2015, pp. 101-104.