SERCOGNANI, Giuseppe
– Nacque il 4 maggio 1781 a Faenza da Carlo e da Pasqua Ballelli, entrambi appartenenti a famiglie borghesi benestanti.
Primogenito e unico figlio maschio della coppia (dopo di lui nacquero tre femmine fra il 1783 e il 1789), Giuseppe, che quando fu battezzato ricevette anche i nomi di Antonio e Gaetano, visse nell’ombra, ricevendo un’educazione non particolarmente sofisticata, fino al maggio del 1797, quando, in una Faenza sotto il controllo francese, la Municipalità promosse l’arruolamento dei cittadini in una coorte istituita dall’Amministrazione centrale dell’Emilia e comandata dal faentino Filippo Severoli.
Allora – recita la lapide vergata da Saverio Regoli nel 1896 – «a soli sedici anni / seguì le insegne vittrici del primo Bonaparte / e in Italia in Allemagna in Ispagna / strenuamente combattendo / onori e fama si procacciò» (Zama, 1931, 1976, p. 16).
In effetti, la carriera militare di Sercognani fu piuttosto rapida, anche se inizialmente limitata alla bassa forza: arruolato quale soldato il 3 giugno, fu promosso caporale tre giorni più tardi; un premio concesso forse alla sua condizione sociale oppure alla sua statura: era alto cinque piedi, tre pollici e nove linee, vale a dire 172 cm, all’epoca una misura ragguardevole. Di seguito, divenne caporal furiere il 28 giugno e sergente il 10 settembre. Quando il primo battaglione della coorte Emilia, al quale apparteneva Sercognani, fu inglobato nella quinta legione dell’esercito cisalpino, fu promosso, il 23 gennaio 1798, sergente maggiore. Il 21 marzo 1799 passò con lo stesso grado nella quarta compagnia della prima mezza brigata di fanteria leggera. Prese parte alla difesa di Mantova assediata dagli austro-russi e poi riuscì a riparare in Francia insieme alle truppe, che avevano presidiato la città-fortezza.
Quando Napoleone Bonaparte primo console della Repubblica francese preparò, nell’inverno 1799-1800, l’offensiva che gli avrebbe permesso di riconquistare l’Italia, Sercognani fu incorporato, sempre in qualità di sergente maggiore, nella quarta compagnia del primo battaglione della Legione italica comandata da Giuseppe Lechi; una Legione destinata ad affiancare l’offensiva di Bonaparte sul lato sinistro del suo schieramento, recitando quindi un ruolo simile a quello che nel 1859 sarebbe stato garantito da Giuseppe Garibaldi con i Cacciatori delle Alpi all’esercito franco-sardo.
Sercognani si distinse particolarmente nei combattimenti di Varallo (28 maggio 1800) e dell’Adda (7 giugno), ma la sua condotta sui campi di battaglia fu apprezzata soprattutto in occasione della presa di Trento (7 gennaio 1801), quando esibì, come scrisse il giorno successivo il comandante della sua brigata Teodoro Lechi al fratello Giuseppe, «bravure», «bonne conduite» e «courage», tutte qualità che lo indussero, una volta sommate all’«ancienneté» (Zama, 1931, 1976, p. 26), a proporne la promozione sul campo ad aiutante sottufficiale. Sercognani prese poi parte alla spedizione contro il Regno di Napoli, che tuttavia fu presto interrotta in febbraio da un armistizio e poi in marzo da una pace stipulata a Firenze.
La successiva campagna di guerra di Sercognani fu quella del 1803 sempre contro il re di Napoli, un conflitto che lo portò a combattere in Abruzzo e in Calabria in operazioni antiguerriglia. L’8 luglio di quell’anno fu promosso sottotenente. In quell’occasione fece presente, in una petizione al ministro della Guerra, che le sue scarse risorse finanziarie non gli permettevano di mettersi «in rango di tenuta convenevole e necessaria ad un ufficiale» (Zama, 1931, 1976, p. 54).
Agli inizi del 1805 Sercognani era sottotenente nella seconda compagnia granatieri del secondo reggimento di linea, che faceva parte dell’armata d’Italia comandata da Andrea Masséna. Il 30 ottobre prese parte alla battaglia di Caldiero, distinguendosi alla testa dei suoi granatieri. Nel 1806 l’armata di Masséna fu inviata alla conquista del Regno di Napoli. Sercognani, che il 5 aprile era stato promosso tenente, prese parte agli assedi di Civitella del Tronto e di Gaeta, che capitolarono, rispettivamente, il 19 maggio e il 18 luglio. Dopo la caduta di Civitella Sercognani comandò una colonna mobile, che fu incaricata di debellare il brigantaggio nelle province dell’Aquila e di Chieti. Il 22 giugno 1808 fu promosso capitano aiutante maggiore. Nella primavera del 1809 fu trasferito nelle isole Ionie. In luglio ritornò nel Napoletano, ma in agosto fu inviato, su sua richiesta, in Germania. In ottobre Sercognani, che all’epoca comandava la prima compagnia del quarto battaglione del secondo reggimento di linea, era in Austria, dove si erano accesi parecchi focolai di rivolta a favore degli Asburgo: il 16 ottobre si distinse particolarmente, opponendosi al tentativo degli insorti di occupare la piazzaforte di Neustadt. In Carniola subì una ferita assai grave al braccio destro, che lo costrinse a una lunga convalescenza.
Il 5 dicembre 1810 fu promosso capo di battaglione e destinato al fronte spagnolo, dove combatté dall’estate del 1811 alla fine del 1813. Inquadrato nel reggimento del colonnello Francesco Teodoro Arese Lucini (brigata Luigi Mazzucchelli, divisione Solaroli), si distinse nella battaglia di Almunia (Aragona) del 7 novembre 1811, tanto da essere elogiato da Mazzucchelli per essersi «montré vaillant et intelligent comme toujours» (Zama, 1931, 1976, p. 76). Tra la fine di dicembre e i primi giorni del gennaio 1812 prese parte all’assedio di Valenza. Il 10 marzo fu decorato con la croce di cavaliere della Legion d’onore. Il 25 dicembre fu alla seconda battaglia di Almunia, che si concluse con l’occupazione della cittadina allora in mano degli spagnoli. Nel 1813 Sercognani continuò a distinguersi tanto che Severoli lo propose per la decorazione della corona di ferro, che tuttavia non gli fu concessa. Il 17 gennaio 1814, quando oramai era rientrato in Italia, fu promosso maggiore. Destinato alla fortezza di Mantova, fu costretto da una malattia in ospedale e non poté prendere parte ai combattimenti, che precedettero la caduta del Regno napoleonico d’Italia. Dopo la fine di quest’ultimo transitò quale maggiore di fanteria nell’esercito austriaco, che non abbandonò quando l’esercito di Gioacchino Murat scese in campo contro gli Asburgo. Dopo la restaurazione pontificia fu pensionato come reduce e visse nell’ombra, coltivando il suo bonapartismo politico, fino allo scoppio della rivoluzione del 1831 nell’Italia centrale.
Il 5 febbraio di quell’anno Sercognani assunse, in qualità di colonnello, il comando delle guardie nazionali e delle truppe di linea della provincia di Urbino e Pesaro. Il 12 s’impadronì del forte di S. Leo, l’ultima posizione della provincia rimasta in mano pontificia. Nel frattempo, d’intesa con il governo provvisorio delle Provincie unite italiane di Bologna, aveva anche posto l’assedio ad Ancona, autoproclamandosi «Comandante la Vanguardia dell’Armata Nazionale e il Blocco di Ancona» (ibid., p. 172), e aveva cercato di far estendere la rivoluzione ad altre aree delle Marche e all’Umbria. Il 17 Ancona si arrese a Sercognani che, sull’onda del successo, riuscì a sollevare contro i pontifici Recanati, Loreto e Macerata.
Anche se il governo di Bologna e il suo ministro della Guerra, il generale Pier Damiano Armandi, erano contrari al progetto di un’avanzata su Roma, Sercognani, che era stato promosso, nella scia delle sue vittorie, generale di brigata, dichiarò invece il 21 da Macerata di ritenersi «abbastanza forte per continuare la [sua] marcia sulle rive del Tevere» (ibid., p. 207). Il 25 pose il suo quartiere generale a Terni; quel giorno stesso i pontifici furono battuti in una scaramuccia a Magliano Sabino. L’8 marzo Sercognani attaccò con duemila uomini e due cannoni una Rieti fortemente difesa dai pontifici. Tentò di ottenere la resa del presidio, vantandosi di poter contare su tremila uomini e sull’imminente arrivo di altre truppe ad appoggiarlo. Ma il presidio non si arrese e il suo tentativo di conquistare Rieti con le armi fu frustrato da una grande pioggia, che sbandò anche parte delle sue truppe. Conseguentemente la sera decise di ritirarsi a Terni, dove sostò per alcuni giorni in attesa di rinforzi, che non arrivarono mai, anche perché a nord era iniziata l’offensiva austriaca contro il governo di Bologna.
Inviso a quest’ultimo, Sercognani fu formalmente sollevato il 16 marzo dal comando, anche se, di fatto, lo conservò fino al fallimento della rivoluzione. Il 26 marzo la situazione era talmente precipitata che la Vanguardia fu sciolta. Sercognani prese la via dell’esilio. Si recò in Toscana, dove fu dapprima arrestato e poi imbarcato, l’11 aprile, su un brick diretto a Bastia, in Corsica. Da Bastia raggiunse la Provenza e poi Parigi, dove si stabilì e intraprese una vivace polemica con Armandi e altri membri del governo di Bologna circa le responsabilità del fallimento della rivoluzione.
All’opuscolo di Armandi Ma part aux événements importants de l’Italie centrale en 1831 (Parigi 1831), Sercognani replicò con le Memorie sulle ultime commozioni politiche dell’Italia centrale (Macone 1831) e la Risposta del general Sercognani a due ministri estratta dal Corrier Francese del 23 agosto 1831 (Italia 1831). Sercognani, che sopravviveva in condizioni miserabili, coltivò il proposito di andare a combattere in Portogallo con i liberali, ma il progetto non ebbe seguito. I suoi ultimi anni furono quanto mai tristi.
Morì il 9 dicembre 1844, mentre era ricoverato nell’ospedale militare di Versailles.
Il Comune di Faenza, sollecitato da Alfredo Oriani, all’epoca consigliere comunale, ne ricordò la memoria con una lapide, che fu collocata nel 1896-97 sulla facciata della casa natale di Sercognani, in via Mazzini n. 44.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Milano, Ministero della Guerra, Matricole degli ufficiali, cart. 27 (I reggimento di fanteria di linea); Personale, cart. 1864; A. Vannucci, I martiri della libertà italiana dal 1794 al 1848, Milano 1872, pp. 304-308; A. Zanolini, La rivoluzione avvenuta nello Stato romano l’anno 1831, Bologna 1878, passim; P. Zama, La marcia su Roma del 1831. Il generale S., Milano 1931 (II ed. rivista e ampliata Faenza 1976); D. Lanciotti, Il governo delle Provincie unite italiane, 3 febbraio-26 marzo 1831, Roma 1941, ad ind.; P. Pieri, Le società segrete ed i moti degli anni 1820-21 e 1831, Milano 1948, ad ind.; M. Barbieri, La rivoluzione del 1831 tra municipalismo e bonapartismo, in Il Risorgimento, XXXII (1980), 3, pp. 305-340; R. Balzani, Cultura delle armi, eroismo civile e reducismo romantico nella Romagna risorgimentale, in L’antico valore. Genti e terre di Romagna dalle Compagnie di Ventura al Risorgimento, a cura di R. Balzani - S. Masini - G. Rotasso, Bologna 1993, pp. 95-153; R. Piccioni, «Penne filantropiche». Stampa e politica nella rivolta del 1831 nello Stato pontificio, Macerata 2015, pp. 31, 43, 45-47, 75, 260.