SICHEL, Giuseppe
– Nacque a Casaltone di Sorbolo (Parma) il 4 ottobre 1849, figlio di Gaetano, medico, e di Maria Grimaldi.
Esordì nel 1876, come brillante al politeama Alfieri di Genova, accanto a Carlo Lollio. Nel 1877-78 lavorò con Michele Ferrante e poi con la compagnia di Giuseppe Galletti e Achille Dondini (1878-79), poi di nuovo con Lollio; nel 1881 insieme a Gioacchino Fagiuoli, Vincenzo Udina, Achille Tellini e Giovannina Aliprandi e con Adolfo Drago (1882-83). Sempre nel 1883, con Angelo Zoppetti, passò al ruolo di primo brillante. Negli anni successivi lavorò con Giovanni Emanuel (1884), Ermete Novelli (1885), con Andrea Maggi (1886-1890), con Virginia Marini (1891-1893), di nuovo con Emanuel (1894; Rasi, 1897, p. 538).
A partire dal 1895, cominciò a far parte, come socio, di compagnie soprattutto comiche insieme a nomi tra i più noti della scena italiana: Virgilio Talli, Pier Camillo Tovagliari, Cesare Zoppetti, Amerigo Guasti, Armando Falconi, Stanislao Ciarli.
Lo storico e attore Luigi Rasi (1897) ricordò la compagnia di Talli-Sichel-Tovagliari come «una delle più fortunate del nostro tempo, sì per la novità e originalità del repertorio, sì per la spigliatezza e l’affiatamento» (p. 567).
La recitazione di Sichel, difficile da inquadrare, anche per scarsezza di testimonianze, sembra esser stata caratterizzata da variazioni dinamiche, impennate interpretative e singhiozzi espressivi che contrappuntavano le battute. Aveva un fisico slanciato, che le caricature del tempo tendevano a enfatizzare sottolineando le lunghe gambe sottili sotto il corpo esile.
Sichel, durante tutta la sua carriera, si specializzò soprattutto in pochades dei più grandi autori francesi. Sul finire dell’Ottocento in Italia quando si parlava di pochade ci si riferiva a un genere tipicamente francese, simile al vaudeville, però esclusivamente in prosa, privo di arie musicali, con tratti accentuati di commedia d’intrigo, con vicende fondamentalmente erotiche e burlesche, ricco di macchiette, di piccoli colpi di scena, di frenetici intrecci, di entrate e uscite. Sichel ne fu uno dei massimi esponenti in Italia. Si creò una recitazione tutta particolare e molto personale, un misto di eleganza e distacco esteriore da una parte, e di sobbalzi e strappi dall’altra. Di lui si ricorda una certa reticenza a concedersi alle interviste e una spiccata attenzione nel preservare la sua vita privata (Cauda, 1914, p. 119).
Tra i suoi principali successi ricordiamo Zampa legata di Georges Feydeau (compagnia Sichel-Masi-Tovagliari 1897), L’ispettore dei vagoni letto di Alexandre Bisson (compagnia Sichel-Zoppetti 1898), e poi una serie di lavori con la compagnia Sichel-Guasti-Falconi-Russo della quale fu prima attrice comica Emilia Saporetti (Ravenna 1865-Santa Margherita a Montici 1938), moglie di Sichel: Il biglietto d’alloggio di Antony Mars (1901), Meno cinque di Paul Gavaul e Georges Berr (1901), I mariti allegri di Mars e Albert Carré (1902), Largo alle donne di Albin Valabregue e Maurice Hennequin (1902).
Nel 1906-07, su consiglio del grande impresario Adolfo Re Riccardi, formò, insieme ad Amerigo Guasti, Stanislao Ciarli, Ignazio Bracci e Dina Galli, la cosiddetta Compagnia dei cinque, una delle più significative del teatro del primo Novecento italiano. Antonio Gramsci (2000) la definì addirittura l’unica compagnia italiana a «meritare veramente questo nome, poiché presenta organicità di ruoli e graduazioni di capacità, che pur lasciando agio ai princeps di mettere in rilievo le loro doti speciali, non nuoce all’insieme e dà risalto anche alle parti secondarie» (p. 281). Dopo la separazione da Sichel (nel 1909), la Galli-Guasti-Ciarli-Bracci perse forse in parte questa organicità, e fu più convenzionalmente strutturata intorno alla sua grande prima attrice, Dina Galli. Intanto Sichel proseguì, sempre nel ruolo di brillante, il repertorio francese di pochades insieme a Giuseppe Masi e Armando Falconi.
Seppure in maniera non continuativa si dedicò anche al cinema: nell’ottobre del 1914 uscì il film Sichel il cerimonioso (per la Leonardo film di Torino) dove recitava insieme a Bianca Schinini; sempre con lei e per la stessa casa di produzione nel novembre dello stesso anno realizzò I creditori di Sichel, poi, nel 1918, Un dramma di Vittoriano Sardou diretto da Eleuterio Rodolfi insieme a Mercedes Brignone, Mary Cleo Tarlarini e Angelo Vianello.
In teatro, con una scelta di repertorio fortunata e coerente, continuò a formare proprie compagnie durante gli anni successivi, come la Sichel-Rossi-Zucchini-Lotti. Tuttavia, probabilmente la perdita di partner del livello di Galli o di Talli irrigidì un po’ il suo repertorio e la sua comicità. Nel 1916, Gramsci (1980) parlò di Sichel in modo molto diverso da come aveva scritto agli inizi del secolo: «Giuseppe Sichel, rispettabile come qualsiasi altro cittadino di questo mondo. E ciò basta per gli spettatori, i quali sono di buona pasta. Perdonano tutto, non vedono affatto tutto ciò che di meccanico c’è in questa apparente comicità. Si divertono e non cercano di più: passano piacevolmente qualche ora e al teatro non domandano altro. Sichel è l’attore fatto apposta per i pubblici di mediocre levatura. Appiattisce tutto, mediocrizza tutto, anche la banalità, la volgarità della pochade» (p. 809).
Durante la sua serata d’onore al teatro Valle di Roma, il 1° dicembre del 1918 Silvio D’Amico parlò di «faccia funebre di questo teatro brillante». Ma il pubblico «si divertì un mondo a tutti quegl’innocenti equivoci, tra i soliti borghesi benestanti, i soliti cugini in lite per un testamento, le solite ragazze innamorate, il solito procuratore con gli occhiali [...] si divertì soprattutto alla mimica, veramente e insolitamente accurata, deliziosa, che Sichel conservò imperturbabile per tre atti; e che poi riprese ancora nel noto monologo dello smemorato, Un viaggio da... a...» (L’importuno e il distratto, con Sichel, al Valle, in L’idea Nazionale, 1° dicembre 1918, ora in D’Amico, 1994, pp. 173 s.).
Nonostante il fastidio di alcuni critici, e le perplessità di una parte di spettatori verso un genere teatrale così scopertamente di puro intrattenimento, privo di qualsiasi velleità di rinnovamento artistico, il pubblico conservò sempre il suo favore per queste commedie di intrigo, di scambi di persona, per i rivolgimenti rocamboleschi, per i congegni drammaturgici e tecnici che Sichel continuava a portare in scena, con eleganza e con un proprio personalissimo colore.
Questo sicuro favore gli permise di proseguire la carriera di attore brillante di pochades anche negli anni successivi, continuando a offrire al pubblico quei caratteri inconsueti della propria recitazione, fatta di interiezioni impreviste, intonazioni aspre e rotte, di ‘mimica deliziosa’, a cui parve impossibile non affezionarsi.
Abbandonò le scene nel 1922 e morì a Milano il 18 ottobre 1924.
Fonti e Bibl.: L. Rasi, I comici italiani, biografia, bibliografia, iconografia, Firenze 1897, p. 538; E. Boutet, Le cronache teatrali, II, Roma 1900-1901, passim.; G. Cauda, Sulla scena e dietro le quinte; figure, tipi, aneddoti, impressioni, confronti, indiscretezze, curiosità, papere, Chieri 1914, pp. 118-121; G. Pastina, G. S., in Enciclopedia dello spettacolo, VIII, Roma 1961, p. 1962; S. Tofano, Il teatro all’antica italiana, Milano 1965, ad ind.; A. Gramsci, Cronache torinesi 1913-1917, a cura di S. Caprioglio, Torino 1980, pp. 808 s.; La società teatrale in Italia fra Otto e Novecento. Lettere ad Alfredo Testoni, a cura di P.D. Giovanelli, Roma 1984, passim; S. D’Amico, La vita del teatro. Cronache, polemiche e note varie, I, 1914-1921. Gli anni di guerra e della crisi, Roma 1994, p. 168; A. Gramsci, Letteratura e vita nazionale, Roma 2000 (1ª ed. 1950), p. 281.