SPERANZINI, Giuseppe
SPERANZINI, Giuseppe. – Nacque a Pesaro il 26 settembre 1889, figlio di Ladislao, bracciante socialista, e di Emilia Baldelli, fruttivendola.
Rimasto orfano di padre all’età di 6 anni, si iscrisse in seminario nella città natale. Terminati gli studi, partecipò alla IV Settimana sociale dell’Unione cattolica popolare del settembre 1909, in cui cominciò a sviluppare l’idea di una necessità di impegno sociale e politico alla luce dell’insegnamento della Chiesa. Nel 1910 si trasferì con la madre a Cremona, dove lavorò come giornalista e ottenne presto posizioni importanti all’interno dell’ambiente sindacale, divenendo dirigente dell’Ufficio del lavoro nella zona del medio e alto Cremonese e, soprattutto, direttore del periodico sindacale L’Azione, punto di riferimento per i contadini a salario fisso di orientamento cattolico. Conobbe Guido Miglioli, di cui divenne stretto collaboratore, sostenendone apertamente la candidatura alle elezioni politiche del 1913 e condividendone le posizioni in merito alla difesa dei salari e al progetto di redistribuzione della terra. Dalle pagine del giornale, che diresse fino all’agosto del 1917, sostenne inizialmente l’azione del governo italiano in Libia, per poi spostarsi su posizioni rigidamente neutraliste allo scoppio della prima guerra mondiale sulla base delle indicazioni del magistero di Benedetto XV e del suo impegno a favore delle classi contadine.
Il 31 gennaio 1915 sposò Maria Maddalena Ferrero.
Entrò nel comitato centrale della neonata Federazione italiana lavoratori agricoli (FILA) nel novembre 1917. Si distinse sia per l’estro polemico contro le organizzazioni socialiste sia per l’impegno organizzativo, in una situazione che – dopo l’esclusione dalla convenzione di Soresina del 17 settembre 1917 – vedeva le leghe bianche poste in una condizione di semi-clandestinità e pressoché prive di rappresentanza.
Nel corso del 1918, abbandonata la direzione del giornale per dedicarsi pienamente all’attività sindacale, partecipò all’organizzazione delle agitazioni primaverili per l’aumento dei salari venendo consacrato a sindacalista di primo piano nelle leghe bianche lombarde durante lo sciopero cominciato il 1° novembre (dopo il quale subì anche un arresto), che portò alla stipula di un contratto più vantaggioso per i contadini e, soprattutto, un potenziamento della Federazione cattolica. Forte di questo successo, fu assegnato all’Ufficio del lavoro di Isola della Scala, nel veronese, dove si impegnò nella stesura di una piattaforma per un contratto agrario unico per la provincia, anche qui in aspra concorrenza con la più consolidata Federterra socialista.
Dopo la fondazione del Partito popolare italiano (PPI) seguì Miglioli nella nuova organizzazione, accentuando il suo impegno politico prima nel corso delle elezioni del novembre 1919 e poi, dal dicembre, dirigendo il periodico Conquista popolare. Nella rivista cercò di dare una più completa definizione politica alla sinistra del partito che si organizzava tra Verona, Cremona e Bergamo: s’impegnò per la diffusione delle idee per il passaggio della ‘terra ai contadini’, con la diffusione del contratto d’affitto e della piccola proprietà su scala nazionale, polemizzando apertamente con le prospettive di riforma segnate in senso produttivistico che venivano proposte da don Luigi Sturzo e dai suoi collaboratori. Giudicò anche in maniera critica la costituzione, ritenuta frettolosa, della Confederazione italiana lavoratori (CIL), preferendo una più forte autonomia delle singole federazioni dall’organizzazione centrale come dal partito e dalle gerarchie ecclesiastiche. Più in generale, la rivista si proponeva di far conoscere su scala più ampia le prospettive dell’‘estrema’, nel tentativo di delineare una più complessiva alternativa alla leadership di Sturzo e alla destra moderata del partito, su temi di politica interna ed estera che significativamente saranno ripresi più avanti nell’attività intellettuale del sindacalista.
Fu uno dei principali relatori al convegno precongressuale organizzato a Bergamo il 19 marzo 1920 da Romano Cocchi, in cui si preparò il tentativo di conquista del partito da parte della sinistra, da ottenere soprattutto attraverso la costituzione di gruppi di avanguardia, organizzazioni che avrebbero dovuto raggiungere la base dei lavoratori cattolici, e dichiarò di assumersi la responsabilità davanti alla direzione del partito che aveva duramente condannato quello che riteneva un tentativo di frazionismo. In vista del congresso di Napoli (8-11 aprile 1920) accentuò la sua polemica contro la destra del partito, accusata di essere asservita agli interessi della finanza cattolica e di non voler perseguire un radicale processo di riscatto delle classi lavoratrici. Prendendo la parola nel dibattito congressuale si scagliò violentemente contro Filippo Meda – minacciandolo di espulsione dal partito in caso di vittoria dell’‘estrema’ – e si oppose alla partecipazione al governo con i liberali, preferendo, come già da tempo affermava sulle pagine di Conquista popolare, una collaborazione di classe con i socialisti che partisse dall’incontro alla base delle organizzazioni dei lavoratori. In questa assise fu uno dei sette membri della sinistra a essere eletto consigliere nazionale, certificando così il suo ruolo all’interno del gruppo di minoranza guidato da Miglioli, che pure aveva visto sconfitte le sue posizioni in merito alla riforma agraria con la bocciatura dell’ordine del giorno Osio-Molinari per il passaggio della terra dai proprietari ai coltivatori diretti.
Nel giugno del 1920 gli venne sottratta la paternità della figlia Viviana, concepita fuori dal matrimonio nel corso del 1916.
Tra l’autunno e l’inverno del 1920 vennero accentuandosi i contrasti nella sezione locale del partito che portarono alla sua espulsione. Nel definire la strategia per le lotte contadine del veronese si scontrò infatti con Giovanni Uberti, ottenendo una vittoria di misura della sua posizione più radicale per un passaggio immediato ai contratti d’affitto che gli valse la nomina a presidente della Federazione provinciale mezzadri e piccoli affittuari. A fine novembre, dopo che si fu impossessato senza autorizzazione dei registri della locale Unione del lavoro – accusata di aver sottratto dei fondi alla Federazione – fu espulso dagli organi provinciali del partito. Continuò nel frattempo le trattative con gli agrari a Verona accettando, nel gennaio del 1921, una soluzione di compromesso che, smorzando i toni rispetto alle dichiarazioni iniziali, scontentò il Consiglio delle leghe provinciali, portando alle sue dimissioni dalla presidenza della Federazione. Poco tempo dopo, il 16 febbraio, la direzione del partito approvò l’espulsione di Speranzini, confermata senza alcun dibattito dalla riunione del consiglio nazionale di marzo.
Il mese successivo vide la luce il Partito cristiano del lavoro (PCL), dopo un convegno tenutosi a Palestrina il 3 e il 4 aprile 1921. Romano Cocchi, anch’egli espulso dal PPI, fu eletto segretario generale, mentre Speranzini entrò nel comitato direttivo e divenne direttore del periodico di partito Conquista sindacale. Presentatasi alle elezioni del maggio, questa nuova forza politica non ottenne neanche un seggio, principalmente per la decisione presa da Miglioli e dai vecchi collaboratori della sinistra di non abbandonare il progetto di Sturzo, rendendo assai esigua la base elettorale di Cocchi e Speranzini. Su questo punto, il sindacalista polemizzò apertamente, criticando la firma del ‘Lodo Bianchi’ del 10 agosto 1921 che, pur costituendo per Miglioli e il sindacalismo bianco cremonese una vittoria significativa (con il riconoscimento della partecipazione agli utili delle imprese agricole e del diritto di conduzione diretta), veniva ora letta dal suo ex collaboratore come un accordo che non cambiava la sostanza dei rapporti di potere tra proprietari e classi contadine, secondo un’interpretazione che venne anche apprezzata da Palmiro Togliatti sulle pagine di L’Ordine nuovo. Scrisse poi un lungo articolo sulla principale rivista di dibattito interno del PPI, in cui ripercorse la storia delle origini dell’organizzazione, mettendo in evidenza la contraddizione inconciliabile tra le diverse anime che avevano dato vita all’organizzazione e la prevalenza al suo interno di quella corrente moderata e legata agli ambienti finanziari ed ecclesiastici contro cui si era già scagliato in precedenza.
Rifiutando di seguire l’esempio di Cocchi di confluire nel Partito socialista, partecipò, tra la fine del 1922 e l’inizio del 1923, al tentativo di costituire una federazione dei gruppi cattolici esterni al PPI, di cui fu nominato vicepresidente. Il fallimento di questa esperienza, dovuto alle defezioni dell’Unione costituzionale di Carlo Ottavio Cornaggia e del Partito dei contadini di Alessandro Scotti prima della convocazione di un primo congresso, lo portò a concentrarsi in un primo momento sull’attività pubblicistica, scrivendo alcuni articoli per il periodico della Confederazione generale del lavoro (CGL) Battaglie sindacali e collaborando anche con la rivista trevigiana La Battaglia su argomenti di politica estera. In particolare, a partire dal 1923 si convinse del definitivo fallimento dell’esperienza popolare e del tentativo di dare vita a un partito cristiano, pubblicando articoli assai polemici contro Sturzo su riviste clerico-fasciste come Il Momento e affermando pubblicamente l’esigenza, per il mondo cattolico, di ritirarsi dalla politica attiva in favore di un più vasto approfondimento del proprio patrimonio religioso e morale. A conclusione di questo ragionamento, espresse un giudizio apertamente possibilista sulle prospettive del governo fascista, vagheggiando un certo interesse, non più ripreso successivamente, per le teorie corporative e le ipotesi di democrazia sindacale che si esprimevano all’interno del movimento.
Ritiratosi definitivamente a vita privata nel cremonese, visse in ristrettezze economiche per il resto della vita, guadagnandosi da vivere come insegnante privato e con gli scarsi proventi della pubblicazione di alcuni libri di politica estera, critica letteraria e dottrina della Chiesa. Sorvegliato dalla polizia come sospetto antifascista negli anni del regime, riunì attorno a sé un gruppo di giovani cremonesi dopo il 25 luglio 1943, cui impartì delle basi di formazione politica, rifiutando però di intraprendere personalmente la lotta armata. Al referendum del 2 giugno 1946 si espresse a favore della Repubblica, iniziando una breve militanza all’interno del Partito cristiano-sociale, ritirandosi però ben presto a vita privata ancora una volta dopo la sua confluenza nel Partito comunista. Nelle sue ultime pubblicazioni criticò duramente la Democrazia cristiana, ritenendola asservita agli interessi della Chiesa, esprimendo anche sfiducia, come già in passato, sull’efficienza del regime parlamentare.
Morì a Cremona il 28 febbraio 1976.
Opere. Un giovane: passioni e confessioni, Cremona 1913; Un partito e un programma, in Rassegna nazionale, 16 dicembre 1921; La pace di Caino: divulgazioni di politica internazionale, Treviso 1924; La eresia cattolica nella polemica su lo Stato, Torino 1925; La civiltà contemporanea: diagnosi e previsioni, Bologna 1930; Le orecchie di Mida o la cetra d’Apollo?, Bologna 1930; Orientamenti e Lettere italiane del Novecento, Bologna 1930; Catina Andreoli operaia di Cristo (nel quinquennale della morte): santa memoria, Bologna 1931; Poesia e verità: sintesi storiche, Cremona 1935; I quattro pastori, Cremona 1937; La Cometa rossa, Brescia 1950; Con Dante. Introduzione al poema e cento introduzioni ai cento canti, Cremona 1952; Partiti e Parlamento, Cremona 1960; Le regioni: «per il meglio», Cremona 1962; Stefano Francesco Jacini (1853-1953), Cremona, s.d.; Paolo e Francesca e la fatalità, Cremona, s.d.
Fonti e Bibl.: G. De Rossi, I popolari nella XXVI legislatura. Dal Congresso di Napoli alla marcia su Roma, Roma 1923, passim; A. Zanibelli, Le leghe bianche nel cremonese, Roma 1961, passim; A. Fappani, Miglioli e il movimento contadino, Roma 1964, ad ind.; G. De Rosa, Storia del movimento cattolico in Italia, 2, Il Partito popolare italiano, Bari 1966, ad ind.; C. Bellò, «Azione». Antologia di scritti 1905-1922, Roma 1967, passim; Tre cattolici liberali: Alessandro Casati, Tommaso Gallarati Scotti, Stefano Jacini, a cura di A. Pellegrini, Milano 1972, passim; Luigi Sturzo nella storia d’Italia. Atti del Convegno internazionale di studi promosso dall’Assemblea Regionale Siciliana, Roma 1973, passim; M.G. Rossi, S. G., in Il movimento operaio italiano. Dizionario biografico, a cura di F. Andreucci - T. Detti, IV, Roma 1978, pp. 689-692; S. Tramontin, Pluralismo e unità politica dei cattolici in un dibattito e in un’iniziativa del 1922-23, in Civitas, XXXII (1981), 1, pp. 5-17; S. Tramontin, G. S., in Dizionario storico del movimento cattolico in Italia, II, I protagonisti, a cura di F. Trainello - G. Campanini, Genova 1982, pp. 609-611; G Vecchio, I cattolici milanesi e la politica, Milano 1982, ad ind.; Sindacalismo bianco tra guerra dopoguerra e fascismo, a cura di S. Zaninelli, Milano 1982, ad ind.; G. Vecchio, Politica e democrazia nelle riviste popolari (1919-1926), Roma 1988, ad ind.; R. Marchiori, G. S. un cattolico scomodo 1889-1976, tesi di laurea, Università degli studi di Padova, a.a. 2001-02, passim.