STEFANELLI, Giuseppe
– Nacque l’11 giugno 1905 a Firenze da Carlo e da Emilia Albizzi, nipote di Pietro Stefanelli (1835-1919), uno dei fondatori della Società entomologica italiana nel 1869.
L’importanza storica della sua figura è legata alla nascita e allo sviluppo della meccanica agraria in Italia. Laureato in ingegneria nel 1930, fu assistente presso le Università di Firenze e di Pisa dal 1932, libero docente in meccanica agraria dal 1937, incaricato per le costruzioni rurali e la topografia dal 1939 presso le Università di Pisa e Perugia, poi professore ordinario nell’Università di Bologna dal 1939. Fu direttore degli istituti di meccanica agraria nelle Università di Pisa dal 1939 al 1946, di Bologna dal 1946 al 1965 e di Firenze dal 1965 al 1975. Ha lasciato in ogni sede un notevole numero di allievi, tecnici e collaboratori che sono stati a loro volta fermento nello sviluppo delle discipline dell’ingegneria agraria dell’intera Università italiana. Gli oltre 300 lavori pubblicati, molti dei quali di riconosciuta e dichiarata rilevanza internazionale, hanno rappresentato negli anni del dopoguerra un supporto fondamentale alla modernizzazione e alla razionalizzazione della multiforme agricoltura italiana.
Fu forte il legame con l’Accademia dei Georgofili, che si consolidò in un lungo arco di tempo dalla prima ‘storica’ lettura del 5 maggio 1946, quando l’Accademia riprese la sua attività dopo i drammatici eventi dell’ultimo conflitto mondiale. Nominato accademico corrispondente nel 1948, dieci anni dopo (1958) fu nominato accademico ordinario. Entrò a far parte del Consiglio accademico nel 1969 e subito dopo fu eletto vicepresidente. Assunse la presidenza dell’Accademia nel 1977 e fu eletto per tre mandati, fino al 1986. Su pressione del suo successore, Franco Scaramuzzi, accettò la carica di segretario agli Atti che mantenne per il resto della sua vita; divenne accademico emerito nel 2000.
Straordinaria è stata la sua carriera universitaria. Nel primo periodo a Pisa, come direttore dell’istituto di meccanica agraria dell’Università dal 1939 al 1946, sviluppò ricerche sull’elettrificazione rurale, sull’aratura funicolare, sulla polverizzazione di liquidi (irrigazione e irrorazione), sulle prove sui primi trattori nazionali, sul rapporto fra motrice-attrezzi-terreno, sui motori a combustione interna (dai semidiesel ai motori a testa calda ai diesel veloci). Nel 1946 assunse la direzione dell’istituto di meccanica agraria dell’Università di Bologna insieme agli altri istituti delle discipline dell’ingegneria agraria, quali le costruzioni rurali e la topografia, l’idraulica agraria e la meccanica agraria.
Precursori e citati a livello internazionale furono gli studi teorici sulla dinamica del trattore e il suo rendimento in lavoro, la meccanica del suolo in rapporto agli organi di propulsione, il rapporto fra potenza dei trattori e superficie aziendale. A questi si aggiunsero le prove sui trattori a trazione integrale e su quelli appropriati alle zone collinari, anche sotto l’aspetto della stabilità del pendio. Fondamentali furono poi le ricerche sulle lavorazioni dei terreni argillosi e dei terreni declivi, realizzate con aratri muniti di ripuntatori, con discissori-ripuntatori e con attrezzi a organi rotativi. Tali ricerche riscontrarono l’interesse del ministero dell’Agricoltura che gli affidò azioni di formazione e dimostrazione in Emilia, nelle Marche, in Toscana e in Puglia. I risultati positivi arrivarono a suscitare l’interesse dell’USDA (US Department of Agriculture), che gli finanziò importanti ricerche.
In ogni sede sviluppò innovazione e con la sua sensibilità deontologica per tutti gli aspetti dello scenario produttivo agricolo fu capace di orientarne lo sviluppo, come evidente in alcune sue affermazioni: «un ottimo motore non basta a fare una buona trattrice agricola [...] la potenza utile, oltre che dalle caratteristiche fisico-meccaniche del terreno, dipende dal peso complessivo della macchina, a sua volta influente sulle resistenze all’avanzamento e sugli slittamenti degli organi di propulsione» (Manfredi, in Incontro con il professore Giuseppe Stefanelli..., 2005, p. 302) e anche i costruttori «non si rivolgano all’agricoltura come un temporaneo surrogato di più desiderabile lavoro, ma si dedichino con serietà e continuità alla costruzione di macchine agricole, mettendo in atto le più recenti acquisizioni della tecnica» (p. 306). Orientò così il settore industriale verso una costante attenzione alla realtà delle aziende agricole, ponendo come indispensabile l’approccio integrato con agronomi, ingegneri agrari e istituti sperimentali universitari dei diversi territori.
A Pisa, all’inizio degli anni Novanta, realizzò il Banco UMA (Utenti Macchine Agricole) di orientamento per irrigatori a pioggia (p. 304), che avviò il processo di controllo e certificazione delle macchine. Sempre nel periodo pisano realizzò prototipi per lo scasso dei terreni rocciosi e per lo spurgo dei canali rivestiti. A Bologna promosse studi di avanguardia sull’automazione con lo sviluppo di strumenti elettronici di misura per i rilievi di meccanica agraria (1953), la realizzazione del primo prototipo di macchina radiocomandata (1959) e di un trattore a guida automatica programmata (1960). Durante il periodo fiorentino condusse importanti studi sulla risicoltura presso l’azienda di Casteldipietra e negli anni Settanta sulla potatura e raccolta meccanica in viticoltura e olivicoltura, introducendo importanti miglioramenti nella tecnica colturale e nelle tecnologie.
Pose fra i primi l’attenzione sui problemi umani connessi allo sviluppo della meccanizzazione, cioè quelli della sicurezza degli addetti alle macchine. Partendo dalle statistiche sull’infortunistica in agricoltura, promosse soluzioni migliorative, come i principi di controllo del ribaltamento delle macchine agricole, anche con soluzioni avanzate, come il disassamento trasversale dei trattori. Nella percezione sistemica della meccanica agraria, promosse lo sviluppo dei processi di omologazione di macchine e dispositivi e fondò il primo centro di omologazione a Cadriano (Bologna), nell’ambito dell’azienda didattica e sperimentale della facoltà di agraria di quella Università (Manfredi, in Incontro con il professore Giuseppe Stefanelli..., 2005, p. 305).
Spinse sia collaboratori sia colleghi del settore a impegnarsi nella produzione scientifica e nella divulgazione nel mondo agricolo, con la promozione e partecipazione a numerose iniziative, come prove dimostrative di macchine agricole, concorsi per prototipi in diversi settori, corsi di aggiornamento per operatori. Nella costante attenzione all’efficienza delle innovazioni nel comparto agricolo, introdusse la certificazione delle prestazioni e della funzionalità della macchina a garanzia degli utenti (p. 305), orientando così i costruttori verso un approccio etico, mirato a verificare e mettere a punto l’affidabilità dei loro prodotti.
Nel 1960 partecipò attivamente al piano quinquennale per l’agricoltura e allo sviluppo della meccanizzazione, ponendo l’accento sui concetti di «efficienza e rendimento intesi in senso più vasto», cioè «nuova [...] organizzazione dell’agricoltura, come l’attitudine a dare prodotti di sempre migliore qualità, nella maggiore quantità, nelle condizioni più igieniche, con minor dispendio di energia meccanica e manuale, con minor fatica e minor spesa» (p. 306).
Nel 1961, al trentesimo Convegno dei dottori agronomi su La tecnica nel quadro della politica italiana, pose le basi dell’agricoltura del dopoguerra affermando: «Attraverso la evoluzione della tecnica afferente all’impiego della macchine agricole e la più razionale organizzazione aziendale, verrà delineandosi il nuovo volto dell’agricoltura italiana, rivolta ad una produzione tendenzialmente industriale» (p. 306). Propose nel quadro produttivo agricolo il noleggio conto terzi e la cooperazione per i lavori richiedenti potenti mezzi, spesso troppo scarsamente utilizzati, e caldeggiò «l’incentivazione delle innovazioni con sovvenzioni agli artigiani ricchi di inventiva geniale, con la facilitazione del passaggio dal prodotto-prototipo artigianale al tipo da immettere prima alla prova sperimentale e poi alla sua immissione nell’attività pratica» (p. 306).
Ebbe ben chiaro il lavoro del ricercatore: «Il momento più critico del nostro lavoro è quello di portare a conclusione, in una pubblicazione scientifica, le idee, gli studi e i dati disponibili. Coloro che non riescono a superare tale momento sono destinati a una modesta carriera» (Zoli, in Incontro con il professore Giuseppe Stefanelli..., 2005, p. 309).
Gli sono stati conferiti i premi: Spiga d’oro (Roma, 1963), Torello d’oro Gi&Gi (Roma, 1965), Fondazione Carlo e Giulio Marchi per il progresso agricolo (Firenze, 1972 e 1990), Decennale al merito della tecnica agricola (Foggia, 1979), Targa al merito per la meccanizzazione (Verona, 1987), Fondazione agraria Castelvetri per il progresso dell’agricoltura italiana (Bologna, 1993).
I suoi allievi furono fra i più autorevoli promotori della meccanica agraria in Italia: Sergio Di Ciolo a Pisa, Giorgio Casini Ropa, Pietro Bosi, Gualtiero Baraldi, Luigi Martelli a Bologna, Massimo Zoli, Pier Francesco Galigani e Vanni Giuntoli a Firenze. Ricordato da tutti per la sua tempra di uomo fisicamente forte e longevo, divenne icona della resistenza e della tenacia. Godette di grande rispetto da parte dei giovani allievi, ai quali chiedeva spiegazioni «quasi fosse un neofita» (Di Ciolo, in Incontro con il professore Giuseppe Stefanelli...,2005, p. 299); come ricercatore il suo motto era «studiare per aggiornarsi» e «affrontare il campo» per l’esperienza diretta sul terreno e nelle aziende (Manfredi, ibid., p. 300).
Fu professore emerito delle Università di Firenze, Bologna, Pisa e Perugia, presidente onorario dell’Accademia dei Georgofili, già presidente dell’Associazione italiana di ingegneria agraria, membro di numerose Accademie nazionali (Bologna, Torino, l’Accademia italiana di scienze forestali) e internazionali, come la Société des ingénieurs et techniciens du machinisme agricole (SITMA).
Morì a Firenze il 18 ottobre 2009 alla ragguardevole età di 104 anni.
Sposato con Anna Marchetti il 18 settembre 1933, ebbe cinque figlie, sette nipoti e sei bisnipoti.
Fonti e Bibl.: G. Stefanelli, Indirizzi e studi sulla trattrice agricola in rapporto al terreno, in Atti dell’Accademia dei Georgofili, s. 6, 1944-1946, vol. 10, pp. 1-40; Incontro con il professore G. S. per il suo centesimo compleanno, ibid., s. 8, 2005, vol. 2, t. 2, pp. 289-311 (in partic. S. Di Ciolo, pp. 298-299; E. Manfredi, G. S. a Bologna: lo studioso, il docente, l’uomo, pp. 300-307; M. Zoli, Il periodo fiorentino, pp. 308-310).