TADDEI, Giuseppe
Nacque a Genova il 26 giugno 1916, unico figlio di Paride e di Cecilia Maggi. Ancora bambino intraprese lo studio del canto con una maestra delle scuole popolari da lui frequentate (Giuseppina Lusso), continuando poi a perfezionarsi presso il conservatorio della città natale. Calcò le scene per la prima volta, ancora adolescente, nel Gatto stivalato, fiaba lirico-musicale di Giannina Pallastrelli data al teatro Carlo Felice il 16 aprile 1932. Presentatosi tre anni dopo a un concorso per giovani cantanti lirici indetto dal Teatro Reale dell’Opera di Roma, ottenne una borsa di perfezionamento, suscitando l’interesse del direttore d’orchestra Tullio Serafin, che ne favorì l’esordio ufficiale nel medesimo teatro, sotto la sua direzione, nei panni dell’Araldo del Lohengrin (protagonista Beniamino Gigli) il 26 dicembre 1936. In quest’occasione la stampa lodò la sua ottima prestazione, rilevando l’«incisività della declamazione musicale» e la «dizione chiarissima» (recensione anonima sul Giornale d’Italia del 29 dicembre 1936).
Tra il 1937 e il 1942 il giovane baritono cominciò ad apparire regolarmente sulle scene italiane (nel 1936-1937 partecipò anche al teatro lirico itinerante detto Carro di Tespi) nonché in esecuzioni radiofoniche presso l’EIAR (Ente italiano per le audizioni radiofoniche), alternando parti di secondo piano ad altre più impegnative, spesso a fianco di nomi prestigiosi. Nel 1937 fu Marcello nella Bohème di Puccini a Genova (Politeama), a Roma Amonasro nell’Aida (con Gigli), Germont nella Traviata, l’Araldo in un’esecuzione di Isabeau di Mascagni diretta dal compositore all’EIAR. Nel 1938 impersonò Schaunard nella Bohème pucciniana, Silvano nel Ballo in maschera (entrambe con Gigli), Johann nel Werther (con Tito Schipa), Moralès nella Carmen (con Giacomo Lauri-Volpi) e prese parte alla prima italiana della Donna senz’ombra di Strauss sotto la direzione di Gino Marinuzzi (L’orbo e il Terzo guardiano), accedendo a parti sempre più importanti nelle stagioni successive.
In questi primi anni di carriera dette prova di notevoli capacità interpretative, cimentandosi con opere e stili assai diversi, da Rossini a Wagner, da Verdi alla musica contemporanea. Lo si poté ascoltare, tra le numerose parti affrontate in questo periodo, spesso sulle scene dei teatri romani, nella Lucia di Lammermoor (Enrico Ashton, teatro dell’Opera, stagioni 1939 e 1942), Alberico nel Crepuscolo degli dèi (ivi, 1940), Taltibio nell’Ecuba di Gian Francesco Malipiero (ivi, prima assoluta, 11 gennaio 1941), Renato nel Ballo in maschera, il conte di Luna nel Trovatore (teatro Brancaccio, stagioni 1941 e 1942), Rigoletto ad Ancona e Genova (1941), Paolo Albiani nel Simon Boccanegra (Roma 1941), Rabbi David nell’Amico Fritz di Mascagni (1942, Teatro Nuovo di Spoleto, con Gigli), nonché quale protagonista (Rivière) nella prima romana di Volo di notte di Dallapiccola (10 ottobre 1942). Nel 1941 effettuò il debutto discografico cantando la piccola parte di Fouquier Tinville in una celebre registrazione di Andrea Chénier con Gigli e i complessi della Scala. Nello stesso anno prese parte anche alle rappresentazioni dell’Opera di Roma a Berlino nel quadro degli scambi tra il governo fascista e il Reich, cantando L’italiana in Algeri (Haly, ripreso al Maggio musicale fiorentino dello stesso anno) e La fanciulla del West (Sonora). Nel settembre 1943, in Slovenia, fu catturato dai tedeschi e deportato nel campo di lavoro di Bathorn, al confine con l’Olanda. Qui, nonostante i disagi e le sofferenze subìte, poté continuare a esibirsi in concerti vocali nei campi di prigionieri della Germania settentrionale e a Berlino.
Fuggito da Berlino in Austria alla fine del conflitto, conobbe Herbert von Karajan e si esibì in opere e concerti per le truppe statunitensi. Tra il 1946 e il 1948 si fece apprezzare sulle scene di Graz, Salisburgo e soprattutto Vienna. In quest’ultima città affrontò le parti più importanti del repertorio baritonale italiano, riprendendo Rigoletto, La traviata (entrambi a fianco di Elisabeth Schwarzkopf), Aida, La bohème (Marcello) e aggiungendo al suo repertorio Pagliacci e Tosca. Nel 1947 si fece conoscere anche dal pubblico inglese (recite di Barbiere, Rigoletto e Tosca al Cambridge Theater) e nel 1948 prese parte ad alcune famose rappresentazioni delle Nozze di Figaro al festival di Salisburgo sotto la direzione di Karajan, in un allestimento di Oscar Fritz Schuh che fu ripreso nello stesso anno anche alla Scala.
In quella stessa stagione, a Milano, fu anche Gérard nell’Andrea Chénier (con Renata Tebaldi) e Scarpia in Tosca, tornando regolarmente sulla scena scaligera fino al 1951 (Papageno nel Flauto magico, direttore Otto Klemperer, Malatesta nel Don Pasquale nel 1950, Leporello nel Don Giovanni, direzione e regìa di Karajan, nel 1951), poi più sporadicamente (Chénier nel 1955 con Maria Callas, nuovamente Papageno con Karajan nello stesso anno, Dulcamara nell’Elisir d’amore del 1958). Se le sue interpretazioni mozartiane suscitarono consensi, la critica sollevò qualche riserva per le apparizioni in opere giudicate allora troppo onerose per la sua voce, in particolare in occasione della ripresa di Chénier nel 1951 e in una sfortunata Traviata dello stesso anno con la Tebaldi, direttore Victor de Sabata (Gara, 1996). In questi anni aggiunse inoltre al proprio bagaglio alcuni personaggi destinati a divenire poi dei capisaldi nella sua carriera, quali gli eroi eponimi nel Simon Boccanegra (Trieste, 1949), nel Falstaff (alla RAI nel 1949 e al Comunale di Bologna nel 1950), nel Gianni Schicchi (Genova, 1949), nel Guglielmo Tell (RAI di Torino, 1951), nonché Jago nell’Otello (Trieste, 1950), Michele nel Tabarro (Trieste, 1952) e Jack Rance nella Fanciulla del West (Bergamo, 1952).
Oltre che ai principali paesi europei, negli anni Cinquanta e Sessanta la sua carriera si estese anche alle due Americhe e al Giappone. Apparve a Città del Messico (stagione 1951, Otello con Del Monaco, Aida e La traviata con la Callas), al Colón di Buenos Aires (Falstaff nel 1954, Carmen e Sansone e Dalila con la direzione di Thomas Beecham nel 1958), a Rio de Janeiro (Simon Boccanegra nel 1954, Ernani nel 1955), in diversi teatri statunitensi (Macbeth al War Memorial House di San Francisco nel 1957, L’italiana in Algeri e La traviata alla Civic Opera di Dallas nel 1957 e nel 1958) e a Tōkyō (stagione italiana del 1956). Dalla fine degli anni Quaranta dette avvio anche a un’intensa attività discografica (prima esclusivamente per la Cetra, poi per diverse etichette) e prese parte, spesso da protagonista, a registrazioni di opere complete, in particolare verdiane (Falstaff nel 1949, Ernani nel 1951, Rigoletto nel 1953 coi complessi della RAI di Torino e di Roma, Macbeth nel 1964 diretto da Thomas Schippers) e mozartiane (Figaro nelle Nozze e Leporello nel Don Giovanni diretti da Carlo Maria Giulini nel 1959 e 1960, nonché Guglielmo in Così fan tutte diretto da Karl Böhm nel 1962 per EMI).
A partire dai primi anni Sessanta, oltre che sulle più importanti scene internazionali, tornò quasi ogni anno sulle scene della Staatsoper di Vienna, dove apparve quasi ininterrottamente per trent’anni (fino al 1990) negli spartiti verdiani, mozartiani e pucciniani da lui prediletti, partecipando ad alcuni celebri allestimenti sotto la bacchetta di Karajan, quali Tosca (1961 e 1962, affidata negli stessi anni anche al disco), Otello e La bohème (1963). Pur ormai affermatosi nei titoli più popolari del melodramma romantico e verista, in questi anni tornò all’occasione anche a Wagner (fu un apprezzato Hans Sachs nei Maestri cantori di Norimberga a Bologna nel 1958 e a Roma nel 1962, nell’Olandese volante a Catania nel 1970) e aggiunse nuovi titoli (Un giorno di regno a Bregenz e Luisa Miller a Vienna nel 1974) a un repertorio che arrivò infine a totalizzare oltre cento opere. Un autentico trionfo gli fu tributato dal pubblico e dalla critica in occasione delle recite di Falstaff al festival di Salisburgo sotto la direzione di Karajan nell’estate 1981 (consegnate poi al disco) e soprattutto in occasione del debutto, quasi settantenne, nella stessa parte al Metropolitan di New York nel 1985. Continuò ad apparire in esibizioni concertistiche fino alla fine degli anni Novanta e nel 2003 partecipò ancora, nella piccola parte di Benoît, ad alcune recite della Bohème di Puccini all’Opera di Roma. Morì a Roma il 2 giugno 2010.
Con Tito Gobbi ed Ettore Bastianini, Taddei è da annoverare tra i maggiori baritoni italiani del dopoguerra, ma se fu forse inferiore al primo per originalità interpretativa e al secondo per squillo e potenza, fu superiore a entrambi per l’ampia paletta espressiva che gli permise, grazie a un più sicuro controllo delle mezzevoci, di rendere piena giustizia a personaggi complessi quali Rigoletto, Macbeth, Boccanegra e a risolvere in modo più fine e sfaccettato (sempre sul piano vocale) figure come Tonio nei Pagliacci e Scarpia. In possesso di uno strumento vocale di bellissima qualità, sostenuto da una tecnica assai salda (come comprova l’eccezionale longevità della carriera) e da una capacità di scolpire la parola cantata che gli fu unanimemente riconosciuta dalla critica come dote peculiarissima, Taddei fu apprezzato sia nel genere serio sia nel comico, sebbene il colore piuttosto chiaro della voce unito a un accento cordiale e brillante ne facessero l’interprete ideale, più che dei personaggi epici e regali o di certi vilains integrali del melodramma romantico, di parti giocose quali Leporello, il Figaro delle Nozze, Dulcamara, Gianni Schicchi, Falstaff.
Il ricco lascito discografico, disteso su un più di un cinquantennio (dal 1941 al 1992), permette di apprezzare quasi ovunque le finissime qualità del cantante e dell’interprete, con particolare riguardo alle registrazioni effettuate nei primi anni di carriera per la Cetra (soprattutto il Gianni Schicchi del 1949 e il Rigoletto del 1953, quest’ultima da considerare «tra le pietre miliari dell’interpretazione verdiana»; Giudici, 1999), cui vanno aggiunte le più tarde e memorabili prove mozartiane (Don Giovanni, Nozze), verdiane (Macbeth) e le esecuzioni sotto la direzione di Karajan (Tosca, Pagliacci, Falstaff), tutte di livello magistrale.
J.B. Steane, The Grand Tradition: seventy years of singing on record 1900-1970, New York 1974, p. 456; V. Frajese, Dal Costanzi all’Opera. Cronache, recensioni e documenti, III, Roma 1978; J. Kaut, Die Salzburger Festspiele 1920-1981, Wien 1982; C. Marinelli, Opere in disco, Fiesole 1982, ad ind.; G.G. Martini, G. T., in Musica, n. 31 (dicembre 1983), pp. 400-403; R. Celletti, Il teatro d’opera in disco, Milano 1988 (2a ed.), passim; E. Gara, Orfeo minore. Viaggio nel mondo dell’opera. Scritti 1910-1974, a cura di M. Boagno, Parma 1996, p. 319; E. Giudici, L’opera in CD e in video, Milano 1999, p. 1466; G. T. - P. Launek, Ich, Falstaff. Erinnerungen, Wien 2006 (autobiografia, con cronologia completa della carriera); S. Hastings, G. T. L’ultima intervista, in Musica, n. 218 (luglio-agosto 2010), pp. 42-46; J. Kesting, Die großen Sänger, IV, Kassel 2010, pp. 1610 s.