GARGANI, Giuseppe Torquato
Figlio di Giuseppe, nacque a Firenze il 12 febbr. 1834 e studiò alla scuola dei padri scolopi di S. Giovannino. Qui, sotto il comune magistero di padre G. Barsottini, strinse solida e feconda amicizia con E. Nencioni e G. Carducci. Insieme con loro e altri studenti di retorica dette vita nel 1852 a una sorta di accademia, che si chiamò dei Filomusi e si dilettò di esercitazioni poetiche e letterarie. Di indole ribelle, il G. ne fu bandito per indisciplina all'inizio del 1853 e fu per questo severamente rimproverato dal Carducci, ma non cessò di coltivare la propria passione per gli studi filologici e per la creazione poetica. Sul finire di quell'anno, incoraggiato anche dal lusinghiero giudizio che ne diede proprio l'amico Carducci, pubblicò infatti a Firenze, per i tipi di G.B. Campolmi, una prima raccolta di Poesie. Sempre nel 1853, mentre il Carducci vinceva il concorso per entrare alla Scuola normale superiore di Pisa, il G. si recò a Faenza, dove trovò impiego come istitutore privato presso il conte P. Laderchi, su raccomandazione di P. Thouar, fondatore e direttore del periodico Letture di famiglia, cui il G. collaborò. Per tale rivista, tra l'altro, nel 1854 il G. curò l'edizione del Libro fiesolano, una cronaca volgare del XIV secolo (rist. anche in volume, Firenze 1855).
Letteralmente infatuato di Dante, delle cui opere si era nutrito negli anni precedenti, rese subito visita alla tomba del poeta in Ravenna e quando vide lo stato di abbandono e di trascuratezza nel quale essa giaceva ne scrisse amareggiato al Carducci: "Quella tomba dovrebbe essere per la nazione cosa sacra. […] Tutte le nazioni fanno a gara in onorare le loro celebrità, solo questa Italia vecchia oziosa e lenta, quasi che si sia straccata di tenere il primato morale, lo dimentica" (Sorbelli, p. 1).
Questa lettera appare rivelatrice di un tratto caratterizzante della breve esistenza del G.: il suo patriottismo, un profondo sentimento di fede nella nazione italiana, che scaturiva dall'amore per Dante e per tutta la letteratura nazionale. Il suo fu un "nazionalismo portato all'eccesso" (Giosue Carducci e G.T. G., p. 259), che a sua volta si riverberò sui gusti letterari e fu all'origine delle polemiche "pedantesche" della metà degli anni Cinquanta, alle quali il G. deve la propria notorietà.
La descrizione più efficace e suggestiva dell'evoluzione che subirono le convinzioni del G. in materia di critica letteraria resta quella tracciata dal Carducci nelle sue Risorse di San Miniato al Tedesco. Egli ricorda di averlo "conosciuto a scuola di retorica, ridondante ed esondante di guerrazziana fierezza". Dopo un paio d'anni trascorsi in Romagna, durante i quali si era "convertito a un classicismo rigidamente strocchiano", era tornato a Firenze, dove la frequentazione di G. Chiarini e di O. Targioni Tozzetti aveva fortificato le sue idee con una "cresima leopardiana e giordaniana". "Ma un classico, come s'intendeva allora - sono ancora parole del Carducci - doveva essere anche moderato, molto moderato, in politica; e in questa, almeno quei primi anni", il G. "aveva serbato le memorie e le tradizioni del '49; era un romantico-guerrazziano-mazziniano, arrabbiato, intransigente, antropofago" (pp. 375 s.).
Non deve stupire questa convivenza di classicismo e romanticismo nel pensiero giovanile del G., che non nascose mai la propria ammirazione per A. Manzoni o per certe prose di N. Tommaseo. La dura polemica che il G. e gli altri "amici pedanti" (il Carducci, il Chiarini e il Targioni Tozzetti) avrebbero condotto di lì a breve contro gli scrittori tardoromantici o i cosiddetti "odiernissimi" non prese a pretesto il loro "romanticismo", bensì il fatto che essi "non sembravano rispettare a sufficienza le glorie e le tradizioni italiane, non amare abbastanza Dante e Petrarca e gli altri scrittori del trecento e del cinquecento, per correre dietro al forestierume, e non ai francesi e tedeschi solo, ma agli inglesi, ai russi ecc." (Sorbelli, p. 1). In effetti, specialmente nel G., che del gruppo fu il più chiuso e intransigente, il "patriottismo, l'anticlericalismo, che il Giordani aveva concepito in funzione di un rinnovamento culturale illuministico, tendevano a restare fini a se stessi, oggetto di declamazioni e sparate truculente" (Timpanaro, p. XIV). Il suo nazionalismo culturale fu così esclusivo e totalizzante che l'odio per gli stranieri ricadde sulla loro produzione letteraria, mentre la condanna del romanticismo come forma di dipendenza dalla cultura forestiera lo portò a definire romantici tutti gli scrittori che non gli erano graditi, coloro che più si distaccavano dal Leopardi e dal Giordani, da lui accolti quali sommi modelli per la poesia e per la prosa.
L'atto di battesimo degli "amici pedanti", denominazione che fu coniata proprio dal G., e l'occasione per esplicitare pubblicamente queste posizioni si ebbero fra il 1855 e il '56. L'apparizione di una raccolta di versi di B. Bracci, accompagnata da una lettera di F.D. Guerrazzi nella quale lo scrittore livornese invitava a trarre ispirazione dalla grande poesia moderna d'Oltralpe, suscitò la sdegnata reazione del gruppo, a nome del quale il G. stese la celebre e graffiante "diceria", Di Braccio Bracci e degli altri poeti nostri odiernissimi. Pubblicata a Firenze nel luglio 1856 e accolta da un coro pressoché unanime di critiche, che non di rado sfociarono nei confronti del G. nel vero e proprio dileggio e nello scherno (uno dei critici più severi e corrosivi fu il giovane F. Martini, che più tardi nelle sue Confessioni e ricordi lo avrebbe definito un "pedante arcigno", un "barbassore intollerante ed intollerabile"), fu seguita nel novembre di quell'anno da una replica del G. (che segnò in pratica anche l'uscita di scena del cenacolo letterario fiorentino), la Giunta alla derrata. Ai poeti nostri odiernissimi e lor difensori. Gli amici pedanti ai giornalisti fiorentini. Risposta di G.T. Gargani commentata dagli amici pedanti. Divenute assai rare, la "diceria" Di Braccio Bracci e la Giunta alla derrata furono successivamente ristampate a cura di C. Pellegrini (Napoli 1915).
Nel 1857 il G. tornò al suo lavoro di precettore, questa volta a Montegemoli, vicino Volterra, presso la famiglia Pietramellara, e nel 1859, allo scoppio della seconda guerra di indipendenza, decise di partire volontario, dando prova di notevole coerenza fra le convinzioni maturate in campo letterario e le proprie posizioni politiche. E l'intransigenza sul terreno degli ideali dimostrata anche in questa circostanza (scrisse al governo provvisorio toscano chiedendo la facoltà del voto politico anche per le milizie) gli valse l'arresto e una detenzione di trenta giorni.
Dopo essere accorso anche al seguito di Garibaldi nel 1860, nel novembre di quell'anno, indebolito e minato dalla malattia, accettò il posto di maestro di lingua latina nel ginnasio di Faenza diretto da don L. Bolognini. A Faenza, dove il G. fu animatore di un piccolo cenacolo letterario cui si univa sovente anche il Carducci, pubblicò nel 1861 la sua seconda e ultima raccolta di Versi (dieci sonetti, scritti a Montegemoli fra il 1857 e il '58, un idillio e due canzoni), stampata peraltro in soli cento esemplari. Sempre nel 1861 venne nominato professore di lettere greche e latine nel locale liceo.
Il G. morì a Faenza il 29 marzo 1862, mentre era impegnato nelle ricerche per uno studio sulle origini della tradizione romanzesca in Italia.
Il Carducci, che gli fu vicino fino agli ultimi istanti di vita, dettò un commosso necrologio per il giornale fiorentino Le Veglie letterarie, apparso l'8 maggio 1862, e, oltre alle pagine già citate delle Risorse di San Miniato, gli dedicò più tardi alcuni toccanti versi della lirica Congedo (compresa nella raccolta Levia gravia).
Fonti e Bibl.: L'archivio del G. e di altri membri della sua famiglia si conserva presso la Biblioteca nazionale di Firenze (Carteggi vari, b. 479 e in altri fondi manoscritti). D. Manetti, Lettera di G. del 15-7-1853, in Giornale d'Italia, 24 febbr. 1907; Id., Poesia inedita del G., ibid., 16 febbr. 1916; S. Morpurgo, Questi fu tal nella sua vita nova (con tre lettere inedite di Carducci al G.), in Il Marzocco, 24 febbr. 1907, pp. 2 s.; G. Carducci, Ricordo di T. G., Firenze 1862; Id., Le risorse di San Miniato al Tedesco, in Id., Confessioni e battaglie, s. 2, Roma 1883, pp. 364-371; G. Chiarini, Memorie della vita di G. Carducci, Firenze 1903, passim; A. Messeri, Da un carteggio ined. di G. Carducci, Bologna 1907, pp. 5-10; F. Martini, Confessioni e ricordi: Firenze granducale, Firenze 1922, pp. 98-101; A. Sorbelli, Gli amici del Carducci, I, G.T. G., in Il Marzocco, 1° giugno 1924, p. 1; Giosue Carducci e G.T. G., a cura di L. Pescetti, in Pegaso, IV (1932), n. 3, pp. 257-278; A. Evangelisti, Giosue Carducci (1835-1907). Saggi storico-letterari, Bologna 1934, pp. 59 ss.; G. Fatini, Carducci giovane (1835-1860), Bologna 1939, passim; B. Cicognani, L'età favolosa, Milano 1940, pp. 47-72 e passim; M. Parenti, Gli amici pedanti visti da un bibliofilo, Firenze 1950, passim; B. Croce, La letteratura della nuova Italia, V, Bari 1957, p. 205; S. Timpanaro, Presentazione a P. Giordani, Scritti, a cura di G. Chiarini, Firenze 1961, pp. XII-XV.