TOSCANELLI, Giuseppe
– Nacque a Pisa il 31 gennaio 1828 da Giovanni Battista e da Angiola Cipriani.
La famiglia, originaria del Canton Ticino, dal XVIII secolo si era stabilita definitivamente a Pisa, dove avviò un’impresa edile che ben presto consentì l’accumulo di un’ingente fortuna e un’altrettanto rapida ascesa sociale. Desiderosi di trasformarsi in grandi proprietari di beni fondiari, agli inizi del XIX secolo i Toscanelli investirono i proventi dell’attività edile nell’acquisto di una tenuta con fattoria chiamata La Cava e situata nella Valdera, tra i comuni di Palaia e Pontedera. L’ulteriore passo avanti nella politica patrimoniale della famiglia fu compiuto nel 1830 con l’acquisto di palazzo Lanfranchi, poi Toscanelli, situato sul lungarno Mediceo. La definitiva ascesa sociale dei Toscanelli, che non avevano mai ricoperto cariche politiche né amministrative, fu legittimata dalla loro iscrizione nel registro delle famiglie nobili pisane nel settembre del 1832. Lo stemma adottato raffigurava una stella d’oro in campo azzurro, sovrastata da un lambello rosso a quattro denti, con sopra tre gigli d’oro, opera dell’antiquario fiorentino Massimiliano Bagni.
Sesto di nove figli, cinque sorelle e quattro fratelli, Giuseppe mosse i suoi primi passi nella scuola di mutuo insegnamento diretta dal poeta Antonio Guadagnoli. Poco incline alla disciplina, fu ritirato dal padre che ricorse per lui a maestri privati. Nel 1845-46, Toscanelli si iscrisse alla facoltà di scienze matematiche dell’Università di Pisa, dove entrò in contatto con gli elementi più liberali della comunità studentesca pisana, tra i quali ben presto si distinse come uno dei più caldi e impulsivi. Nel 1847 fu tra i promotori delle celebrazioni a favore del primo anniversario dell’elezione di papa Pio IX, e poco dopo si unì agli studenti che manifestavano contro la cessione di Pontremoli al Ducato di Parma, e per questo fu più volte segnalato dalla polizia come meritevole di misure repressive.
Allontanato per un breve periodo dall’Università, per volontà del padre, che lo relegò in una villa di campagna, Toscanelli tornò a farsi notare dalle autorità di polizia nel gennaio del 1848 per aver sostenuto l’insurrezione della piazza livornese guidata da Francesco Domenico Guerrazzi contro la politica del governo granducale, giudicata troppo filoaustriaca. Ma il suo rientro nelle aule universitarie fu presto interrotto, e questa volta definitivamente, a seguito di una goliardata di cui si era reso protagonista nei riguardi del professor Ottaviano Mossotti, che gli costò l’espulsione dall’ateneo pisano e un soggiorno forzato in Corsica, dove il padre lo costrinse a rimanere due mesi.
Rientrato a Pisa alla vigilia della prima guerra di indipendenza, Toscanelli aderì con lo slancio consueto alla formazione del battaglione universitario e, nonostante la recente espulsione dal corpo studentesco, si aggregò alla spedizione assieme al fratello Domenico. Nonostante i tentativi di intercessione del padre presso i docenti a capo del battaglione, nel tentativo di far recedere il figlio dal proseguire sui campi di battaglia, Toscanelli continuò la sua avanzata con il corpo dei volontari pisani. Fu protagonista di diverse intemperanze e varie insubordinazioni nei confronti della disciplina militare, che gli procurarono più volte l’arresto, fino alla decisione di abbandonare il corpo toscano appena prima della battaglia di Curtatone. Senza aver ancora partecipato direttamente ad alcun evento bellico, si arruolò nelle milizie volontarie romane guidate dal comandante Livio Zambeccari, in tempo per assistere alla capitolazione di Vicenza. Trasferitosi a Venezia, ormai unica città del Veneto a opporre resistenza alle truppe austriache del maresciallo Johann Radetzky, Toscanelli prese parte alle operazioni di difesa fino alla definitiva resa della città lagunare. Il 27 agosto 1849, per l’impossibilità di rientrare in Toscana, dove nel frattempo si era realizzata la seconda restaurazione lorenese, lasciò Venezia per andare esule a Torino, con l’intenzione di arruolarsi nell’esercito sardo. Qui si iscrisse nuovamente all’Università, e prese a frequentare i numerosi esuli che erano nel frattempo confluiti nella capitale sabauda dopo il fallimento della rivoluzione del 1848.
Nell’aprile del 1850 fu ammesso a fare ritorno nel Granducato, e si iscrisse nuovamente all’Università di Pisa, stavolta come studente di scienze naturali. Tuttavia, l’anno successivo fu definitivamente espulso a seguito di un duello, e non concluse mai gli studi.
Un ulteriore tassello nell’ascesa sociale della famiglia fu raggiunto con l’iscrizione di Toscanelli all’Ordine dei cavalieri di Santo Stefano. Il 22 novembre 1854, infatti, indossò l’abito cavalleresco con la gran croce di priore, durante una cerimonia che si svolse nella cappella di famiglia, a villa La Cava, in località Pontedera.
Negli stessi giorni, anche grazie alla regìa della sorella Emilia, unita in matrimonio a Ubaldino Peruzzi dal settembre del 1850, e animatrice di uno dei salotti fiorentini più importanti del tempo, Toscanelli si fidanzò con l’ultima erede di un’antica casata di patrizi fiorentini, Vittoria Altoviti Avila. A pochi giorni di distanza dalla cerimonia di iscrizione all’Ordine, il 2 dicembre 1854, i due convolarono a nozze. Dal loro matrimonio nacquero Giovanni Battista, detto Bista o Bistino, Angela, detta Angelina, e Nello (1864-1937), futuro deputato di Pontedera dal 1909 al 1919.
Negli anni precedenti il 1859, Toscanelli fu introdotto negli ambienti politici torinesi grazie a Francesco De Sanctis, che lo presentò al conte Camillo Benso di Cavour, e tramite il cognato Peruzzi in quelli toscani, dove divenne intimo di Bettino Ricasoli.
Sopraggiunta la fuga dei Lorena da Firenze e gli avvenimenti della seconda guerra d’indipendenza nell’aprile del 1859, Toscanelli si distinse come uno dei principali rappresentanti del partito liberale a Pisa, dove fu nominato membro del Consiglio di prefettura incaricato di mantenere l’ordine dal governo provvisorio toscano. Tra i candidati per l’Assemblea toscana da eleggersi il 7 agosto 1859, si presentò con un programma antilorenese, illustrato nel breve opuscolo elettorale Parole di Giuseppe Toscanelli già primo tenente d’artiglieria a Venezia (Pisa 1859). Tuttavia, era ancora incerto se appoggiare l’immediata unione della Toscana al Piemonte o la costituzione di un regno separato sotto un nuovo principe, rinviando così la questione della fusione immediata con il Regno sabaudo. Accusato di scarsa chiarezza politica dai suoi avversari, e deluso per la mancata elezione, affidò il suo rammarico a un pamphlet polemico (Pensieri di Giuseppe Toscanelli dedicati ai rappresentanti del popolo toscano convocati per l’11 agosto 1859, Pisa 1859) che sanciva, di fatto, una prima divisione all’interno dei moderati pisani capeggiati da Rinaldo Ruschi. Dopo l’armistizio di Villafranca, affermatosi il governo guidato da Ricasoli, Toscanelli fu incaricato dallo stesso barone, nonché ministro degli Interni, di organizzare la guardia nazionale nella città di Pisa, di cui accettò il comando con il grado di maggiore.
Sempre su impulso del ministro Ricasoli, spettò a lui il mantenimento dell’ordine nel Compartimento pisano durante le consultazioni plebiscitarie per l’unione della Toscana al Regno d’Italia, nelle giornate dell’11 e 12 marzo 1860.
Informato della spedizione dei Mille da Giuseppe Sirtori, suo compagno d’armi a Venezia, inviò a sostegno del generale Giuseppe Garibaldi e dei suoi volontari un generoso finanziamento di 20.000 lire per contribuire alle spese dell’impresa.
Candidato alla Camera nelle elezioni per il primo Parlamento italiano, fu sconfitto al ballottaggio dal professor Matteo Imbriani Poerio nel collegio di Pisa, anche per l’opposizione della famiglia Ruschi, ma contemporaneamente risultò eletto nel collegio di Pontedera, inaugurando così una lunga carriera politica che dal gennaio del 1861 sarebbe stata destinata a durare trent’anni.
Ricoprì diverse cariche anche a livello locale, come consigliere nel Comune di Pisa, dove fu anche eletto presidente della neonata Società di mutuo soccorso e, assieme ad altri notabili, fondò la Società cooperativa di consumo.
Le dimissioni del secondo governo Ricasoli nel 1867, a seguito della bocciatura del progetto di legge sull’asse ecclesiastico, portarono a elezioni anticipate, alle quali i liberali pisani si presentarono ormai divisi in due correnti distinte. Toscanelli diede vita alla corrente più progressista con Ranieri Simonelli, destinata a estromettere dal governo locale il gruppo più conservatore guidato da Ruschi.
Il sodalizio politico tra Toscanelli e Simonelli durò a lungo e fu contraddistinto da un intenso dinamismo imprenditoriale in ambito locale, non di rado votato a speculazioni finanziarie e interventi in ambito urbanistico e territoriale, che più di una volta furono oggetto di accuse da parte della stampa.
Con la presa di Roma e l’annessione dell’ex Stato pontificio si aprì un intenso confronto sul complesso problema dei rapporti con la S. Sede e del successivo trasferimento della capitale. Nel dibattito parlamentare che ne seguì, Toscanelli protestò apertamente la sua contrarietà al trasferimento della capitale a Roma, manifestando il timore di un intervento delle potenze cattoliche in difesa del Papato. Nella tornata del 21 dicembre 1870, si fece anche latore di una proposta che prevedeva la creazione di una sorta di protettorato italiano su Roma, da istituirsi in «città libera», sotto «l’alta sovranità del pontefice» (Discussione dello schema di legge per la convalidazione del decreto sul plebiscito delle Provincie romane, in Rendiconti del Parlamento italiano: sessione del 1870-71, I, XI legislatura, Firenze, Tornata del 21 dicembre 1870, p. 136), che gli procurò gli strali dei suoi stessi colleghi di schieramento politico. Non di meno, fu animatore del dibattito parlamentare sulla legge delle guarentigie, che a suo giudizio avrebbe portato a uno Stato ateo, senza religione: i suoi interventi in difesa del papa e del patrimonio immobiliare dell’ex Stato pontificio furono più volte denunciati come clericali.
Altra battaglia parlamentare fu in occasione della discussione del nuovo codice penale Zanardelli, che Toscanelli criticò fortemente per l’eccessiva severità prevista nei confronti dei possibili abusi del clero.
Proprietario fondiario da sempre attento alle questioni agrarie, e autore di alcune pubblicazioni su temi di economia rurale e aspetti agronomici (L’economia rurale descritta nella provincia di Pisa ed illustrata con una collezione di oggetti e modelli messa in mostra alla esposizione Italiana del 1861 da Giuseppe Toscanelli deputato di Pontedera al Parlamento nazionale, Pisa 1861), il 20 marzo 1877 Toscanelli fu nominato membro della Commissione d’inchiesta agraria sulle condizioni dei contadini, presieduta da Stefano Jacini, dalla quale si dimise appena un anno dopo.
Negli anni conclusivi della sua intensa attività parlamentare, sostenne con forza la necessità di abolire il corso forzoso e l’imposta sul macinato, che giudicava iniqua nei confronti delle fasce più povere della popolazione, e ne salutò con grande esultanza la riduzione (1° gennaio 1880) e la definitiva abolizione (1° gennaio 1884) operate dai governi Depretis. Allo stesso modo, Toscanelli intervenne vivacemente contro il provvedimento presentato dal ministro delle Finanze Agostino Magliani, durante il quarto governo Depretis, perché il disegno di legge che voleva riorganizzare l’imposta fondiaria in senso perequativo avrebbe finito con il cristallizzare le rendite e gravare in modo più che proporzionale sulle popolazioni dell’Italia centrale e meridionale.
Nonostante nella sua attività parlamentare avesse costantemente combattuto i progetti di legge che considerava ostili alla Chiesa, Toscanelli si definì fino alla fine un anticlericale. In tal senso si espresse con il pamphlet dal titolo Religione e Patria osteggiate dal Papa. L’Italia si deve difendere (Firenze 1890), scritto dopo il fallimento del tentativo conciliatorista crispino, nel quale condannava la condotta di papa Leone XIII accusato di ricorrere alla diplomazia internazionale per ristabilire il potere temporale, anziché rassegnarsi alla sua perdita e cercare una conciliazione con il Regno d’Italia.
Morì il 27 febbraio 1891 nella villa di famiglia in località La Cava.
Fonti e Bibl.: L’archivio di famiglia, comprese le carte di Toscanelli, è depositato presso l’Archivio di Stato di Pisa, su cui si rimanda a M. Sbrilli Fabbrini, Una recente acquisizione dell’Archivio di Stato di Pisa: Archivio e Biblioteca Toscanelli, in Bollettino storico pisano, LIII (1984), pp. 373-375. Sulla storia della famiglia Toscanelli imprescindibile lo studio di D. Barsanti, I Toscanelli di Pisa. Una famiglia nell’Italia dell’Ottocento, Pisa 2005, pp. 191-211. Sulla figura di Giuseppe: Id., G. T. «Er deputato de’ Pontadaresi», Pisa 2013. Numerosi i riferimenti biografici in E. Toscanelli Peruzzi, Vita di me raccolta dalla nipote Angiolina Toscanelli Altoviti Avila, Firenze 1934, passim; E. Michel, T. G., in Dizionario del Risorgimento nazionale, IV, Milano 1937, p. 464; D. Barsanti, Nello Toscanelli: un deputato liberale. In appendice le Memorie parlamentari ed alcuni scritti di fantapolitica, Pisa 2007, ad indicem. Sul periodo degli studi universitari: E. Michel, Maestri e scolari dell’Università di Pisa nel Risorgimento nazionale (1815-1870), Firenze 1949, ad indicem. Su politica e amministrazione pisana in epoca postunitaria: R. Nieri, Amministrazione e politica e Pisa nell’età della Destra Storica, Milano 1971, ad ind.; A. Polsi, Possidenti e nuovi ceti urbani: l’élite politica di Pisa nel ventennio post-unitario, in Quaderni storici, 1984, vol. 56, pp. 493-516. Sull’attività di imprenditore vitivinicolo: D. Barsanti, Le vigne del sor Beppino. Enologia in casa Toscanelli, Pontedera 2012. Per l’attività parlamentare sua e del figlio Nello: Camera dei Deputati, Portale storico, https://storia.camera.it/deputato/giuseppe-toscanelli-18280130#nav e https://storia.camera.it/deputato/nello-toscanelli-1868.