UNCINI, Giuseppe
– Nacque a Fabriano il 31 gennaio 1929 da Beniamino e da Enrica Porcarelli.
Nutrì un profondo interesse per il disegno sin dalla tenera età e compì le prime esperienze pittoriche da autodidatta. Durante la seconda guerra mondiale si stabilì con la famiglia nel borgo di Cerreto d’Esi. Le difficoltà del periodo gli impedirono di proseguire gli studi e trovò impiego come disegnatore e incisore. Tra il 1948 e il 1949 lavorò a Fabriano e a Falconara Marittima, sviluppando competenze tecniche e manuali di ampio raggio, dai manifesti pubblicitari alle brochures, dall’incisione su linoleum alla litografia. Continuò a dipingere per proprio conto e dal 1951 al 1957 espose con regolarità al premio di pittura G.B. Salvi di Sassoferrato. Nonostante i soddisfacenti impegni professionali, che inclusero collaborazioni con architetti per allestimenti e soluzioni abitative, nutrì allora il desiderio di lasciare la provincia.
Nel 1953 accolse l’invito dello scultore conterraneo Edgardo Mannucci a trasferirsi a Roma, presso il suo studio di via Margutta, prendendo alloggio nella stanza appena lasciata da Alberto Burri. Luogo nevralgico del milieu artistico romano, lo studio di Mannucci, dove Uncini avrebbe vissuto fino al 1956, gli diede l’opportunità di frequentare artisti fondamentali per la sua formazione quali, oltre a Burri, Giuseppe Capogrossi, Afro e Mirko Basaldella, Corrado Cagli, Giulio Turcato, Pericle Fazzini, Franco Gentilini, Leoncillo Lonardi, Ettore Colla, e il critico d’arte e poeta Emilio Villa. In quel periodo Uncini licenziò il ciclo delle Terre (1955-58), pitture polimateriche dal linguaggio informale create con materie povere (terre, tufo, cemento, cenere, calce) su supporti disparati, quali cartoni, masonite e cellotex. Nel 1955 esordì alla VII Quadriennale nazionale d’arte al Palazzo delle Esposizioni di Roma, e due anni più tardi vinse il premio di incoraggiamento del ministero della Pubblica Istruzione con l’opera La mia terra (1956) e partecipò alla mostra Abstrakte Italienische Kunst di Francoforte sul Meno.
Dal 1957 contribuì a rinnovare linguaggi e tecniche artistiche con i Cementarmati, presentati nel 1961 alla galleria L’Attico di Roma, che impressero una svolta decisiva al suo percorso artistico. Si trattò inizialmente di rilievi in cemento grezzo sostenuto da reti e ferri, con superfici percorse dai segni del procedimento tecnico (Primo cementarmato, 1958-59), oppure definite da inserti oggettuali (Cemento-lamiera, 1958-59). Eleggendo a materiale artistico il cemento, protagonista dell’architettura italiana dal dopoguerra, Uncini intese superare la dicotomia tra materia e forma, tra pittura e scultura, ottenendo «un oggetto ‘autosignificante’, ‘autoportante’, ‘non rappresentante’» (sua lettera a Maurizio Fagiolo dell’Arco, Roma, 11 gennaio 1975, in Accame, 1996, p. 248). Alla prima stagione seguirono esiti formalmente definiti dalla presenza dell’armatura in ferro e dall’omogeneità del cemento, che assunse talora una configurazione modulare. Tra il 1960 e il 1962 Uncini pervenne a uno sviluppo tridimensionale e verticale degli oggetti, alleggeriti dalla dialettica geometrica tra cemento e tondino in ferro (Traliccio, 1961; Cementarmato T verticale-orizzontale, 1962).
Di particolare rilievo per la maturità artistica di Uncini furono le mostre collettive romane che, tra il 1958 e il 1962, sancirono le nuove tendenze dell’arte italiana: nel 1958 espose con Piero Manzoni, Francesco Lo Savio e Mario Schifano alla galleria Appia Antica (con la curatela di Villa), e nel 1959 presso la galleria L’Appunto fu con Tano Festa e Franco Angeli; la compagine si definì nel 1960 alla galleria La Salita con Roma ’60. Cinque pittori: Angeli, Festa, Lo Savio, Schifano, Uncini, che registrò il superamento dell’Informale. In occasione del XII premio internazionale di pittura a Lissone (1961) e di Nuove prospettive della pittura italiana al Palazzo Re Enzo a Bologna (1962) i cinque artisti esposero di nuovo insieme, ma da quel momento intrapresero percorsi diversi che condussero Angeli, Festa e Schifano alla pop art. Intanto Uncini, dalla fine degli anni Cinquanta, aveva iniziato a dedicarsi al design di gioielli, intraprendendo una lunga collaborazione con il gioielliere romano Mario Masenza. Dal 1961 al 1981 ricoprì incarichi di docenza in diversi istituti d’arte romani, tra cui quello di via Conte Verde. Nel 1963 si unì in matrimonio con Maria Lucrezia Delicati, sua compagna di vita, che aveva conosciuto nel 1959.
Nel dicembre del 1962, insieme a Gastone Biggi, Nicola Carrino, Nato Frascà, Achille Pace e Pasquale Santoro, fondò il Gruppo Uno, che prese parte alla IV Biennale d’arte di San Marino Oltre l’Informale (1963), diretta da Giulio Carlo Argan. Ispirandosi al Costruttivismo e al Bauhaus, il Gruppo Uno intese distinguersi dalle coeve tendenze gestaltiche, che impiegavano congegni meccanici per l’attivazione autonoma della sensazione sul piano psichico. Coerente con la linea teorica del gruppo, la produzione di Uncini in quegli anni – i Ferrocementi (1963-65) e le Strutturespazio (1965-67) – approfondì il ruolo della percezione e della forma geometrica. Nei Ferrocementi, a differenza degli esordi, il cemento venne armato da rete metallica, steso in casseforme di legno e levigato a formare rilievi delimitati dal tondino di ferro, in una continua interazione di linea e superficie. Nelle Strutturespazio Uncini abbandonò il cemento e conferì autonomia al materiale metallico, plasmato secondo configurazioni geometrico-luministiche. Nel 1966 partecipò con il Gruppo Uno alla XXXIII Biennale di Venezia, dove espose quest’ultimo corpus di opere. Più tardi, profili in ferro di oggetti dell’abitare assunsero dimensioni reali e ambientali, in opere quali Ambiente con tavolo e sedie e Strutturaspazio-ambiente (La stanza), 1967.
In quegli anni Uncini inaugurò una nuova stagione creativa. Avendo alle spalle l’esperienza del Gruppo Uno, scioltosi nel 1967 dopo varie defezioni, iniziò un’indagine decennale sulle declinazioni percettive e smaterializzanti dell’ombra, tema contenuto in nuce in alcune Strutturespazio. Inserendosi nel filone di ricerca che annovera Giorgio De Chirico, Marcel Duchamp e Bruce Nauman, s’interessò alla complementarità di consistenza fisica tra gli oggetti e le loro ombre proiettate. Nacque così un primo gruppo di lavori come la triade La sedia con ombra (1967), Finestra con ombra (1968) e Porta aperta con ombra, commissionata nel 1968 dalla soprintendente Palma Bucarelli per la Galleria nazionale d’arte moderna di Roma. A partire dal 1969, l’artista sviluppò un’ulteriore riflessione attorno all’ombra: alle strutture sagomate in ferro subentrò l’unità modulare del mattone e l’elemento incorporeo si materializzò nel cemento (Muro con speroni e ombra, 1969; Mattoni con ombra, 1969; Cade, non cade, 1970). Archi, travi, pareti e portali, sebbene privi di funzionalità, narrarono del legame di Uncini con la storia dell’architettura, da Vitruvio ai maestri del Rinascimento. Opere cardine di questa stagione furono Portale con ombra (1969), Arco con ombra (1970) e la monumentale Cloaca massima, dello stesso anno, esposte alla rassegna Progetto, intervento e verifica (Palazzo Reale di Milano, 1972). Con una breve pausa dal tema dell’ombra, in quell’anno Uncini licenziò Colline artificiali, per la serie dei Terracementi.
Seguì la fase più radicale della sua indagine sull’ombra, dalle connotazioni percettivo-concettuali, che giunse fino al 1977, per concludersi definitivamente a metà anni Ottanta con i Muri d’ombra. Nella nuova serie di lavori, l’essenza incorporea assunse un’esistenza a sé stante mutandosi in pura presenza oggettuale, come nel gruppo di opere dal titolo Ombra di due parallelepipedi (dal 1972 al 1977). In seguito Uncini iniziò ad approfondire lo spazio esistente tra due corpi geometrici con la creazione di rilievi bidimensionali, quali Spazio TS 5 e Rilievo n. 4, del 1978. Tale ricerca sul vuoto e sugli interspazi fu ripresa nel decennio seguente, quando in taluni casi assunse una portata ambientale (Interspazio n. 94, 1988).
Proseguiva intanto l’attività espositiva che, tra gli anni Settanta e Ottanta, registrò la presenza di Uncini alle principali esposizioni internazionali: alla XXXVII Biennale di Venezia del 1976 (dove espose anche nel 1978, nel 1984 e nel 1995); alle mostre 1960-1977 Arte in Italia (Galleria civica d’arte moderna, Torino) e Zestien Italiaanse Kunstenaars (Museum Boijmans van Beuningen, Rotterdam) nel 1977. In Italia, tre anni dopo, fu invitato alle rassegne Arte e critica 1980 (Galleria nazionale d’arte moderna, Roma) e Generazione anni Venti (I Biennale nazionale d’arte contemporanea della Provincia di Rieti). Nel 1979 ci fu la mostra antologica presso il Palazzo dei Consoli di Gubbio.
Nel 1979, con il ciclo La dimora delle cose (poi abbreviato in Dimore), presentato nel 1980 allo studio Marconi di Milano e alla galleria Rondanini di Roma, lo scultore tornò alla sua vocazione architettonica. Eseguite in cemento e percorse da grafie geometriche, queste «sculture-contenitori» furono pensate come «cavità dense di avventure esistenziali» (Giuseppe Uncini. Catalogo ragionato, 2007, p. 28). La serie, che lo impegnò fino al 1986, incluse il noto intervento di arte pubblica Porta del Sole per i caduti di Gibellina (1981-83). Ideale continuazione dei precedenti lavori sul tema del vuoto come presenza estetica, gli Spazi di ferro (1987-96) riportarono nella sua produzione il concetto di struttura dei primi cementi. L’interazione tra scultura e spazio fu articolata da fitti reticoli in ferro a raccordare ampi volumi cementizi, come in Spazi di ferro n. 15 (scultura), del 1989, e Spazi di ferro n. 125, presente alla XII Quadriennale nazionale d’arte (1992). Il gruppo di opere venne esposto nel 1990 alla rassegna L’altra scultura. Trent’anni di scultura italiana a Darmstadt, a Madrid e a Barcellona. Nel 1989 un esemplare di ampie dimensioni fu installato nello Hakone Open-Air Museum nella prefettura di Kanagawa in Giappone, dove ottenne il sesto Henry Moore grand prize.
I riconoscimenti conferiti all’artista inclusero il premio Antonio Feltrinelli per la scultura dell’Accademia nazionale dei Lincei di Roma (1988) e il prestigioso premio Presidente della Repubblica (1995). Uncini fu membro dell’Accademia nazionale di S. Luca dal 1991 e, dal 2003, ne rivestì l’incarico di presidente.
Dopo una breve pausa di riflessione, dal 1993 Uncini elaborò gli Spazicemento sul rapporto tra spazio e forma. Nel riprendere la tecnica della gettata cementizia e i valori bidimensionali del rilievo, si confrontò anche con il colore (Spazicemento con blu, 1995). La soglia del 2000 segnò il recupero della terza dimensione con lavori denominati Tralicci, che offrirono un’inedita esperienza percettiva nel dialogo tra ferro e cemento. Se nei coevi Rilievi e nei Muri di cemento (2001-04) Uncini enfatizzò i valori visivi della superficie, con le Architetture (dal 2004) la stratificazione di rilievi in cemento gli consentì di ampliare i volumi. Dal 2007 realizzò il ciclo Artifici, l’ultimo della sua prolifica attività. Nel 2001 la Städtische Kunsthalle di Mannheim dedicò alle diverse fasi della sua carriera un’approfondita mostra antologica. Nel 2007 la galleria Fumagalli di Bergamo, la Christian Stein e la Marconi di Milano organizzarono tre personali di ampio respiro.
Morì a Trevi il 31 marzo 2008.
Alla sua figura di precursore di tendenze neoavanguardiste, quali l’Arte Povera, e di innovatore nelle tecniche artistiche, il MART - Museo d’arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto – tributò una retrospettiva poco prima della scomparsa, che in seguito si tenne allo ZKM (Zentrum für Kunst und Medientechnologie) di Karlsruhe e alla Neue Galerie am Landesmuseum Joanneum di Graz. Nel 2009 l’Accademia di San Luca di Roma gli rese omaggio con un’esposizione ordinata dall’amico Nicola Carrino. Nella città umbra di Foligno, terra alla quale Uncini fu legato per gran parte della sua esistenza, il CIAC (Centro Italiano Arte Contemporanea) dedicò una mostra ai primi Cementarmati e all’ultima produzione (2011).
Fonti e Bibl.: Dal 2012 la casa-studio dell’artista a Trevi è sede dell’Archivio Opera Giuseppe Uncini. G.M. Accame, G. U., Novara 1996; B. Corà, G. U. L’immaginaria misura, Prato 2000; G. U. Raum aus Fläche und Struktur (catal., 2001-02), a cura di M. Fath, Mannheim 2001; G. U. Catalogo ragionato, a cura di B. Corà, Cinisello Balsamo 2007; G. U. Scultore 1929-2008 (catal., Karlsruhe, Rovereto, Graz, 2008-09), a cura di G. Belli - C. Steinle - P. Weibel, Milano 2008; G. U. Scritti, manifesti, interviste. Dalle Terre agli Artifici (catal.), a cura di N. Carrino, Roma 2009; F. Fanelli - G. di Pietrantonio, G. U. Il cemento disegnato. Opere su carta, 1957-2006, Cinisello Balsamo 2010; U. I primi e gli ultimi (catal., Foligno), a cura di B. Corà - I. Tomassoni, Cinisello Balsamo 2011; B. Corà, U. In principio era il disegno. Disegni 1959-1977 (catal., Milano), Poggibonsi 2015; G. U. Realtà in equilibrio (catal.), a cura di G. Appella, Roma 2019.