UNGARETTI, Giuseppe (XXXIV, p. 673)
Poeta, morto a Milano nella notte tra l'i e il 2 giugno 1970. Le poesie che confluiscono ne Il dolore (1947) sono state composte tra il 1937 e il 1946, in anni che comprendono eventi drammatici per U. (la morte del fratello e del figlio Antonietto; il nuovo conflitto mondiale), per il quale la realtà non è più decifrabile attraverso metafore o mediazioni letterarie, ma va registrata "giorno per giorno" (così s'intitola la seconda sezione de Il dolore), come in un diario di sofferenza grande e tuttavia contenuta, pur nei momenti culminanti dell'amarezza, dello sfogo, del "continuo schianto", per riprendere un'espressione del poeta. Soprattutto a contatto con la guerra (si veda la sezione Roma occupata [1943-1944]) l'angoscia privata tende a identificarsi con una più ampia e corale meditazione religiosa sulla sofferenza e sulla redenzione intese in senso cristiano. Nel 1945 appare la fondamentale edizione di Poesie disperse con l'apparato critico delle varianti di tutte le poesie e uno studio di G. De Robertis che segna una data importante nella critica ungarettiana, mentre nel 1949 vede la luce il volume di prose Il povero nella città. Preceduta dai frammenti per la Terra Promessa (1945), nel 1950, in 275 esemplari numerati, appare La Terra Promessa, dedicata a De Robertis, che tre anni dopo nell'edizione definitiva si arricchisce di altre liriche o "frammenti". La struttura frammentaria, sottolineata sin dal sottotitolo (Frammenti 1935-1953), indica anche che in un primo tempo la raccolta era stata concepita come un melodramma (si pensi al regolare andamento strofico). Ne La Terra Promessa tornano, non senza influssi leopardiani, i motivi della morte e del nulla. Tale raccolta presenta motivi simili a Il Dolore e a Un grido e paesaggi e denota soprattutto l'estremo, coerente sforzo del poeta per conferire alla sua parola, anche attraverso la tecnica dell'iterazione, un valore definitivo e sempre meno personale, un ordine assoluto, edenico, contrapposto alle precarietà naturali e storiche (esemplari a questo proposito i Cori descrittivi di stati d'animo di Didone). Nel 1951 vede la luce, isolatamente, Gridasti: soffoco..., una nuova lirica per il figlio morto che, nel 1952 in edizione numerata e nel 1954 in edizione normale, viene inserita in Un grido e paesaggi, minuscola raccolta in cui l'evocazione del silenzio non comunica più stupore o smarrimento ma quasi un'atemporale, apocalittica solitudine. In Un grido e paesaggi un cenno a parte merita Monologhetto, quasi un piccolo poema a sé, dove il paesaggio non ha niente di naturalistico ma è elemento connaturato alla ricapitolazione che il poeta tenta dei motivi centrali della sua esperienza biografica e spirituale ("Il ricordare è di vecchiaia il segno, / Ed oggi alcune soste ho ricordato / Del mio lungo soggiorno sulla terra, / Successe di Febbraio, [...]"). Dell'ultima fase ungarettiana sono almeno da rilevare le prose di viaggio e i saggi de Il deserto e dopo (vi tornano i temi del nomadismo e del deserto), Il Taccuino del Vecchio (1960), Apocalissi (1963), Dialogo [Bruna Bianco - G. U.] (1968). Nel 1969 appare l'edizione mondadoriana di Vita d'un uomo. Tutte le poesie (a cura di L. Piccioni) e, postumo (1974), sempre presso Mondadori, il volume Vita d'un uomo. Saggi e interventi (a cura di M. Diacono e L. Rebay, con pref. di C. Bo) che comprende un'ampia raccolta di scritti e contributi critici ungarettiani. Della lunga e impegnativa attività di traduttore di U. bisogna soprattutto ricordare le versioni dai sonetti di Shakespeare; ma un cenno a parte meritano anche quelle da Góngora e Mallarmé, da Racine (Fedra e Andromaca) e da Blake. Nel 1972, inoltre, è apparso il volume Lettere a un fènomenologo, e di recente (1978) le Lettere dal fronte a Gherardo Marone.
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