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UNGARETTI, Giuseppe

di Arnaldo BOCELLI - Enciclopedia Italiana (1937)
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UNGARETTI, Giuseppe

Arnaldo BOCELLI

Poeta, nato ad Alessandria d'Egitto, da genitori lucchesi, il 10 febbraio 1888. Studiò a Parigi; nel 1914 venne in Italia, e partecipò alla guerra italo-austriaca. Ha fatto parte della redazione del Popolo d'Italia; ha scritto in molti giornali e riviste italiani e stranieri; ora collabora soprattutto alla Gazzetta del popolo e insegna (1937) letteratura italiana nell'università di S. Paolo nel Brasile.

Formatosi sui decadenti francesi, e massime sul Mallarmé, sul Rimbaud e sull'Apollinaire, l'U. partecipa della loro poetica simbolistica e magica: mira all'essenzialità lirica, alla poesia "pura", come alla sola espressione compatibile col suo modo trasognato e allucinato di percepire la realtà, col suo vedersi "immagine passeggera" solo a tratti presa "in un giro immortale". La sua poesia comincia pertanto (Il porto sepolto, Udine 1916; n. ed., con prefaz. di Benito Mussolini, Spezia 1923; La guerre, Parigi 1919; Allegria di naufragi, Firenze 1919) da un impressionismo scarnito e rarefatto, come rapida ricapitolazione di sensazioni e di ricordi, come improvvisa esclamazione o "illuminazione"; e si giova di modi proprî del futurismo (ripudio della punteggiatura, della sintassi e della metrica tradizionali; predominio della metafora e dell'analogia; espedienti grafici e tipografici assunti in funzione lirica, ecc.), pur differenziandosi di netto dal futurismo per questa esasperata ricerca di concretezza e di essenzialità, per l'ansia di cose non dette che si cela effettivamente nelle pause dei suoi versi brevissimi, nei suoi "bianchi"; per il desiderio di canto che è tuttavia nell'insistito e sensuale giuoco delle sillabe e delle allitterazioni.

Ma a poco a poco, attraverso una sempre maggiore coscienza artistica, evidente anche nell'assidua rielaborazione delle sue poesie già pubblicate (L'allegria, Milano 1931; altra ediz., Roma 1936) e nel suo lavoro di traduzione da poeti stranieri (Traduzioni, Roma 1936); e attraverso lo studio della grande lirica italiana, dal Petrarca al Leopardi, l'U., superando codesto iniziale impressionismo e frammentismo perviene ad esprimere (Sentimento del tempo, Firenze 1933; n. ed., Roma 1936) quel suo sensuale trasalimento in seno all'universo in forme analogiche più sostenute e più ricche, che fanno pensare per qualche aspetto al Valéry; in un linguaggio, che pur facendo larga parte ancora alla suggestione musicale dei nessi sillabici, tende a ridare alla parola la nuda forza lirica del suo significato; in ritmi e metri di un'intima e rinnovata classicità; in una poesia, insomma, di più alto tono e respiro, anche se qua e là ancora resa opaca da un'intellettualistica ricerca formale, da un deteriore ermetismo. Ma per questo stesso travaglio la lirica dell'U. viene ad assumere notevole importanza nel quadro della poesia italiana posteriore al D'Annunzio, sforzantesi di trasporre in canto oggettivo e spiegato la sensazione, e il proprio tormentato soggettivismo e lirismo.

Bibl.: G. Papini, Ritratti italiani, Firenze [1932], p. 425 segg.; P. Pancrazi, Scrittori it. del Novecento, Bari 1934, p. 162 segg.; B. Crémieux, Panorama de la litt. it. contemp., Parigi [1928], p. 298 segg.; A. Gargiulo, in L'Italia lett., 19 e 26 giugno, 3 e 10 luglio 1932, e prefaz. a Sentimento del tempo, ed. cit.; A. Bocelli, in Nuova Antologia, 1° agosto 1932; A. Capasso, Incontri con U., Genova 1933; F. Flora, La poesia ermetica, Bari 1936, p. 103 segg. Altre indicazioni bibl. in A. Galletti, Il Novecento, Milano 1935.

Vedi anche
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