VACCARO, Giuseppe
– Nacque a Bologna il 31 maggio 1896, da Francesco, farmacista, e da Carolina Puppini, insegnante.
Dopo aver completato gli studi classici, conseguì la laurea nel 1920 presso la Regia Scuola d’applicazione per ingegneri di Bologna. Se da un lato furono la sua stessa natura schiva e un precoce dissidio con l’accademia a tenerlo distante dalla teorizzazione e dalla diffusione della propria opera, dall’altro gli inizi della sua carriera, indissolubilmente legati alla figura di Marcello Piacentini e alle nuove fabbriche rappresentative del regime fascista, finirono con il creare un velo d’oblio persino sulle sue successive e copiose realizzazioni in tutto il Paese. Gli interventi dell’architetto e urbanista bolognese interessarono infatti alcuni tra i maggiori comuni italiani sia prima del secondo conflitto mondiale, nell’era moderna dell’architettura, sia in seguito, senza tuttavia codificare apertamente un metodo. È difficile anche considerare il progettista come appartenente a una specifica scuola o corrente, soprattutto nelle vicende più recenti.
L’opera di Vaccaro è unica nel suo genere poiché distribuita in un arco temporale tale da dimostrarne un’assoluta individualità e autonomia, dagli anni Venti ai Settanta del XX secolo. Numerosi furono i concorsi cui prese parte sin dal 1922, anno in cui fu chiamato a Roma a collaborare presso lo studio di Piacentini; si pensi a quello indetto per la sistemazione urbanistica e architettonica di piazza della Balduina nel 1923, al Concorso internazionale per il palazzo della Società delle Nazioni nel 1926, che egli portò a termine insieme a Carlo Broggi e a Gino Franzi, a quello per il palazzo delle Corporazioni nel 1927 con Piacentini, e al Concorso, sempre con Franzi, per il palazzo delle Poste e Telegrafi di Napoli nel 1928. Quest’ultimo edificio cambiò di fatto espressione linguistica negli anni, conservando un carattere monumentale anche nella sua veste finale moderna.
Il chiostro di S. Maria di Monteoliveto era per l’architetto la sola struttura preesistente con cui confrontarsi, poiché, a partire dal 1926, erano stati applicati i piani di sventramento previsti dalla Commissione Giovannoni. L’opera s’inserisce sul chiostro seicentesco, ricostruendone una porzione, riconoscendolo e riconfigurandolo come nodo. La facciata curvilinea del corpo nuovo accentua il dinamismo della fabbrica. La leggibilità alla scala urbana del manufatto architettonico è ottenuta anche grazie a un’attenta ricerca fenomenologica dell’inserimento dell’oggetto nella città.
Completato nel 1936, il palazzo delle Poste e Telegrafi di Napoli rappresenta, insieme alla Scuola di ingegneria a Bologna, eseguita negli stessi anni, una delle opere maggiormente significative di Vaccaro, espressione sintetica di un’attenzione specifica per la preesistenza storica, e di innesto e di continuità tra caratteri regionalisti e apertamente moderni.
A poco più di trent’anni Vaccaro poteva dirsi dunque un professionista affermato, già membro di importanti commissioni pubbliche.
Nel 1932 redasse per il Concorso nazionale per i palazzi postali di Roma degli schemi distributivi d’orientamento per i progettisti, raccolti nel testo Schemi distributivi di architettura (Bologna 1933). Essi costituirono la base di lavoro per architetti del calibro di Adalberto Libera, Mario Ridolfi, Giuseppe Samonà, rappresentando una gradita innovazione in un contesto di rapida evoluzione delle richieste tecniche e tecnologiche, in cui spesso ci si confrontava con tipologie di edifici pubblici e privati ancora mai indagate.
Proprio a partire dalle esperienze descritte, Vaccaro svolse in parallelo un’assidua attività di difensore del ruolo dell’architetto nella libera professione, specie se in rapporto con la Pubblica Amministrazione. Ne è un importante esempio l’intervento, del 1935, al XIII Congresso internazionale degli architetti di Roma in materia di concorsi e di costruzioni pubbliche (Pica, 1935, pp. 2-7). Egli si era da sempre battuto per l’ideazione di sistemi meritocratici di accesso alla progettazione, realizzazione e gestione delle opere pubbliche. Sottolineava come istruire un bando e far parte di commissioni in cui giudicare dei colleghi fosse un arduo compito, pari a quello della progettazione, soprattutto in assenza di sistemi valutativi e normativi definiti. Il suo atteggiamento era improntato a favore di un aperto pluralismo, che giovasse sia al pubblico, beneficiario dei progetti e delle opere migliori, sia al privato, selezionato con criteri di merito. Questa sua posizione è ancora oggi straordinariamente moderna.
Negli anni seguenti Vaccaro strinse importanti sodalizi e rapporti di sincera amicizia con architetti quali Giovanni Michelucci, Giuseppe Pagano, Luigi Moretti, Mario De Renzi e lo stesso Libera, insieme a cui partecipò al concorso per il palazzo Littorio nel 1934 e per l’Auditorium di Roma nel 1935. Nel 1936 ricevette l’incarico per la progettazione della colonia marina di Cesenatico.
La ‘riscoperta’ di Vaccaro si deve in parte proprio a questo progetto. Nel 1994 fu infatti organizzata una mostra sulla colonia marina (G. Ciorra, in Giuseppe Vaccaro, 2002, p. 77), cui seguì, due anni dopo, la pubblicazione del numero monografico di Edilizia popolare dedicato a Vaccaro, a cura di Umberto Cao e di Carolina Vaccaro, architetta e figlia di Giuseppe e di Leda Cattini. La colonia marina di Cesenatico, rispetto alle opere precedenti, non si confronta con il contesto urbano, bensì con il solo paesaggio naturale, aprendo ampie prospettive e visuali verso il mare e i monti.
Vaccaro trascorse gli anni della guerra sforzandosi di non rimanere inoperoso, se non nell’attività professionale, almeno sul piano dello studio e della ricerca speculativa. Inviato al fronte, completò alcuni approfondimenti sull’abitare, poi raccolti in La casa di serie (Roma 1982). L’attenzione per tali tematiche, già viva negli anni precedenti (si pensi allo studio per la ‘casa a collina’), si orientò, nel dopoguerra, verso la progettazione dei piani urbanistici e la realizzazione dei quartieri di edilizia economica e popolare. Si pensi, tra gli altri, ai quartieri INA-Casa di Borgo Panigale a Bologna e a Piacenza (Unità Galleana), a Roma al quartiere di Ponte Mammolo, con Renato Amaturo, Sergio Brugnoli, Antonino Manzone, Franco Palpacelli e Luigi Vagnetti, al complesso residenziale di Tre Fontane con Mario Fiorentino, Michele Gargano, Giuseppe Perugini e Tommaso e Gilberto Valle, e al quartiere INCIS (Istituto Nazionale per le Case degli Impiegati Statali) di Vigne Nuove con Giuseppe Giordano, i Valle e Annibale Vitellozzi. Al progetto per il quartiere di Ponte Mammolo collaborarono anche i giovani Denise e Robert Scott Brown. Denise restò fortemente legata alla famiglia Vaccaro, e fece conoscere il suo secondo marito, Robert Venturi, all’architetto negli ultimi anni della sua vita (D. Scott Brown, in Giuseppe Vaccaro, 2002, pp. 67-75).
«Tra il 1949 e il 1951 Vaccaro disegna e realizza la chiesa di Sant’Antonio Abate a Recoaro: un’architettura ancor oggi non amata dalla critica e da molti architetti, ma nella quale l’occhio sapiente di Robert Venturi seppe vedere i tratti precursori di quel complesso metodo progettuale basato sulla ‘contraddizione tra segni’ che lui stesso teorizzò quasi vent’anni dopo e che sarebbe divenuto d’allora in poi la base della progettazione contemporanea» (A. Anselmi, in Giuseppe Vaccaro, 2002, p. 37). Così si esprimeva in proposito nel 1996 lo stesso Venturi: «Come architetto ho imparato dalla serie di contrasti o contraddizioni compositive le quali determinavano quelle tensioni che divennero l’essenza estetica di questa architettura» (Edilizia popolare, pp. 22 s.).
Anche l’ultimo decennio dell’attività di Vaccaro fu costellato dalla partecipazione a numerosi concorsi e realizzazioni nel panorama romano. Si ricordino in particolare quelli che condusse come coordinatore per la Biblioteca nazionale (1960) e per i nuovi uffici della Camera dei deputati, con Vitellozzi e i Valle (1967). Vaccaro ricevette onori e oneri per aver costruito un «progetto che aveva contentato tutti, [ma che] non ha alla fin fine convinto nessuno», secondo Giovanni Klaus Koenig (1967, p. 25). Al termine delle votazioni riportò infatti il più alto punteggio, eppure la giuria decise di assegnare 18 premi ex aequo. «L’architettura esterna dell’edificio riflette alcuni concetti che si riferiscono sia ai problemi dell’ambientamento sia alle esigenze interne» si legge nell’incipit della relazione tecnica descrittiva del progetto (S. Clemente, in L’ampliamento della Camera dei Deputati, 2018, p. 172).
«L’edificio per i Nuovi Uffici della Camera dei deputati risponde con il suo sviluppo volumetrico vario alle esigenze di carattere funzionale. La matericità, l’attenzione per il dettaglio costruttivo sono caratteri improntati su una contestualizzazione non di semplice adeguamento ma di innesto. Ai cristalli in bronzo chiaro sugli infissi di alluminio anodizzato in bronzo scuro si sarebbero alternati i colori caldi della pietra forte, richiamo alla tradizione toscana. Il nuovo viene così accettato dall’antico costruttivamente, preservando per il medesimo canale la sua riconoscibilità» (ibid., p. 173).
La chiesa di S. Gregorio Barbarigo a Roma (1968-71), considerata da Luigi Moretti la migliore opera dell’architetto, nonché di fatto il suo testamento progettuale, è intimamente legata al disegno per l’ampliamento della Camera dei deputati, anzi ne costituisce un avanzamento sia nella composizione, sia nel trattamento delle superfici interne ed esterne. Vaccaro morì a Roma l’11 settembre 1970.
In sintesi, Vaccaro è stato architetto e urbanista moderno e contemporaneo insieme, con aspetti che hanno anticipato di molto la ricerca anche attuale, cui giunse in modo apparentemente intuitivo e leggero, lasciando trapelare poco dei ragionamenti e dei processi che lo condussero al risultato. Un metodo può essere invece desunto a partire dalla concretezza della sua pratica professionale, non senza discordanze, inversioni e contraddizioni riscontrabili principalmente negli ultimi anni della sua vita.
Attività rivalutative della sua figura sono iniziate nei primi anni Novanta e hanno scelto come oggetto privilegiato di indagine la concretezza non soltanto del costruito ma anche del disegno di progetto. Una ritrovata oggettività, dunque, e non un revisionismo storico. Una dimostrazione di sintesi espressiva di teoria e prassi, quella di Vaccaro, in cui la seconda prevale sulla prima non concettualmente o metodologicamente, ma solo a livello temporale nella percezione dell’osservatore, che può riferirsi in primis e soltanto agli aspetti tangibili del manufatto architettonico o della sua rappresentazione.
Fonti e Bibl: G. Minnucci, Il concorso nazionale per i palazzi postali di Roma, in Architettura, XII (1933), 10, pp. 603-626; G. Vaccaro, Schemi distributivi di architettura, Bologna 1933; A. Pica, Il XIII congresso internazionale degli architetti a Roma, in Casabella, 1935, n. 94, pp. 2-7; A. Vitellozzi, Il nuovo palazzo postale di Napoli, in Edilizia moderna, 1936, n. 23, pp. 1-9; G. Vaccaro, La ricostruzione edilizia in Emilia Romagna, ibid., 1948, n. 40-41-42, pp. 74-81; Id., Principi di armonia nell’architettura, in Spazio, 1953, n. 7, pp. 54-56; G.K. Koenig, Montecitorio valle di lacrime, in Casabella, 1967, n. 321, pp. 16-47; M. Tafuri, Il concorso per i Nuovi Uffici della Camera dei Deputati, Roma 1968; L. Moretti, Ultime testimonianze di G. V. Chiesa di San Gregorio Barbarigo a Roma, in L’architettura: cronache e storia, XVIII (1972), 3, pp. 146-157; Id., Ultime testimonianze di G. V.: progetto per la Chiesa dei Santi Martiri dell’Uganda a Roma, ibid., pp. 158-161; B. Gravagnuolo, G. V. e Gino Franzi. Il Palazzo delle Poste, Napoli, 1933-1936, in Domus, 1988, n. 693, pp. 72-84; G. V. Colonia marina a Cesenatico (1936-1938), a cura di U. Cao, Roma 1994; P. Giordano, Il Palazzo delle Poste e dei Telegrafi di G. V. e Gino Franzi a Napoli, in Disegnare: idee immagini, VII (1996), 13, pp. 13-24; Edilizia popolare, 1996, n. 243, monografico: G. V., a cura di U. Cao - C. Vaccaro; G. V., a cura di M. Mulazzani, Milano 2002; L’ampliamento della Camera dei deputati, a cura di P. Carlotti - A.I. Del Monaco - D. Nencini, Milano 2018.