Vandelli, Giuseppe
Filologo (Modena 1865 - Firenze 1937). Compiuti gli studi medi nella città natale, si laureò (1887) e si perfezionò (1889) a Firenze sotto la guida del Rajna, che avrebbe avuto un ruolo determinante nelle sue scelte di lavoro e nel suo metodo. Insegnò nei ginnasi di Modena e Firenze dal 1889 al 1911, quando ottenne l'esonero dall'insegnamento e il comando presso l'Accademia della Crusca prima e poi presso la Società Dantesca Italiana.
Dopo un decennio (1888-1898) dedicato con diverso impegno alla messa a punto del testo critico dei Reali di Francia, dedicò la maggior parte del suo tempo e le sue migliori energie agli studi per l'edizione critica della Commedia, e giustamente il Barbi gli riconobbe il merito di aver contribuito " a rimettere gli studi danteschi sulla buona strada ". Un giudizio che indica quanto d'incompiuto e di provvisorio caratterizzò, malgrado le lunghe fatiche, il lavoro del Vandelli.
Si mosse secondo i criteri dello stesso Rajna, che, avversando la proposta Bartoli-D'Ancona-Del Lungo, anticipata dagli assaggi del Monaci e concretatasi nel canone barbiano dei 396 loci critici, voleva si procedesse all'edizione attraverso spogli integrali, cominciando dai codici " più antichi e più famosi " e più sicuramente databili. Si doveva intanto mirare a un'edizione provvisoria, in attesa di poter dare quella " nei limiti del possisibile, definitiva ". Il V. infatti procurò una serie di edizioni provvisorie del poema, da quella limitata alla prima cantica (Firenze 1902), a quella del centenario inserita nell'edizione de Le opere di D., testo critico della Società Dantesca Italiana (ibid. 1921), ristampata l'anno dopo e riproposta, sempre con ulteriori innovazioni, nel 1924 (Milano), nel 1927 (Firenze) e poi sino al 1937, nella nona e decima edizione del commento dello Scartazzini da lui rivisto. Si aveva così un testo che subito s'impose, malgrado i dissensi e le perplessità, come basilare e canonico, un testo che " per la vera e propria lezione non differiva gran che da quello che si può dire il testo vulgato ", ma che aveva " su quello il grande vantaggio di essere stato tutto direttamente cavato e riscontrato su testimonianze, per quanto era possibile, antiche e tutte accolte e vagliate con cosciente ponderazione e con ogni cautela " (M. Barbi, prefazione alla cit. ediz. del '21, pp. XXV-XXVI).
I lunghi e accurati accertamenti avevano convinto il V. dell'impossibilità di giungere a un sicuro ordinamento della tradizione e quindi dell'opportunità di procedere all'edizione attraverso un esame caso per caso dei luoghi critici, per accertarne i rapporti tra le lezioni relative e risalire a quella riconoscibile come " progenitrice ". Un criterio questo chiaramente empirico e, per di più, di difficile se non impossibile controllo per la mancanza, nelle edizioni vandelliane, di apparato critico e di note giustificative. Il che, tra l'altro, ha privato gli studiosi di D. di una troppo larga parte della dottrina dantesca accumulata dal V. in decenni di operosità.
Un essenziale apporto del V. alla più precisa e storica conoscenza del capolavoro dantesco consiste nei risultati delle sue indagini: nell'aver restituito alla lingua del poema, sulla scia del Parodi e del Barbi, eliminando la patina umanistica risalente al codice del Villani ma senza cadute in indebiti popolareggiamenti formali, la forma arcaica e fiorentina.
Gli stessi criteri editoriali il V. seguì allorché negli ultimi anni si dedicò, per l'edizione nazionale delle opere di D. diretta dal Barbi, alla revisione del testo del Convivio apprestato da Pellegrini e Parodi nel 1921.
Un importante contributo del V. alla critica e alla storia della tradizione del testo del poema è costituito anche dal centinaio di saggi e studi apparsi durante il trentennio di lavoro editoriale. Tra i più notevoli quello sul codice Trivulziano, Il più antico testo critico della " D.C. " (in " Studi d. " V [1922] 41, 98), che ne dimostra la dipendenza dal codice Martini; e quelli che esemplificano il suo metodo di analisi delle varianti della Commedia, ibid. III (1921) 128-131, 132-137, 148-151; IV (1921) 39-84; VI (1923) 45-98; VII (1923) 97-102. Importanti anche i suoi studi sugli scritti danteschi del Boccaccio, culminati nella dimostrazione dell'autenticità delle Esposizioni, ibid. XI (1927) 5-120.
Bibl. - G. Cavazzuti, Commemorazione di G.V., Modena 1937 (con elenco di quasi tutte le pubblicazioni); M. Barbi, Per il testo della D.C., in " Studi d. " XVIII (1934) 5-58 (rist. in La nuova filologia, Firenze 1938, 1 ss.); ID., ibid. XXI (1937) 217-220; A. Vallone, La critica dantesca contemporanea, Pisa 1953, 156 ss.; A.E. Quaglio, Sulla cronologia e il testo della D.C., in " Cultura e Scuola " 13-14 (1965) 247-249; G. Folena, La tradizione delle opere di D.A., in Atti Congresso Internaz. studi danteschi, I, Firenze 1965, 72-74; Petrocchi, Introduzione 5 ss., 14-15; P.G. Ricci, G.V., in Letteratura italiana. I critici, III, Milano 1969.