SIBONI, Giuseppe Vincenzo Antonio
SIBONI, Giuseppe Vincenzo Antonio. – Nacque a Forlì il 27 gennaio 1780 da Francesco, agiato borghese della città, e da Domenica Maria Grandi, ultimo di sei fratelli.
Studiò canto col castrato Sebastiano Folicaldi, pianoforte e composizione con Andrea Favi, rispettivamente cantore e maestro di cappella nel duomo cittadino. A Forlì probabilmente debuttò sulle scene nel Carnevale del 1797; il primo libretto a stampa che attesti il suo nome è Ester, «azione sacra per musica» data nella quaresima dello stesso anno al teatro della Pergola di Firenze.
Dopo essersi esibito nella provincia romagnola nel 1798, nell’estate del 1799 Siboni cantò nel teatro Marsigli Rossi di Bologna in opere comiche al fianco di Anna Guidarini Rossini, madre di Gioachino; indi nel Carnevale del 1800 a Genova. Dopo queste prime esperienze, la carriera del tenore si svolse per lo più lontano dall’Italia. Emigrò alla fine del medesimo anno 1800 a Praga, dove fu vicino a italiani ben noti alla storiografia mozartiana: l’impresario Domenico Guardasoni, che nove anni prima aveva commissionato al Salisburghese La clemenza di Tito (fu probabilmente Guardasoni la fonte della Berichtigung (1821) in cui Siboni fa cenno delle modifiche apportate da Wolfgang Amadeus Mozart al dramma di Pietro Metastasio), e Luigi Bassi, il primo interprete del Don Giovanni (Praga, 1787), col quale s’esibì nel 1801-02 nell’Intrigo amoroso e nell’Achille di Ferdinando Paer. Nel 1805 Siboni cantò, in tedesco, La Creazione di Franz Joseph Haydn, indi Sargino di Paer. La stampa locale in maggio annunciò la sua partenza, avendo egli stipulato un contratto col teatro alla Scala di Milano, dove il 26 dicembre 1805 andò in scena in Abenamet e Zoraide di Luigi Romanelli e Giuseppe Nicolini; seguì Idomeneo di Romanelli e Vincenzo Federici nel ruolo eponimo, drammi espressamente composti per l’occasione.
Nel dicembre del 1806 Siboni si recò a Londra, dove s’esibì per alcune stagioni al King’s Theatre, debuttando con il Principe di Taranto di Paer; impresario era Michael Kelly, già Don Basilio alla première delle Nozze di Figaro di Mozart (Vienna, 1786).
Faro della compagnia di cantanti italiani era la diva Angelica Catalani, che di fatto sceglieva le opere a suo piacimento: furono, tra le altre, La morte di Mitridate, La morte di Semiramide, Il ritorno di Serse di Marco Portogallo, e La morte di Cleopatra di Sebastiano Nasolini.
La caccia di Enrico IV di Serafino Buonaiuti e Vincenzo Pucitta, in prima rappresentazione il 7 marzo 1809, vide Siboni nel ruolo eponimo. Nell’aprile del 1808 il tenore cantò in alcuni concerti organizzati da Johann Peter Salomon, l’impresario che negli anni Novanta aveva ingaggiato Haydn. Così s’espresse Kelly: «Siboni, in addition to a fine tenor voice, and a commanding figure, was a tasteful singer, and a good musician; his reception was also very flattering» (Kelly, 1826).
Siboni tornò alla Scala nel Carnevale del 1809-10, di nuovo per una sola stagione: il 26 dicembre creò Raul di Crequi di Romanelli e Giovanni Simone Mayr, il 3 febbraio 1810 Arminia di Angelo Anelli e Stefano Pavesi. Quattro anni durò invece il contratto con i teatri imperiali di Vienna, dove gli fu richiesto di cantare opere in italiano (anche al fianco del castrato Giovanni Battista Velluti, con il quale s’era esibito alla Scala) e in tedesco. Debuttò il 26 maggio 1810 con Traiano in Dacia di Nicolini. Le recensioni sui periodici viennesi rilevano una voce più da baritono che da tenore, e se da un lato lodano l’energia e la passione nel canto come nella recitazione, dall’altro deplorano gli eccessi del canto di coloratura, critica invero diffusissima nella pubblicistica coeva, germanofona e no. Non a caso Siboni mieté i maggiori e più duraturi successi (a Vienna il 12 novembre 1810, poi in giro per l’Europa) come Licinio nella Vestale di Gaspare Spontini, nella traduzione tedesca di Joseph von Seyfried, una parte caratterizzata dal canto declamato, più vicino al gusto d’Oltralpe (francese o germanico) che a quello italiano. La stampa sottolineò la nobile semplicità nell’esecuzione dei recitativi, nonché la misura delle fioriture nelle arie; nel complesso, apprezzò in Siboni sia il canto sensibile ed espressivo sia l’ottima declamazione tedesca. Seguirono Sargino e La Creazione, eseguita con un’orchestra di duecento elementi; rimarchevoli in quest’ultimo caso le lodi alla corretta pronuncia tedesca. Il 2 gennaio 1811 andò in scena nel ruolo eponimo nella Clemenza di Tito, ancora in tedesco: divenne anch’esso un suo cavallo di battaglia. Indi il 3 aprile Griselda e il 24 aprile Quinto Fabio di Nicolini.
Nel repertorio di Siboni entrarono nel 1812 Medea di Luigi Cherubini e Fernand Cortez di Spontini, in traduzione tedesca: ebbero la stessa accoglienza entusiastica della Vestale, e per le medesime ragioni; la stampa elogiò la verità dell’interpretazione nel canto e nel gesto, tanto più apprezzata in un cantante italiano. Nello stesso anno il tenore forlivese ebbe problemi con la polizia per via dell’affiliazione a una loggia massonica viennese: una calcografia, non datata, nella quale è circondato da simboli massonici, ne dà una testimonianza visiva. In estate fu a Berlino e si presentò a corte il 23 agosto, ancora come Licinio nella Vestale. La stampa berlinese rilevò che la voce non era più fresca, ma lodò l’imponenza della figura e la valentia dell’attore e del cantante; più nello specifico, la pienezza della voce nella zona centrale baritonale e la debolezza degli acuti, raggiunti solo in falsetto. Tornato a Vienna, prese parte, insieme a musicisti di spicco come Johann Nepomuk Hummel, Jakob Meyerbeer, Antonio Salieri, Domenico Dragonetti e Louis Ludwig Spohr, al memorabile concerto (di fatto, un evento celebrativo) dell’8 dicembre 1813, che vide la prima esecuzione della Settima sinfonia e della Vittoria di Wellington op. 91 di Ludwig van Beet-hoven. Altrettanto memorabile fu per Siboni la serata del 27 febbraio 1814, quando cantò nel terzetto Tremate, empi, tremate op. 116 di Beethoven, per soprano, tenore e basso con orchestra (nella stessa Akademie fu presentata per la prima volta l’Ottava sinfonia). Siboni entrò in una certa confidenza con Beethoven, come prova la lettera che gli scrisse da Napoli il 25 febbraio 1815: «Caro Beethoven, il mio amico [Ferdinand] Herold, eccellente pianista e compositore, desidera conoscere tutti i grandi uomini, pertanto deve e vuole conoscerLa, benché gli abbia assicurato che Lei è piccolo ma di gran peso [...] Mi dica a che punto è la musica, non la Sua perché Lei è troppo pigro per scriverne della nuova, ma quella degli altri. Addio caro amico – Pensi qualche volta a colui che l’ama molto [...]. Saluta tutte le belle donne e baciane anche qualcuna a mio nome» (van Beethoven, 2001).
Il 19 aprile 1814 Siboni diede una recita d’addio a Vienna, nella Medea di Cherubini. La tappa seguente della carriera fu Napoli, dove giunse in dicembre. Debuttò con Ginevra di Scozia il 19 gennaio 1815. La compagnia dei teatri reali napoletani era incentrata su una primadonna indiscussa, Isabella Colbran (futura moglie di Gioachino Rossini), e due tenori di prima sfera, Andrea Nozzari e Manuel García, entrambi baritonali come Siboni. Partito García, nel 1816 fu ingaggiato Giovanni David, tenore acutissimo che forse meglio si appaiava a un tenore baritonale. Siboni cantò insieme a Nozzari e García solo nella Cora di Mayr (marzo del 1815), mentre in agosto sostituì lo spagnolo nella Morte di Semiramide (opera di Nasolini rappresentata per l’occasione anche con musiche di Portogallo e Rossini), nella Medea in Corinto di Mayr e nel Trionfo di Alessandro di Gaetano Andreozzi (gennaio del 1816).
Lasciata Napoli, Siboni viaggiò in lungo e in largo per l’Europa dal 1816 al 1818, esibendosi anche a Firenze e a Bologna, e saltuariamente anche a Vienna, dove avrebbe voluto tornare stabilmente. Ma non ci riuscì. Le autorità austriache già dal 2 dicembre 1816 avevano infatti dato incarico alla polizia imperiale di sorvegliarlo. Siboni, amico del concittadino e patriota Piero Maroncelli, era anch’egli carbonaro, ed è possibile che tenesse i collegamenti con altri affiliati del Nord dell’Italia. Da un rapporto del quartier generale della polizia di corte, datato Vienna 6 marzo 1818, si apprende che il cantante fu espulso dal territorio dell’impero per la sua attività antiaustriaca in Italia (ebbe maggior fortuna di Maroncelli, che scontò una lunga condanna nella fortezza dello Spielberg insieme a Silvio Pellico). Le simpatie politiche di Siboni possono sembrare in contraddizione con le circostanze della sua carriera, considerato che per tutta la vita egli si presentò come suddito fedele e devoto ovunque si recasse: ad esempio, a Vienna aveva stabilito rapporti amichevoli con il principe Giuseppe Francesco Massimiliano Lobkowitz, mecenate di Beethoven e già patrocinatore della prima esecuzione della Creazione nel 1798 (nel settembre del 1811 Siboni aveva partecipato ai lussuosissimi festeggiamenti, anche musicali, del matrimonio della figlia del nobile). Ma negli anni della Restaurazione per poter lavorare nei principali teatri d’Europa era indispensabile una conciliazione, se non una netta separazione, tra gli slanci ideali e l’adattamento alla realtà delle cose (lo stesso Beethoven non poté sottrarsi a siffatti compromessi).
Non a caso Siboni emigrò verso nord: Stoccolma prima, Copenaghen poi, la città dove si stabilì negli ultimi vent’anni di vita, ottenendo la cittadinanza danese. Vi giunse il 16 dicembre 1818, esibendosi in due concerti a corte, indi debuttò nel teatro regio il 13 gennaio 1819, ancora nella Clemenza di Tito e nella Vestale, salutato dalla critica come grande cantante e attore. Pochi giorni dopo ottenne un contratto di dieci anni come direttore della scuola di canto e del teatro, poi prolungato su base vitalizia. Lasciate le scene nel medesimo 1819, limitandosi negli anni successivi ad apparizioni sporadiche, ebbe per principale incarico la formazione di giovani cantanti che potessero poi esibirsi in quel teatro; ma ebbe anche responsabilità nella scelta del repertorio, che contribuì ad ampliare con opere italiane, francesi e tedesche, scegliendo drammi mai rappresentati in Danimarca e curandone pure l’allestimento. Nel 1827 fondò il conservatorio della capitale. La durevole fortuna in Danimarca è testimoniata anche da un tardo romanzo di Hans Christian Andersen, Pietro il fortunato (1870), dove Siboni è identificato nella figura del vecchio maestro di canto.
Siboni fu anche compositore, soprattutto di brani d’occasione: canti e marce per i genetliaci nella famiglia reale, cantate e opere di musica sacra e composizioni vocali di ogni genere. Nel ritratto che si fece fare, a Vienna, da Johann Peter Krafft compare lo spartito di una composizione sui versi danteschi del lamento del conte Ugolino, che taluno gli attribuisce (Schepelern, 1995, pp. 67, 72, 309).
Siboni si sposò tre volte ed ebbe sette figli, di cui due illegittimi. La seconda moglie fu Ludwiga von Schober, sorella di Franz, amico e convivente di Franz Schubert, fervido fautore della di lui arte liederistica; il 23 novembre 1812 la moglie, ventiduenne, morì per un colpo accidentale partito dalla pistola che il marito stava pulendo. La terza volta si sposò a Copenaghen l’8 ottobre 1827 con Charlotte Johanne (Hanne) Marie Erichsen. Dal terzo matrimonio il 26 agosto 1828 nacque Erik, pianista e compositore.
Morì a Copenaghen il 28 marzo 1839. Nel 1821 aveva perso un occhio in un incidente.
Fonti e Bibl.: I discendenti danesi di Siboni posseggono un suo manoscritto di memorie di ventisette pagine, redatto in francese e forse dettato dal cantante tra il 1830 e il 1833 (P. Ingerslev-Jensen, G. S.: selvbiografiske notater 1780-1818, in Det Kongelige Danske Musikkonservatorium: aarsberetning for 1961, København 1962, pp. 21-53). Tali memorie non sono prive di notevoli imprecisioni e omissioni; la narrazione di fatti e aneddoti s’interrompe bruscamente all’estate 1818. J. Siboni, Berichtigung, in Originalien aus dem Gebiete der Wahrheit, Kunst, Laune und Phantasie, V, 20, Hamburg 1821, pp. 159 s.; M. Kelly, Reminiscences, II, London 1826, p. 243; A.W. Thayer, The life of Ludwig van Beethoven, II, New York 1921, p. 258; J.P. Keld, Rids af G. S.s virksomhed i årene 1819-1839, in Dansk Årbog for Musikforskning, XI (1980), pp. 57-78; G. Schepelern, G. S. Un tenore forlivese e il teatro musicale nell’Europa del primo Ottocento, a cura di F. Battaglia, Forlì 1995; L. van Beethoven, Epistolario, III, a cura di S. Brandenburg, Ginevra-Milano 2001, p. 143; M. Jahn, Die Wiener Hofoper von 1810 bis 1836. Das Kärtnerthortheater als Hofoper, Wien 2007, ad indicem.