CASTELLAR, Giuseppe Vincenzo Francesco Maria Lascaris conte di
Di un ramo minore della grande famiglia dei Lascaris di Ventimiglia, investito nel 1530 con Gaspare del feudo di Castellar, nacque a Casale il 7 ag. 1729 da Giulio Cesare e da Isabella dei marchesi di Palazzo.
Il padre, già senatore e reggente il Senato di Nizza, ambasciatore in Francia e Spagna, era allora presidente del Senato di Monferrato, con sede appunto in Casale, e in riconoscimento dei servizi prestati venne creato conte il 27 ag. 1730.
Il C. frequentò regolarmente, dalle prime classi, i corsi dell'Accademia reale di Torino, dove il 1° luglio 1746 ottenne il baccellierato in diritto civile e canonico. Già in questi anni inoltre egli si era dedicato con grande impegno agli studi letterari; aggregato all'Arcadia di Roma sotto il nome di Laurisbo Orifiaco, pubblicò varie poesie, come testimonia una breve raccolta edita a Casale nel 1747, in occasione dell'ingresso in città del nuovo vescovo, monsignor Ignazio della Chiesa. Sul finire dello stesso anno lasciò Torino per recarsi a Dresda e quindi, l'anno seguente, a Lipsia, per proseguire gli studi di diritto pubblico, come appare da alcune lettere da lui stesso inviate ad amici e letterati torinesi, tra il gennaio e l'ottobre 1748.
Durante la permanenza a Lipsia lo raggiunse la nomina a legato del re di Sardegna presso la corte di Sassonia a Dresda. L'anno seguente il C. venne invece trasferito, sempre come legato, a Hannover, e accreditato quindi presso la corte di Londra, essendo ancora il ducato possesso della famiglia regnante inglese. Il 24 ag. 1754, nominato "ministro incaricato d'affari alle Provincie Unite dei Paesi Bassi", si trasferì a L'Aia, ove restò fino al primi mesi del 1760.
Attento osservatore degli avvenimenti del suo tempo, il C., pur da una posizione diplomatica non certo centrale, riuscì a cogliere con profonda intuizione le gravi conseguenze che il trattato di Parigi, stipulato il 1° maggio 1756 fra l'Austria e la Francia, avrebbe avuto sulla politica estera del Regno di Sardegna. Come si può leggere nella sua nutrita corrispondenza con Torino il C. si preoccupò, sin dalle prime notizie sulla conclusione del trattato, di mettere in guardia la corte sabauda dai gravi pericoli che l'alleanza fra le due grandi antagoniste avrebbe procurato al Regno di Sardegna. Le direttive diplomatiche di Vittorio Amedeo II, tese ad appoggiare ora la Francia ora l'Austria a tutto vantaggio della corte di Torino e soprattutto a mantenere l'iniziativa diplomatica, ancora seguite dallo stesso Carlo Emanuele III, erano divenute ormai insufficienti. Il peso politico del Regno di Sardegna, in Italia come in Europa, si riduceva notevolmente: da qui i suggerimenti del C., avveduto conoscitore della politica inglese, di stringere sempre più i legami, già avviati, con la corte di Londra e con Giorgio II. Anche se durante il primo periodo della guerra dei Sette anni egli stesso consigliava di resistere agli inviti del sovrano inglese e di Federico di Prussia ad entrare in guerra a loro fianco e a mantenere il Regno estraneo al conflitto.Richiamato a Torino nei primi mesi del 1760 il C. venne nominato, in riconoscimento dei servizi resi, gentiluomo di camera onorario il 3 marzo dello stesso anno, e il 22 aprile dell'anno seguente, cavaliere dei SS. Maurizio e Lazzaro. Ma già il 10 marzo 1760 aveva ricevuto la nomina ad inviato straordinario presso la corte di Napoli, incarico che ricoprì fino ai primi mesi del 1770.
Anche nel nuovo ambiente della corte di Napoli, tra gli anni 1760-70, il C. si rivelò attento osservatore, sia degli avvenimenti politici, sia dei problemi sociali e culturali del Regno. Sono questi gli anni che vedono il Tanucci lottare contro i privilegi del clero e della feudalità, almeno fino al 1767, quando finì la minor età di Ferdinando IV. Sicché dalle lettere inviate dal C. a Torino si può ricostruire, in una lunga sequenza, il lungo travaglio delle riforme nel Regno di Napoli. Dal contrasto fra il Tanucci e il principe di San Nicandro nel Consiglio di reggenza, al legame che univa l'intelligente ministro al filosofo Genovesi, alla politica ecclesiastica sorta dalla collaborazione tra i due, traspare dai resoconti dell'inviato sardo una tacita approvazione dell'opera del ministro napoletano; anche se non mancano gli accenni critici e verso alcune riforme tentate, ma mai portate a termine, quale la compilazione del "Codice carolino", e verso problemi assai rilevanti ma del tutto trascurati dal Tamicci, quali quelli del rafforzamento militare o della cattiva amministrazione dello Stato, descritti dal C. con evidenti riferimenti al modello sardo.
Un solo esempio per tutti vale a dimostrare l'attenzione con la quale il C. seguiva gli avvenimenti napoletani. Nel novembre del 1768, di fronte alla proposta del Genovesi di abolire la cattedra di diritto canonico, detta delle Decretali, sorse un'ampia opposizione che si concretò nella difesa di questa cattedra "antichissima", fatta dalla magistratura nella consulta della R. Camera di S. Chiara, alla quale il ministro degli Affari ecclesiastici Carlo De Marco aveva rimesso l'opinione del Genovesi. Sicché, nonostante lo stesso Tanucci considerasse "vergognosa" la decisione della R. Camera di S. Chiara, non osò accettare fino in fondo la proposta del Genovesi e la prima cattedra delle Decretali fu trasformata in una cattedra "dei concili", ovvero di storia ecclesiastica. Di tutta la discussione il C. inviò a Torino la più ampia documentazione, mostrando di aver notato l'isolamento del Genovesi nella cultura accademica del tempo e l'incapacità o forse l'impossibilità da parte del Tanucci di sostenere fino in fondo l'azione del filosofo salernitano.
La corrispondenza del C. da Napoli denota inoltre, nell'inviato sardo, una profonda conoscenza dei caratteri e delle personalità dell'ambiente della corte napoletana, conoscenza che gli permise alcune notevoli intuizioni. Come quella che, nel 1768, gli consentiva già di scorgere nella giovanissima regina Maria Carolina una forte e decisa volontà di avere parte nel governo del Regno, volontà concretatasi nella richiesta del rispetto dei capitolati di nozze, voluti da Maria Teresa, secondo i quali la regina doveva, non appena avesse dato al re un erede, prendere parte al governo, come effettivamente si verificò pochi anni dopo.
Di ritorno a Torino, un nuovo più importante impegno attendeva il Castellar. Il 5 dic. 1770 veniva infatti nominato ministro di Stato e primo segretario per gli Affari esteri, ufficio ancora vacante dopo la morte del conte Francesco di Viry nel 1766 e retto pro tempore dal cavalier Raiberti, primo ufficiale del dicastero. Il C. esercitò tale ufficio per poco più di due anni, fino all'aprile del 1773, quando, in seguito alla morte di Carlo Emanuele III, il nuovo sovrano Vittorio Amedeo III licenziò i collaboratori del padre, formando una nuova burocrazia e una nuova corte. Tuttavia in questo caso l'allontanamento del C. venne motivato da motivi di salute e addolcito dalla nomina a grande di Corona, fatta il 22 aprile dello stesso anno. Nel corso del suo incarico due furono in particolare i problemi che impegnarono il C.: quello della soppressione della Compagnia di Gesù, che si profilava imminente in seguito alla elezione di Clemente XIV al soglio pontificio, e quello suscitato dalla richiesta di aiuto del re Stanislao di Polonia al sovrano piemontese, accompagnata da una proposta di matrimonio dello stesso re con una principessa di Savoia. Nel primo caso il C. inviò precise istruzioni ispirate a un cauto attendismo, all'inviato sardo a Roma conte di Rivera, mentre nel secondo venne chiamato direttamente in causa dalla lettera che il re di Polonia, conosciuto personalmente anni prima a Parigi, gli aveva inviato il 27 ott. 1772.
La lettera di risposta del ministro, del 21 novembre dello stesso anno, fu ispirata da quel desiderio di pace, da quel senso di prudenza che traspaiono da tutta l'azione diplomatica sabauda del periodo: dai tentativi operati presso le varie corti europee per porre fine alla guerra dei Sette anni all'atteggiamento assunto di fronte alla questione corsa. Attestazioni di stima, sollecitudine, rincrescimento per i gravi avvenimenti, ma nessuna azione concreta che potesse porre in crisi la posizione internazionale del Regno o mettere in pericolo l'opera di consolidamento all'interno, tanto tenacemente perseguita da Carlo Emanuele III. Del resto la stessa lettera del sovrano piemontese, che seguì di poco (febbraio 1773)quella del suo ministro al re di Polonia, fu del medesimo tenore: un netto rifiuto a qualsiasi ipotesi di intervento, anche solo diplomatico, velato da un sincero rincrescimento per la sorte della Polonia.
Durante la sua permanenza a Torino in questi anni il C. si dedicò anche alla cura del suo patrimonio, ottenendo tra l'altro nel 1771 l'erezione in comitato del suo feudo di Castellar. L'anno seguente, il 31 marzo, sposò Agnese Teresa Maria Tondut, dei conti Peyre della Costa. Ma il suo ritiro dagli incarichi di Stato non durò molto a lungo: il 17 sett. 1777 venne nominato capitano generale e viceré di Sardegna e il 5 dicembre dello stesso anno ottenne il feudo della Rocchetta con il titolo marchionale.
Giunse a Cagliari nel dicembre dell'anno seguente, succedendo al conte della Marmora e si dedicò con grande energia al tentativo di applicare le riforme volute dal Bogino già dal 1753. che il C., in alcune lettere di quegli anni da Dresda, mostrava di approvare caldamente. Sin dall'inizio del suo governo indicava alla corte una delle cause principali del malcontento della borghesia sarda nella nomina di stranieri alle cariche più onorifiche dell'isola e suggeriva di chiamare a Torino e in Piemonte i sardi a esercitarvi cariche e uffici "con vantaggio di amendue le nazioni". Destinò nel 1779 la ricca biblioteca dei gesuiti in Cagliari ad accrescere quella pubblica dell'università; riformò l'ospedale della città arricchendone lo scarso patrimonio con la concessione di numerosi lasciti, a questo destinati, ma ancora sotto amministrazione regia; curo egli stesso la pubblicazione di Avvertimenti destinati alla migliore coltivazione dei campi, richiedendo che i vescovi esortassero con lettere pastorali i loro diocesani a curare la diffusione e gli innesti degli alberi da frutto. Col regio editto 29 sett. 1780 decretò l'emissione di "biglietti di credito da scudi 20 ciascuno" fino alla somma di 1.500.000 di lire sarde, garantiti dalla Tesoreria e l'anno seguente pubblicò il regolamento del Monte di Cagliari, ispirato agli statuti del Monte di S. Paolo di Torino.
Tuttavia il suo governo nell'isola non andò esente da numerose critiche, culminate nel 1780in un attacco diretto alla sua persona, con la pubblicazione di una commedia anonima, La gara della Giunta reale, ossia lo scoprimento dei ladri civili, nella quale erano interlocutori lo stesso viceré e altri funzionari piemontesi. In essa il C. veniva accusato di essersi illecitamente arricchito, in seguito al rincaro dei viveri seguito alla carestia di quell'anno e di aver venduto al pubblico ad alto prezzo frumento giunto dall'Africa già avariato. In realtà la satira era indirizzata a colpire funzionari minori dell'amministrazione, certo colpevoli di vari abusi, più che il C., essendo certa la sua estrancità ai fatti. Negli anni seguenti anzi egli autorizzò la costituzione di monti frumentari nelle province e di magazzini per la conservazione dei raccolti.
Sul finire del 1781 il C. venne richiamato a Torino, lasciando l'incarico al conte Valperga di Masino, e l'8 luglio 1783 fu nominato gran ciambellano di Sua Maestà, dopo essere stato creato cavaliere di gran croce dei SS. Maurizio e Lazzaro nel 1777 e dell'Ordine supremo della SS. Annunziata nel 1780, quando era già segretario dello stesso Ordine. Come gran ciambellano inoltre divenne "Capo e primo Direttore della reale Accademia di pittura e scultura", carica alla quale si dedicò con notevole impegno.
Durante lo svolgimento dei suoi incarichi il C. non trascurò gli studi letterari: tradusse dal francese in italiano l'Elettra di Crébillon e pubblicò nel 1784, presso la Stamperia reale, una raccolta di sonetti e madrigali Vacui sub umbra lusimus. Ma più che come autore egli è ricordato come protettore di letterati, cultore di musica e "tra i musici un mecenate dal discernimento finissimo". Numerose le opere a lui dedicate: tra queste il Saggio di poesia di Giuseppe Passeri, apparso a Napoli nell'anno 1766;l'opera di Giovan Francesco Fara Chorographia Sardiniae libri duo. De rebus Sardois libri quattuor, diffusa manoscritta dal padre Alberto Salinas a Cagliari nel 1778ed edita molti anni dopo a Torino nel 1835, per volere del figlio del C., marchese Agostino, "edente Aloisio Cibrario", con una sua breve biografia. A Torino gli dedicarono alcuni lavori il Porporato e l'Oliveri. Il suo amore per le lettere e le arti gli valse la nomina, nell'agosto del 1792, a "Protettore della Compagnia dei professori delle arti liberali..., sotto il patrocinio di S. Luca", divenuta successivamente nel 1835 l'Accademia albertina.L'ultimo incarico avuto dal C., di grande prestigio e legato alla sua carica di gran ciambellano, fu la nomina a commissario plenipotenziario di Sua Maestà a Milano "per ricevere la sposa del duca di Aosta Vittorio Emanuele...", Maria Teresa d'Asburgo, figlia dell'arciduca Ferdinando Carlo di Lorena, fratello dell'imperatore Giuseppe II e governatore di Lombardia. Successivamente il C. si dedicò esclusivamente ai suoi incarichi letterari e alla vita privata. Morì a Torino il 28 genn. 1793.
Dal suo matrimonio aveva avuto oltre al figlio, Agostino, nato a Torino il 16 marzo 1776, due figlie: Maria Agnese Costanza nata nel 1777 e morta nel 1797, e Luisa Felicita, nata nel 1781, moglie del marchese Giuseppe Luigi Solaro della Chiusa di Battifallo. Il figlio Agostino ereditò dal padre l'amore e l'interesse per le scienze e le arti; amico e protettore anch'egli di letterati e artisti fu membro del Collegio elettorale durante il periodo del dominio francese; ufficiale della Legion d'onore, venne creato conte dell'Impero francese nel 1810 e divenne successivamente presidente dell'Accademia delle scienze di Torino. Con lui, morto nel 1838, si estinse la famiglia.
Fonti e Bibl.: La corrispondenza diplomatica è conservata nell'Arch. di Stato di Torino, Arch. di Corte, Lettere ministri, Olanda, mm. 50-60; Due Sicilie, mm. 14-22. La documentaz. inviata da Napoli sulla soppressione della cattedra di diritto canonico è nello stesso Archivio, Materie polit. estere in genere, mazzo 53. Varie patenti e biglietti di nomina in Arch. di Stato di Torino, Sezione Camerale, Patenti Controllo Finanze, sub voce, per gli anni 1754, 1761, 1762, 1770, 1773, 1777, 1783, 1789; Archivio di Corte, Casa Reale, Cerimoniale, per gli anni 1783-1792 (con numerosi documenti concernenti la carica di gran ciambellano); per l'incarico di viceré, Ibid., Paesi, Sardegna, Corrispondenza Viceré, 1778-1781. Per quest'ultimo incarico infine si v. la corrispond. e le carte, numerosissime, conservate nell'Arch. di Stato di Cagliari, R. Segreteria di Stato e di Guerra del Regno di Sardegna (1720-1848), Corrispond. viceregia colla Corte e la Segreteria di Stato in Torino, e Carteggio del Viceré con le autorità dell'isola, nonché le serie Affari esteri, Affari di Corte, Affari interni, per gli anni 1778-1781. Presso la Bibl. reale di Torino si conservano alcune lettere del C. ad amici letterati torinesi da Dresda e Lipsia del 1748, in Mss. Varia 267, Epistolario Pavesio e altri, cc. 16-21, 65. Del C. esiste un elogio funebre: I. Vemazza, Il marchese G. V. ... L. di C., in Bibl. oltremontana, Torino 1793, pp. 95-110, ripubblicata in I. F. Farae Chorogr. Sardiniae libri duo..., a cura di A. Lascaris-L. Cibrario, Augustae Taur. 1835, pp. IX-XXIV. Sull'attività diplom. si veda D. Carutti, Storia della diplom. della corte di Savoia, IV, Torino-Firenze 1880, pp. 432, 492-496 e una breve nota in F. Venturi, Settecento riformatore, II, Torino 1976, p. 181, ove tuttavia il C. viene confuso con il padre Giulio Cesare. Si vedano inoltre: C. Dionisotti, Storia della magistratura piemontese, II, Torino 1881, p. 448; D. Carutti, Storia della Corte di Savoia durante la Rivoluz. e l'Impero francese, II, Torino 1892, p. 381; Torino, Bibl. reale: A. Manno, Il patriziato subalpino (dattiloscritto), XI, p. 198. Per il periodo trascorso in Sardegna: Squarcio di una lettera di un ufficiale sardo a un cavaliere Piemontese concernente le pubbliche feste... per S. E. il sig. marchese don G. L. viceré di Sardegna, Cagliari 1778; G. Manno, Storia moderna della Sardegna dall'anno 1773 al 1799, Torino 1842, pp. 12-24; M. Vinelli, I monti frument. nella storia e nella giurispr., Cagliari 1907, pp. 23 ss.; G. Prato, Problemi monet. e bancari nei secc. XVII e XVIII, Torino 1916, pp. 239 s. Si vedano infine: G. Galli della Loggia, Cariche del Piemonte e paesi uniti …, III, Torino 1798, p. 7; D. Carutti, Storia del regno di Carlo Emanuele III, II, Torino 1859, p. 292; C. Calcaterra, Il nostro imminente Risorgimento, Torino 1935, pp. 573, 578.