VIVIANI, Giuseppe
– Nacque ad Agnano di Pisa il 18 dicembre 1898.
Le poche notizie reperibili sulla sua famiglia raccontano di un’infanzia profondamente segnata dalla morte del padre, chimico e direttore di una fabbrica che produceva acido solforico nella zona di Ferrara, il quale mancò quando Viviani aveva solo due anni. Con la madre si trasferì allora presso la casa del nonno materno, ortopedico specializzato nella realizzazione di protesi per gli arti.
Viviani non frequentò le scuole e trascorse gli anni della giovinezza a Marina di Pisa. Dedicatosi sin da giovane alle arti figurative, e sempre da autodidatta, affiancò alla pratica artistica svariati mestieri, almeno fino alla fine della seconda guerra mondiale: fu prima garzone nella bottega del nonno, poi impiegato di una ditta che recuperava marmi sui fondali marini, venditore, pescatore e cacciatore (la caccia restò per tutta la vita una sua grande passione); per un periodo fu anche coinvolto negli spettacoli di un circo equestre.
Le sue prime prove pittoriche si datano al 1916, quando cominciò a dipingere il paesaggio del litorale pisano più come divertimento che come serio impegno. Senza maestri né particolari riferimenti visivi e con limitate possibilità di accedere – anche solo tramite libri e riviste – al mondo delle avanguardie italiane e internazionali, Viviani seguì inizialmente la via del paesaggismo toscano. Alla persistente continuità postmacchiaiola si affiancarono, nel bagaglio visivo del giovane, le notizie delle prime prove di Lorenzo Viani, qualche incisione dell’espressionismo internazionale e gli esordi del modernismo nelle illustrazioni. La sua prima mostra si tenne in un locale di piazza delle Baleari a Marina di Pisa nel 1922: a quella data Viviani aveva già cominciato a sperimentare anche le tecniche incisorie.
La prima fase della sua attività artistica (1916-40) è da intendere come una lunga stagione di pratica e di studio condotta in forma solitaria al fine di migliorare le proprie capacità tecniche. Il primo importante riconoscimento nel campo delle arti grafiche data al 1929, quando vinse il primo premio alla Mostra internazionale di incisione a Monaco di Baviera. Agli iniziali lavori con la ceramolle affiancò presto puntesecche e acqueforti, e con il passare degli anni aumentò l’intreccio segnico e la ricercatezza dei passaggi chiaroscurali (Autoritratto con riccioli, 1926, acquaforte; I coniugi, 1930, ceramolle; Barca e spiaggia, 1935, acquaforte particolarmente vicina alle iconografie e alle composizioni di Carlo Carrà). Per tutti gli anni Venti Viviani lavorò tenacemente anche alla pittura, riferendosi, per i temi visivi (i casolari della campagna pisana e della costa) e le modalità di composizione, all’esempio di Carrà paesaggista.
Intorno alla metà degli anni Trenta, raggiunta una certa sicurezza dei propri mezzi tecnici, avvenne in Viviani un importante cambiamento. Al dominante naturalismo del suo precedente lavoro si sostituì, nell’incisione e nella pittura, un personale tono favolistico: entro ambienti architettonici semplici sono collocati personaggi inerti, spesso umili lavoratori fermati in gesti quotidiani. Il pescatore, il gelataio, il venditore di caramelle sono rappresentati insieme a piccoli oggetti familiari (Il gelataio, 1935, olio su tela; Terrazza, fichi e orologio, 1936, acquaforte; Cocomero e sedia, 1938, acquaforte). Dopo le prime sperimentazioni con la puntasecca, la ricerca nel campo delle arti grafiche portò Viviani a preferire, negli anni Trenta, l’acquaforte, che gli consentiva una più attenta calibrazione dei neri e dei chiaroscuri. Le prime lastre particolarmente apprezzate precedettero la seconda guerra mondiale, e tra i primi a riconoscerne la bravura per lo «stile chiaro», «senza affettazione» e dettato da «regole severe», ci fu proprio Carrà (1938). Il corpus incisorio di Viviani in questi anni presenta soprattutto nature morte, a volte collocate davanti a un orizzonte marino, altre volte inquadrate dall’alto e innaturalmente allargate sul piano pittorico; tornano inoltre lavoratori còlti contro sfondi prospetticamente sregolati (Natura morta a Bocca d’Arno, 1936, acquaforte; L’emigrante, 1936, puntasecca; Il mentaio, 1937, acquaforte).
Dopo i quarant’anni iniziò la fase più importante della vicenda artistica di Viviani. Incisore negli stessi anni di Luigi Bartolini, ma soprattutto di Giorgio Morandi, dovette inevitabilmente misurarsi con la grande lezione del maestro bolognese, e fu da lui guidato nella profonda concentrazione sull’oggetto e sulle modalità della sua trascrizione incisoria.
Viviani trascorse gli anni della guerra isolato nella campagna pisana; i temi della distruzione e della tragedia comparvero solo in alcuni disegni e incisioni della metà degli anni Quaranta (come nella sanguigna Il sinistrato, 1945, o nelle dieci litografie raccolte in Romanzo nero, una tragica cartella pubblicata nel 1946 che racconta storie di tradimento e di morte).
Dopo la fine della guerra Viviani inaugurò un filone di scene insolitamente popolate: ricorrente, soprattutto in pittura, fu lo sfondo urbano colorato e vivace – il bar, la farmacia, la sala del barbiere, riempiti di uomini e donne dagli occhi grandi e stralunati (Le ‘segnorine’, 1945; La politica, 1948; La farmacia, 1953 – oli su tela). Il passaggio fu da una «periferia sonnolenta» (Giuseppe Viviani, 1962, p. 8) a un gremito luogo di città, dalle marine dai colori spenti ai più sgargianti negozi della spiaggia. Tutto però rimane illuminato da una luce chiara che sembra non fare mai ombra: «Il est toujours midi chez Viviani» (de Mandiargues, 1951).
Culturalmente piuttosto isolato, Viviani scelse negli anni Cinquanta di non uscire da Marina di Pisa e di non inserirsi in gruppi o movimenti. Preferì condurre una ricerca solitaria su temi ricorrenti, raffigurando luoghi della quotidianità affollati da oggetti comuni (cani e orologi, gabbiani e cocomeri), in ambientazioni sempre poco rispettose di rapporti dimensionali canonici o di prospettive regolari. Non era raro in lui l’intento di verificare temi simili, se non identici, attraverso tecniche differenti. Solitamente era il disegno a dare avvio a un processo che era poi trasferito in pittura e successivamente, anche a distanza di anni, sulla lastra, con le nuove soluzioni espressive dettate dalle esigenze del bianco e nero (per esempio l’olio Fiori della prigione, del 1949, tradotto in acquaforte nel 1955). Solo negli anni Cinquanta Viviani praticò in modo sistematico la litografia, ancora una volta, su soggetti che spesso riprendevano quelli degli anni precedenti: questa tecnica gli consentì stesure larghe, immagini più sintetiche e un diverso confronto con le possibilità espressive del colore.
La produzione pittorica di Viviani restò sempre in secondo piano rispetto a quella grafica: le letture critiche insistettero molto su un suo «primitivismo» pittorico, in realtà poco spiegabile con riferimenti cólti a Henri Rousseau, e piuttosto da interpretare come un progressivo affinamento dei suoi iniziali modi formalmente incerti, e poi sempre più sorvegliati e resi volontariamente affini al figurativismo popolare. Il forte squilibrio tra la fortuna della sua pittura e quella della grafica è ben evidente confrontando i premi ricevuti: i pochi riconoscimenti che ottenne per la pittura avvennero in contesti per lo più provinciali, mentre il crescente impegno nell’incisione lo portò nel dopoguerra a una prima serie di importanti soddisfazioni. Dopo gli iniziali premi per l’incisione nel 1949 alla CX Esposizione della Società promotrice di belle arti di Torino e alla II Mostra nazionale del disegno e dell’incisione moderna di Reggio Emilia, seguirono, nel 1950, quello per l’incisione alla XXV Esposizione internazionale di Venezia e, nel 1951, l’analogo premio alla Biennale di San Paolo del Brasile. Nel 1952 vinse il premio internazionale della Mostra del bianco e nero di Lugano e poi alla VI Quadriennale di Roma. Premi importanti si susseguirono anche nel decennio successivo: spicca quello per la calcografia alla V Biennale dell’incisione contemporanea a Venezia nel 1964. Nel 1960, intanto, la città di Pisa lo aveva nominato cittadino benemerito in occasione di un’importante mostra delle sue opere (Mostra di Giuseppe Viviani, 1960). A partire dal secondo dopoguerra, scrissero della sua attività incisoria, con sincero apprezzamento, Giuseppe Marchiori, Marco Valsecchi, Leonardo Sinisgalli, Libero de Libero: tra tutti emerge, per convinzione e per impegno, Carlo Ludovico Ragghianti.
Chi lo conobbe ne lasciò il ricordo di uomo orgoglioso e amareggiato da una vita segnata dalle difficoltà e dalla ricerca di un’affermazione sempre maggiore. A partire dagli anni Cinquanta, con i primi premi e successi importanti, Viviani ambì a ricoprire la cattedra di incisione all’Accademia di belle arti di Firenze: fu in ciò sostenuto da parecchi critici e storici dell’arte che nel frattempo avevano cominciato a scrivere di lui, primo fra tutti Ragghianti. Ottenne l’insegnamento di grafica, illustrazione del libro e disegno dal vero a Firenze, tra il 1952 e il 1953; poi la cattedra di incisione all’Accademia di Carrara; per la nomina alla cattedra di incisione a Firenze – ai suoi occhi ancor più importante per essere stata un tempo tenuta da Giovanni Fattori – dovette aspettare l’ottobre del 1956. Buona testimonianza della fatica e della pervicacia con cui ottenne la nomina è il ricco carteggio con l’amico e letterato Piero Chiara, di quindici anni più giovane ma a lui molto legato fin da quando si conobbero a Pisa, nel 1950. Sempre nei primi anni Cinquanta Viviani conobbe Elda Benso, in seguito divenuta sua moglie e, negli anni successivi alla morte, preziosa collaboratrice alle monografie sull’artista.
Noto sedentario (come risulta chiaro dall’epiteto che lui stesso si diede, «Principe di Bocca d’Arno»), Viviani si spostò molto raramente dalla provincia di Pisa; tra le poche occasioni di viaggio ci furono proprio gli incontri nei luoghi di origine di Chiara, tra il lago di Varese e la Svizzera – luoghi poi entrati nella memoria dell’artista e ripescati in quei rari dipinti e disegni che non hanno per sfondo la provincia toscana (Con il mio amico Chiara a Zurigo, 1953; Barcadero a Locarno, 1953). Chiara conobbe Viviani nei suoi anni artisticamente più fortunati e si fece carico anche della sua promozione sul mercato diffondendone stampe, disegni e quadri tra collezionisti lombardi e ticinesi. Nel 1960 curò la prima importante raccolta completa della grafica di Viviani, uscita presso Rebellato con una presentazione di Franco Russoli. Nel 1957, intanto, l’editore Vallecchi aveva pubblicato la prima importante monografia su Viviani, con introduzione di Enzo Carli e apparato critico di Pier Carlo Santini.
A oggi si contano quasi quattrocento dipinti, più di cento acqueforti (oltre a una ventina poi espunte dall’artista), più di sessanta litografie e più di ottanta disegni (Giuseppe Viviani, 1999): una produzione né contenuta né sterminata, per un artista dall’ispirazione facile, ma segnata anche da frequenti periodi di inattività coincidenti con i periodi di maggior inquietudine. Viviani fu anche scrittore, autore di poesie e di brevi prose, occasionalmente pubblicate come accompagnamento alle sue raccolte di incisioni.
Morì a Pisa il 16 gennaio 1965, quando era ancora in piena attività e in una delle fasi di maggiore felicità creativa. In occasione della IX Quadriennale di Roma di quell’anno gli fu dedicata un’importante retrospettiva.
Fonti e Bibl.: Le maggiori raccolte di documentazione su Viviani sono conservate nell’archivio privato pisano degli eredi dell’artista.
C. Carrà, Arti plastiche. Cinque pittori (Galleria Barbaroux), in L’Ambrosiano, 19 ottobre 1938; Incisioni di G. V. Prefazione di Italo Cremona, Venezia 1939; G. Viviani, Romanzo nero, cartella di 10 litografie, a cura di L. de Libero - E. Galassi, Roma 1946; A.P. de Mandiargues, Gravures de G. V. (catal.), Paris 1951; G. V. Presentazione di Libero de Libero (catal.), Roma 1951; Mostra di G. V.: incisioni, disegni, pitture (catal.), a cura di G. Nudi, Pisa 1960; G. V., a cura di C.L. Ragghianti, Milano 1962; Litografie di G. V.: catalogo, a cura di M. Valsecchi, Milano 1964; G. V.: catalogo delle opere, a cura di R. Varese, Pisa 1968; N. Micieli, V. litografo, Pontedera 1988; G. V., acqueforti & xilografie: catalogo dell’opera grafica completa (catal.), Roma 1991; G. V.: favole, ricordi e dolci sofferenze (catal.), Varese 1999; V.: opera incisoria. Catalogo generale, a cura di N. Micieli, Pontedera 1999; G. V.: catalogo generale, a cura di S. Guarasci, Pisa 2015.