ZAMBONI, Giuseppe
Nacque ad Arbizzano, nella Valpolicella, il 1° giugno 1776, da Luigi e da Caterina Rensi.
Terminati gli studi presso il seminario vescovile di Verona, fu nominato abate nel 1800. Cominciò la sua attività di insegnante nel 1802, prima di logica e metafisica presso le scuole pubbliche di S. Sebastiano a Verona, poi, nel 1805, come professore di elementi di fisica generale e particolare nell’appena istituito liceo centrale di Verona.
Il Liceo, che nel 1805 si trovava negli ex locali gesuitici di S. Sebastiano, nel 1808 venne ufficialmente riaperto nella sede dell’ex convento domenicano di S. Anastasia con il nome di liceo-convitto (oggi liceo classico e linguistico Scipione Maffei).
Sin dall’inizio della sua carriera, a S. Sebastiano, il giovane Zamboni manifestò un forte interesse per lo sperimentalismo, attitudine che caratterizzò sia la sua attività didattica che la ricerca. Fu l’anima motrice del gabinetto di fisica liceale, inizialmente composto di una collezione di strumenti scientifici, già appartenuta alle scuole pubbliche, che l’abate riuscì ad ampliare grazie anche alla sua rete di conoscenze.
Evidenze epistolari suggeriscono che l’interesse di Zamboni per la pila elettrica era già vivo nel luglio del 1800. Nelle sue primissime forme, la pila a secco di Zamboni era composta di una serie di coppie di fogli di carta argentata e fogli di carta dorata, cioè, rispettivamente, fogli di carta coperti da uno piccolo strato di stagno (o una lega di rame e zinco detta tombacco) e fogli di carta ricoperti da una lamina di rame. Tali fogli, originariamente di forma quadrata, di un pollice di lato e in numero di duecento coppie, erano impilati e compressi, in modo che i metalli delle due qualità di carta combaciassero. Il tutto infine era ricoperto da uno strato di mastice, producendo una «Piletta sotto la forma di un dado» (G. Zamboni, Della pila elettrica a secco, Verona 1812, p. 21). Il più antico esemplare di pila a secco tutt’ora esistente sembra essere un dispositivo formato da più di duecento coppie di fogli, datato al 15 luglio 1812 e conservato presso il gabinetto di fisica del liceo Maffei a Verona.
I primi sostanziali miglioramenti avvennero nelle settimane immediatamente successive al 15 luglio 1812, quando Zamboni decise di utilizzare unicamente fogli di carta argentata ricoperta, sulla superficie non zincata, da un sottile strato di piombaggine, cioè di grafite, oppure di una pasta a base di carbone polverizzato. Alessandro Volta, nel settembre dello stesso anno, gli comunicò per via epistolare che il «manganese nero», cioè il diossido di manganese, «di ottima qualità supera d’assai nella facoltà elettromotrice e la piombaggine e il miglior carbone» (G. Zamboni, Della pila elettrica a secco, Verona 1812, p. 38). La pila di Zamboni compare, più comunemente, con lamine a forma di dischetti, che possono arrivare anche a duemila unità.
Il 1812 fu un anno importante anche per la pubblicazione della già menzionata dissertazione Della pila elettrica a secco (Verona 1812), dedicata a Volta, il quale definì la pila di Zamboni come migliore di quella da lui sviluppata. La bravura dell’abate consisté anche nella capacità di trovare un modo efficace di applicare il diossido di manganese sugli strati di carta argentata, così da ottenere una pila pratica e funzionale.
Gli sforzi di Zamboni, che si dedicò anche alla commercializzazione delle sue pile, si collocano all’interno di un quadro intellettuale vasto e complesso. Da un lato, vi era l’intento di provare l’ipotesi di Volta sulla tensione di contatto, dall’altro, questo dibattito era teso a produrre pile di durata e forza elettromotrice sempre maggiore e di esplorare nuovi possibili impieghi tecnologici. Tale impresa si inserisce in un dialogo internazionale che vide la partecipazione di scienziati fra i quali spiccano lo stesso Volta, Jean-Baptiste Biot, Charles-Bernard Desormes, Jean Nicolas Pierre Hachette e, soprattutto, Johann Wilhelm Ritter e Jean André Deluc. Zamboni non fu, di fatto, l’ideatore o il costruttore della prima pila a secco, come spesso si legge, ma realizzò una versione di pila particolarmente efficace che ebbe particolare successo e diffusione in Europa.
Zamboni individuò alcune applicazioni pratiche della pila, come il cosiddetto elettromotore perpetuo, un pendolo in oscillazione “perenne” fra due elettrodi collegati a pile di segno opposto. L’elettromotore, che Zamboni realizzò con il supporto del Carlo Streizig, macchinista presso il gabinetto di fisica del liceo-convitto, fu oggetto di tre saggi: la Descrizione ed uso dell’elettromotore perpetuo (Verona 1814), L’elettromotore perpetuo (Verona, 2 voll., 1820 e 1822) e Sull’elettromotore perpetuo istruzione teorico-pratica (Verona 1843). Interessante, a tale riguardo, è la notizia che venne data di questa invenzione in The philosophical magazine (1815, vol. 45, f. 201, 1815, p. 67). Un esemplare di pendolo di Zamboni, fra i vari che sopravvivono, si trova presso il Museo di storia della fisica dell’Università di Padova.
Fu proprio da quello che Zamboni definirà il desiderio di poter «dirigere la forza elettrica, che tien vivo il moto» (G. Zamboni, Sull’elettromotore perpetuo istruzione teorico-pratica, Verona 1843, p. 3) che trae origine una fortunata serie di orologi elettrici, realizzati con il supporto di vari collaboratori, fra i quali ricordiamo Carlo Streizig, Antonio Pozzi e Antonio Camerlengo (G. Zamboni, L’elettromotore perpetuo, II, Verona 1822, pp. 345-351). La costruzione di orologi elettrici, da parte di Zamboni e Streizig, risalirebbe già agli inizi del 1814 (G. Zamboni, All’Accademia reale delle scienze di Monaco […], Verona 1816, pp. 32 s). Così facendo, l’abate pose le basi dell’orologeria elettrica, i cui prodromi rimangono dibattuti, ma che videro il concomitante impegno anche di Alois Ramis e Francis Ronalds.
Esemplari di orologi elettrici di Zamboni possono essere ammirati, ad esempio, presso il Museo di storia dell’arte di Modena e presso l’Accademia di agricoltura scienze e lettere di Verona.
L’abate, che si interessò anche di magnetismo e si dedicò allo studio di un nuovo tipo di galvanometro, era attivo sul piano scientifico istituzionale, come dimostra la sua affiliazione a numerose accademie scientifiche, fra le quali l’Accademia di agricoltura scienze e lettere di Verona e la Società italiana delle scienze detta dei XL. Era impegnato anche a livello internazionale, come attestano i suoi viaggi in Italia e in Europa, ad esempio a Vienna, su invito di Klemens von Metternich, ma anche a Roma, Napoli, Parigi e Londra. In tali occasioni, sembra che Zamboni sia entrato in contatto con rimarchevoli personalità scientifiche del tempo, come André-Marie Ampère, François Arago e Augustin-Jean Fresnel (Pasini, 2011, p. 7).
Morì a Verona il 25 luglio 1846.
Incerti rimangono i contorni precisi del suo impegno ecclesiastico, in larga parte trascurato dai biografi. Sopravvivono vari modelli di pile a secco, di elettromotori e orologi elettrici. Una buona parte di questo materiale si trova oggi presso il gabinetto di fisica del liceo Scipione Maffei di Verona. Il grosso di questo patrimonio storico e scientifico, così come la stessa figura dell’abate Zamboni, necessitano ancora di un'adeguata attenzione da parte degli storici.
Oltre agli scritti sopra indicati, si consideri anche Dell’apparecchio idrostatico più semplice ed universale, in Memorie della Società italiana delle scienze, Sezione di Fisica, 1823-1825, vol. 19, f. 2, pp. 354-363; Invenzione d’un orologio elettrico e del così detto moto perpetuo, in Poligrafo, 1831, vol. 5, pp. 87-92; Lettera del professore G. Z. al direttore di questi Annali sopra un micrometro magneto-elettrico, in Annali delle scienze del regno Lombardo-Veneto, 1832, vol. 2, p. 229; Descrizione di un nuovo galvanometro, ossia elettroscopio dinamico universale, in Annali delle scienze del regno Lombardo-Veneto, 1833, vol. 3, pp. 290-294; Sull’argomento delle pile secche contro la teoria elettro-chimica, Verona 1836.
T. Ronconi, Le origini del R. liceo ginnasio S. Maffei di Verona, in Studi maffeiani […], a cura di F. Doro, Torino 1909, pp. 1-316; P. Forlati, Segnatempo “veronensis”, Verona 1987, passim; M. Tinazzi, Perpetual electromotive of G. Z. Manufacture, comparisons and develops [sic], in Atti del XVI congresso nazionale della Società italiana degli storici della fisica e dell’astronomia, Milano e Como...1996, a cura di P. Tucci, Como 1997, pp. 667-715; M. Tinazzi, The life and work of G. Z. in the light of his unpublished letters, in Atti del XVII congresso nazionale della Società italiana degli storici della fisica e dell’astronomia, Milano e Como...1997, a cura di P. Tucci, s.l., s.d., pp. 291-309; W. Hackmann, The enigma of Volta’s “contact tension” and the development of the “dry pile”, in Nuova voltiana. Studies on Volta and his times, a cura di F. Bevilacqua - L. Fregonese, III, Milano 2001, pp. 103-119; M. Tinazzi, The correspondence between Alessandro Volta and G. Z. about the realization of the “dry pile”, ibid., V, Milano 2004, pp. 91-103; G. Modena, Il museo e il laboratorio di fisica, in F. Butturini et al., Immagini. Una scuola una città una storia. Il racconto di due secoli, a cura di F. Butturini, Verona 2008, pp. 51-113; F. Negrini, La scienza a Verona nella prima metà dell’800, tesi di laurea, Università degli Studi di Urbino "Carlo Bo", 2011; L. Pasini, Commemorazione di G. Z. (1776-1846), in Commemorazioni dei soci effettivi 1843-2010, a cura di M. Marangoni, I, Venezia 2011, pp. 6-8; R. Mantovani - F. Negrini, Z. e i suoi strumenti: le origini della collezione storica del liceo ginnasio “Scipione Maffei” di Verona, in Atti del XXX congresso nazionale della Società italiana degli storici della fisica e dell’astronomia, ...2010, a cura di R. Mantovani, Urbino 2012, pp. 317-334; P. Forlati, Gli orologi elettrici con pile Z.: i primi al mondo, in Atti e memorie dell’Accademia di agricoltura scienze e lettere di Verona, CLXXIII (2000), pp. 55-64, ristampato a cura dell’Accademia di agricoltura scienze e lettere di Verona nel 2016.