Zanardelli, Giuseppe
Giurista e politico (Brescia 1826-Maderno, Brescia, 1903). Partecipò ai moti del 1848 e l’anno successivo prese parte alle «Dieci giornate» di Brescia. Si rifugiò in Toscana, dove rimase fino al 1851; dopo un breve esilio in Svizzera, nel 1859 fu inviato da Garibaldi a Brescia, per promuovere l’insurrezione di giugno. Deputato della sinistra dal 1860, ministro dei Lavori pubblici (1876-77) e degli Interni (1878), fu relatore (1880) della proposta di legge sulla riforma elettorale e ministro della Giustizia (1881-83). Contro il trasformismo di A. Depretis Z. rivendicò la funzione autonoma della sinistra e diede vita (1883) al blocco di opposizione parlamentare detto «pentarchia» (con F. Crispi, A. Baccarini, B. Cairoli e G. Nicotera). Di nuovo ministro della Giustizia (1887-91), preparò il codice penale che da lui prese nome, rimasto in vigore fino alla promulgazione del codice Rocco (1930). Le sue profonde convinzioni liberali lo indussero a osteggiare la politica estera di F. Crispi e i provvedimenti da lui adottati in occasione dei moti di Sicilia e di Lunigiana (1893); nel 1898, criticò anche la repressione violenta delle manifestazioni milanesi messa in atto dal governo di A. di Rudinì, di cui pure faceva parte come ministro della Giustizia (1897-98). Presidente del Consiglio (1901-03), con il suo governo si inaugurò la svolta liberale che caratterizzò il primo decennio del 20° secolo.