ZANETTI, Giuseppe
ZANETTI (Miti, Mitizanetti), Giuseppe. – Nacque a Modena il 9 ottobre 1859, figlio di Vincenzo, avvocato, politico e consigliere cittadino, e di Amalia Miti, appartenente a una nobile e facoltosa famiglia.
Del periodo giovanile si hanno poche notizie; in seguito alla morte del padre, avvenuta quando aveva quattro anni, dovette affrontare un periodo di indigenza; il rigore della madre, restia a smembrare, per orgoglio aristocratico, il pur cospicuo patrimonio di famiglia fondato su numerosi immobili e terreni, contribuì a definire il carattere del ragazzo.
La formazione, seppur tra le aule delle accademie, è paragonabile a quella di un autodidatta, tanto fu segnata da incostanza e scarsa attitudine. Le poche date a cui ancorarsi provengono dai registri accademici. Fra il 1873 e il 1875 risulta iscritto all’Accademia di Modena, dove seguì i canonici corsi propedeutici, quali la classe di elementi di ornato (nei due anni di permanenza), elementi di figura ed elementi di paesaggio (nell’anno accademico 1874-75). Non si conoscono le ragioni che lo spinsero a trasferirsi, nei bienni 1875-76 e 1876-77, presso l’Accademia di belle arti di Bologna. Nel capoluogo emiliano frequentò con una certa discontinuità l’istituto d’arte; ai consueti insegnamenti preaccademici (elementi di ornato, di figura e di architettura) cercò di affiancare l’insegnamento di paesaggio e anatomia: lezioni in verità mai seguite, secondo le note del registro dell’istituto bolognese. Ancora documentato entro il 1882 in città, dove si era rivolto alle arti applicate e alla frequentazione degli studi degli artisti, si dedicò alla pittura su seta e strinse un rapporto proficuo con Emanuele Brugnoli.
Il decisivo legame con Venezia va fatto risalire a un viaggio giovanile, probabilmente compiuto intorno ai diciannove anni, durante il quale rimase profondamente affascinato dalla città. Nel 1884 decise di lasciare l’Emilia per raggiungere Brugnoli, che operava in laguna fin dal 1880. Furono questi gli anni del confronto con la tradizione pittorica veneziana, approfondita soprattutto attraverso il vedutismo settecentesco. Il clima culturale effervescente legato a Ca’ Rezzonico si rivelò determinante per instillare nuovi stimoli artistici; Zanetti, infatti, soggiornava in una delle stanze del palazzo, affittata dal poeta inglese Robert Browning, e condivideva i grandi spazi usati come studi da molti artisti per ridurre le spese. La decisione di utilizzare il cognome materno e di anteporlo a quello paterno nacque durante i primi anni di residenza, dettata dalla volontà di distinguersi da un artista quasi omonimo nell’ambiente veneziano, Vettore Zanetti.
Nel corso dei primi anni trascorsi a Venezia Miti Zanetti iniziò a conseguire un discreto successo, frutto di una produzione che rivelava una sostanziale adesione al paesaggismo declinato nei temi a motivi tratti da Guglielmo Ciardi, ma svolto con uno stile proprio, corsivo. Alcuni dipinti ricevettero importanti riconoscimenti nelle principali esposizioni internazionali: Chiaro di luna, premiato con la medaglia di bronzo all’Esposizione internazionale di Parigi del 1889, e Burano, con il quale ottenne la medaglia d’oro a Monaco di Baviera nel 1893. Alle proficue presenze all’estero corrisposero analoghi successi in Italia: dall’Esposizione nazionale di Bologna del 1888 (Calma (Laguna veneta) e Figlio della laguna) a quella di Roma del 1893 (Giudecca e Autunno), alle promotrici torinesi (Una sera d’estate, premiata con la medaglia d’oro nel 1895), fino a due episodi fondativi della storia espositiva postunitaria come la Mostra triennale di belle arti di Brera del 1894, anno in cui Miti Zanetti fu nominato socio onorario della stessa accademia, e come la fiorentina Festa dell’arte e dei fiori del 1896, dove, artista già di un certo peso, ebbe l’onore di tenere una personale con ventidue opere. La fama di cui godeva era vincolata anche a una serie di acquisti da parte della famiglia reale, sincera estimatrice dei suoi brani pittorici: Figlio della laguna e Una sera d’estate furono acquistati direttamente per la collezione privata del sovrano.
Nel 1895, Venezia addormentata (a Venezia, Galleria d’arte moderna di Ca’ Pesaro, si conserva un monotipo esposto alla Biennale del 1905 e derivato dal prototipo) segnò il folgorante esordio alla Biennale di Venezia. Il dipinto introduce il motivo di una lettura neoromantica della città, affine, seppur con sfumate differenze, alle scelte proposte da Mario de Maria. L’esposizione veneziana divenne, negli anni successivi, il principale palcoscenico per l’artista, tanto da parteciparvi senza interruzioni fino al 1926; beneficiò sempre del sostegno del pubblico, testimoniato dalle numerose vendite a nobili e collezionisti, ma anche a enti commerciali, ed ebbe, per tre decenni, il plauso pressoché unanime della critica.
A partire dal 1896, anno in cui Miti Zanetti si sposò con la dalmata Carolina Tomich, iniziarono a comparire fra le opere alcune acqueforti a tema vedutistico. Quello della grafica fu un percorso che non abbandonò più. Già nella II Biennale del 1897 si registrano solo due tele (tra cui Nella malaria, Venezia, Galleria d’arte moderna di Ca’ Pesaro) al confronto di dodici acqueforti, salutate dall’apprezzamento di Ugo Ojetti, che, anche in futuro, avrebbe tributato elogi al pittore emiliano. Miti Zanetti si applicò con dedizione alle tecniche incisorie, sperimentando non solo le acqueforti, ma dedicandosi anche all’acquatinta, alla puntasecca e, negli ultimi anni di vita, al monotipo.
Nel 1901, forte della sua fama, partecipò con successo al concorso nazionale promosso dagli Alinari per la realizzazione di una nuova versione illustrata della Divina Commedia e fu incaricato di eseguire una delle trentasei tavole a corredo del volume, quella destinata all’VIII canto del Purgatorio. La scelta dell’artista di non mantenere una perfetta adesione al testo dantesco non fu scevra di critiche da parte degli esegeti del poema, ma è comunque emblematica della capacità di confrontarsi con soggetti estranei al suo alfabeto pittorico, partecipando a un’impresa editoriale cui collaborarono i massimi incisori italiani. Nel 1903 Miti Zanetti iniziò invece il rapporto di collaborazione con la rivista Novissima, della quale fu illustratore.
Il successo di critica e pubblico – fra i suoi estimatori e collezionisti si annoveravano la regina madre Margherita, la duchessa d’Aosta, il principe reggente di Baviera, Giuseppe Ricci Oddi – trovò la piena legittimazione con la personale allestita in occasione della IX Biennale del 1910: trenta opere esposte e introdotte in catalogo da un breve saggio di Ojetti. Una sommaria ricognizione dei suoi lavori fa emergere una tendenza propria dell’artista, ovvero quella di proporre vedute notturne della città, delle quali sarebbe diventato l’indiscusso specialista.
Parte della critica ha cercato di ravvisare nei motivi di Miti Zanetti modelli riferibili al paesaggismo nordico o inglese, ma che si sono rivelati, anche per incoerenze di carattere temporale – Miti Zanetti iniziò a sperimentare simili vedute fin dalla metà degli anni Ottanta –, incompatibili. In realtà, i soggetti paiono inserirsi nel novero delle proposte di Antonio Fradeletto e di un nutrito gruppo di autori contemporanei (in primis Antonio Fontanesi) cui l’artista guardò sempre con attenzione. L’indubitabile interesse della critica per simili temi, paragonati spesso a vedute monocromatiche, venati di lirismo e inquietudine, e privati di accenni veristi, garantì al pittore una fama duratura.
Alla prima metà del secondo decennio del Novecento risalgono le ultime partecipazioni alle esposizioni straniere: vanno almeno ricordati il dipinto Notturno, Chioggia esposto a Parigi nel 1912 e acquistato dal Musée du Luxembourg, il fortunato invio di dipinti in Sudamerica (Buenos Aires e Santiago) e le presenze a Lipsia o a San Francisco.
Con lo scoppio della prima guerra mondiale, Miti Zanetti lasciò Venezia per Genova, stabilendosi presso il fratello. Anche in seguito alla morte del figlio Mariano al fronte, tragedia che gli provocò forti turbamenti, al termine del conflitto si trasferì infine a Milano. Qui divenne particolarmente apprezzato come incisore, sebbene non recise i legami con l’amata Venezia.
Nel dopoguerra, la sua vena iniziò a rarefarsi, limitandosi principalmente a proporre alle Biennali opere che ripetevano, senza stravolgerli, gli stessi canoni stilistici e rinnovavano i consueti temi. Significativa fu la partecipazione all’Esposizione delle Tre Venezie, organizzata nel 1917 a Milano come surrogato delle Biennali, sospese a causa del conflitto.
Miti Zanetti morì a Milano il 29 gennaio 1929, a causa delle complicazioni prodotte da un attacco di ulcera che l’aveva colpito tre giorni prima.
La presenza di una sua opera in occasione della mostra Trent’anni d’arte veneziana promossa durante la XVIII Biennale del 1932 e il suo inserimento nella sezione dei vecchi maestri della Mostra dei 40 anni della Biennale (1935) furono, da parte dell’ambiente artistico veneziano, che da decenni lo aveva accolto (dal 1900 era accademico d’onore dell’Accademia di belle arti della città, e nel 1908 accademico di merito), il riconoscimento postumo. La selezione delle quattro opere, scelte significativamente fra quelle del primo periodo veneziano e quelle dell’ultima fase (Nell’estuario, 1892; Francesco del deserto, 1892; Notturno, 1926; Autunno, 1927), lo elevò a capofila di una certa tradizione vedutistica d’impostazione neoromantica, un’idea supportata anche a livello della bibliografia critica (questa la lettura che ne dava ad esempio Arturo Lancellotti), che avrebbe da quel momento accompagnato la fortuna dell’artista.
Fonti e Bibl.: L. Chirtani, Tre paesaggi e un giovane paesista, in Natura ed arte, III (1894), pp. 394-397; U. Ojetti, Mostra individuale di G. M. Z., in IX Esposizione Internazionale d’Arte della Città di Venezia (catal.), Venezia 1910, p. 124; C. Bozzi, L’esposizione delle tre Venezie, in Emporium, XLV (1917), 270, p. 425; M. Pilo, G. M. Z., Milano 1917; G. Nascimbeni, Artisti contemporanei: G. M. Z., in Emporium, L (1919), 298, pp. 188-198; Mostra individuale del pittore G. M. Z. (catal.), Milano 1925; A. Lancellotti, Le Biennali veneziane dell’anteguerra dalla I alla XI, Alessandria 1926, p. 130; D. Buffoni, G. M. Z., in Mostra individuale del pittore G. M. Z. e della pittrice Gilda Pansiotti (catal.), Milano 1927; L. Landini, G. M. (Modena 1859 - Milano 1929), Reggio Emilia 1979 (con bibl. ulteriore); L. Frigieri Leonelli, Pittori modenesi dell’Ottocento, Modena 1986, pp. 161-170; S. Vicini, M. Z., G., in La pittura in Italia. Il Novecento. 1, 1900-1945, II, a cura di C. Pirovano, Milano 1992, pp. 977 s.; M. Fuoco, Gli artisti modenesi alla Biennale di Venezia, Modena 1993, pp. 21-25; C. Gizzi, L’arte nuova e Dante (catal.), Milano 2000, p. 120, nn. 107-108; N. Stringa, Venezia dalla Esposizione Nazionale Artistica alle prime Biennali: contraddizioni del vero, ambiguità del simbolo, in La pittura nel Veneto. L’Ottocento, a cura di G. Pavanello, I, Milano 2002, p. 118; M. Piccolo, M. Z., G., ibid., II, Milano 2003, p. 766; A. Barbieri, A regola d’arte..., Modena 2008, pp. 194 s.; M.L. Giumanini, Uomini dell’Accademia. Studio prosopografico sui presidenti e sul personale dell’Accademia di Belle Arti di Bologna (1803-1877), Bologna 2008, pp. 368-371.