ZOCCHI, Giuseppe
– Nacque a Firenze, nella parrocchia di San Pier Maggiore, il 19 marzo 1716 da Leonardo di Clemente e da Lucia di Giovanni Piccioli (Ingendaay, 2013, p. 119 nota 25). Il padre, che viene indistintamente registrato nei documenti anche con il nome di Lorenzo, era un umile manovale al servizio dei conti Della Gherardesca ed era solito servirsi dell’aiuto del figlio.
Intorno al 1730 Giuseppe fu notato mentre era intento a disegnare delle figure, su un muro della villa fiesolana allora di proprietà di Giulio Cesare della Gherardesca, dal marchese Andrea Gerini, il quale, riconosciuto il talento del ragazzo, lo prese sotto la sua protezione e gli procurò come maestro il pittore Ranieri Del Pace (lettera di Pier Antonio Gerini a Luigi Lanzi del 21 novembre 1795, in Maser, 1967, p. 47; v. inoltre Tosi, 1997, p. 301 doc. VII). La prima provvisione da parte di Gerini data al 1732 (Ingendaay, 2013, p. 105), mentre l’apprendistato con Del Pace, uno degli esponenti più singolari della cultura figurativa tardo-barocca locale e autore di vasti cicli ad affresco nei palazzi dell’aristocrazia cittadina (Gregori, 2006), si protrasse verosimilmente fino alla morte del maestro nel 1738, anche se non rimane traccia del contributo del giovane Zocchi alle ultime imprese portate a termine da Del Pace insieme ai pittori quadraturisti Giuseppe Pillori e Domenico Giarrè, come la decorazione della villa Martelli a Scandicci (Spinelli, 1995).
Il percorso formativo di Zocchi fu contraddistinto sia dall’esperienza di frescante a contatto con gli specialisti della quadratura, determinante per l’acquisizione delle regole prospettiche e forse consolidata grazie alla frequentazione di uno dei maggiori pittori illusivi contemporanei quale Lorenzo del Moro (Gregori, 1994b, p. 164), sia dal patronato di due mentori fuori dall’ordinario: il sopracitato Gerini, erede di una notevole quadreria di famiglia, mecenate a sua volta e promotore delle due celebri serie delle vedute di Zocchi negli anni Quaranta (Ingendaay, 2013), e il nobile fiorentino Francesco Maria Niccolò Gabburri, storiografo e intenditore d’arte con una spiccata predilezione per il collezionismo di disegni e stampe, passioni che condivideva con Sebastiano Resta, Anton Maria Zanetti il Vecchio, Antonio Pellegrino Orlandi, Pierre-Jean Mariette e Pierre Crozat (Barbolani di Montauto, 2006). Nel 1737, all’Accademia delle arti del disegno, dove fin dal 1730 Gabburri ricopriva il ruolo di luogotenente, Zocchi fu premiato tra i giovani promettenti della classe di pittura ed entrò nell’entourage di artisti ai quali Francesco Maria Niccolò aveva affidato l’esecuzione di disegni, destinati a essere tradotti in incisione, tratti dai dipinti più prestigiosi nelle collezioni granducali e patrizie e nelle chiese cittadine; tale progetto, che s’inseriva nelle grandi iniziative editoriali coeve volte alla divulgazione delle opere e delle antichità fiorentine, quali il Museum Florentinum e il Museum Etruscum, pubblicati a partire dal 1731 a cura di un circolo di eruditi capeggiati dall’antiquario Anton Francesco Gori (Borea, 2009), rimase inattuato a causa della morte di Gabburri nel 1742, ma diede l’opportunità a Giuseppe di cimentarsi dapprima come copista, per poi passare alla realizzazione di vedute, come si evince dal sintetico profilo biografico che Gabburri stesso gli dedicò un anno prima di morire (1741).
Il 6 aprile 1739 Zocchi sposò Giovanna Comucci e si trasferì in piazza di S. Spirito, dove risiedette fino alla morte; dall’unione nacquero tre figli, il futuro incisore Cosimo nel 1747, Neri nel 1753 e Anna nel 1760 (Ingendaay, 2013, p. 104). Al biennio 1739-40 vengono ascritti i dipinti a olio raffiguranti La corsa dei carri in Piazza Santa Maria Novella, pervenuta nel 1882 al Musée des beaux-arts di Nancy, Il gioco del calcio in Piazza Santa Croce e La festa degli omaggi in Piazza Signoria in una collezione privata inglese, i quali presentano delle stringenti somiglianze con la tavola XXIV della serie delle vedute fiorentine, quella che illustra Il calcio in Santa Croce e reca la data del 1738-39 (Gregori, 1994a, p. 44). Più recenti ritrovamenti documentari hanno permesso di posticipare al 1748-49 l’esecuzione delle due vedute senesi con Il Palio del 2 aprile 1739 e con La fiaccolata notturna in Piazza del Campo del 3 aprile 1739, tradizionalmente riferite al 1740 e facenti parte della collezione del Monte dei Paschi. Esse vennero commissionate a Zocchi dal nobile senese Orazio Sansedoni in ricordo dei festeggiamenti avvenuti durante la visita in città del nuovo granduca di Toscana Francesco Stefano di Lorena e della consorte Maria Teresa d’Austria (Sottili, 2010).
I disegni preparatori delle incisioni furono in parte elaborati entro il 1741, anno in cui Gerini fu in grado di mostrare alcuni fogli al residente inglese Horace Mann; tra i fogli più antichi sono probabilmente da ascrivere quelli corrispondenti alle ultime quattro tavole della Scelta di XXIV vedute della città di Firenze e raffiguranti le feste cittadine. Essi si rifanno ancora alla lezione secentesca di Jacques Callot e sono antecedenti ai viaggi che Zocchi compì all’aprirsi del quinto decennio nell’Italia settentrionale e a Roma come stipendiato di Gerini (Gregori, 1994a, p. 45). Il giovane artista si recò dapprima a Venezia per svolgere un apprendistato presso la bottega dell’incisore Giuseppe Wagner ed ebbe modo di studiare le opere dei principali vedutisti contemporanei: Luca Carlevarijs, Canaletto, Marco Ricci, Michele Marieschi (Tosi, 1997, p. 52). Nell’estate del 1740 Gerini invitò a Firenze il giovane Bernardo Bellotto, che vi dipinse quattro vedute ed ebbe probabilmente modo di frequentare il collega fiorentino da poco rientrato in città (Ingendaay, 2013, p. 191; il referto documentario toglie ogni dubbio circa il primo soggiorno fiorentino di Bellotto, al quale ne seguì un secondo nel 1742 favorito dai marchesi Riccardi: Gregori, 1983; Gregori, 1994b, pp. 201 s.). Nel 1741 Zocchi s’iscrisse ufficialmente all’Accademia delle arti del disegno e ricevette il saldo da parte del marchese Bernardino Riccardi per l’esecuzione degli affreschi della villa del Terrafino presso Empoli (p. 211 nota 49), dove collaborò con i più anziani pittori Niccolò Nannetti e Matteo Bonechi a un vasto ciclo decorativo andato in gran parte perduto (Tosi, 1997, pp. 49-51). Al 1741 vengono datati gli episodi della vita di Cristo affrescati da Zocchi nel casino situato in prossimità dell’approdo sull’Arno, il cosiddetto Porto dei Frescobaldi, nella tenuta marchionale della famiglia poco distante da Montelupo Fiorentino (Leonelli, 2007, 2008); lo stato disastroso in cui versano gli affreschi li rende difficilmente giudicabili, ma le parti meglio conservate suggerirebbero una datazione prossima alle pitture murali di palazzo Rinuccini.
Al 1742 viene datato il doppio ritratto in ovato raffigurante Anton Maria Zanetti il Vecchio e Gerini mentre visionano cammei e intagli, oggi al Museo Correr di Venezia, che il marchese inviò in segno di gratitudine al sodale veneziano dal quale aveva appena ricevuto in dono un volume contenente cinquanta stampe tratte da disegni del Parmigianino provenienti dalla collezione del conte di Arundel; nella coeva effigie in collezione privata che ritrae Gerini in tenuta domestica, mentre intrattiene degli ospiti, è possibile identificare in Zocchi il giovane sullo sfondo grazie al confronto con l’autoritratto che il pittore inserì nel frontespizio delle Vedute delle ville della Toscana (Tosi, 1997, pp. 54 s.; sui ritratti della famiglia Gerini v. anche Sottili, 2019). Egli stava frattanto completando i disegni per le incisioni (gli autografi sono dal 1952 alla Pierpont Morgan Library di New York: Mason, 1981, p. 13): entro il marzo del 1742 Gerini inviò a Roma al proprio cugino Domenico Martelli i fogli con le vedute di piazza degli Antinori, degli Uffizi e di palazzo Strozzi che sarebbero state di lì a poco trasposte su lastra dagli incisori locali Giuseppe Vasi e Baldassarre Gabbuggiani. All’anno successivo risale il citato frontespizio delle Vedute delle ville, in cui insieme alla personificazione della Toscana figurano l’autoritratto dell’artista ventisettenne con accanto il busto del suo mecenate e sullo sfondo le tre dimore dei Gerini, le ville delle Maschere, di Ronta e di Montughi. Tra la fine del 1743 e l’inizio del 1744 Zocchi si recò a Roma, dove incise di sua mano la Veduta di Castelfiorentino (inserita nella serie delle Ville), ebbe modo di stabilire dei contatti con il giovane Giovanni Battista Piranesi e il pensionnaire dell’Accademia di Francia Philothée-François Duflos (Tosi, 1997, pp. 57 s.), e si lasciò affascinare dalla cosmopolita cultura figurativa romana, dalla ritrattistica di Pompeo Batoni e dal vedutismo pittoresco e capriccioso di Giovanni Paolo Panini (Sestieri, 2018) e di Claude-Joseph Vernet, artisti che vennero ingaggiati da Gerini per l’esecuzione di dipinti destinati al suo palazzo fiorentino di via Ricasoli (Ingendaay, 2013, pp. 179 s.).
Nell’estate del 1744, per conto dello stampatore fiorentino Giuseppe Allegrini, uscì il volume dal titolo Scelta di XXIV vedute delle principali contrade, piazze, chiese e palazzi della città di Firenze recante la dedica alla granduchessa Maria Teresa d’Austria e contenente le incisioni ad acquaforte e bulino tratte dai disegni zocchiani, con la sola eccezione del frontespizio realizzato da Giuseppe Magni, e intagliate dagli incisori nordici Johann Andreas Pfeffel e Johann Sebastian Müller, dai fiorentini Carlo Gregori, Pietro Antonio Pazzi, Bernardo Sansone Sgrilli, Vincenzo Franceschini e Marco Antonio Corsi, dal bolognese Giuseppe Benedetti, dai romani Vasi e Gabbuggiani, dai veneziani Marieschi e Pietro Monaco. Le vedute coniugano l’indimenticata tradizione secentesca fiorentina – sono ancora avvertibili i debiti verso Callot, Stefano della Bella, Giulio Parigi, Remigio Cantagallina, Pandolfo Reschi – con lo studio dei modelli veneziani contemporanei e con l’uso della camera ottica che restituisce una puntuale e analitica visione degli spazi urbani (sul volume: Mason, 1981; Gregori, 1994a; Gregori, 1994b; Tosi, 1997, pp. 64 s.).
Il corrispettivo pittorico delle tavole rimane il cospicuo nucleo di dipinti a olio, variamente replicati e disseminati per la maggior parte in collezioni private, in cui Zocchi traspose le nitide immagini di una Firenze monumentale popolata da vezzose figurine abbigliate secondo la moda contemporanea, come mostrano ad esempio le tre Vedute della Cassa di risparmio di Firenze, la Veduta del Ponte a Santa Trìnita del Museo Thyssen-Bornemisza a Madrid, le due Feste già presso Sir Everard Radcliffe e la Veduta di Piazza Signoria già in collezione Ashburnham (Gregori, 1994b, p. 192).
Nello stesso anno e presso il medesimo stampatore fu pubblicata la raccolta di cinquanta Vedute delle ville e d’altri luoghi della Toscana che vide impegnati alcuni degli incisori della serie precedente insieme ai fiorentini Niccolò Mogalli e Filippo Morghen, a Piranesi e a Duflos da Roma, a Giuseppe Filosi, a Giuliano Giampiccioli e a Wagner da Venezia. Il repertorio figurativo del disegnatore sembra ampliarsi ulteriormente e includere suggestioni emiliane e romane; in alcune tavole traspare un’attenzione per il dato naturalistico tale da elevare a soggetto il percorso stesso del fiume Arno (sulla raccolta: Tosi, 1997, pp. 82 s.; Bevilacqua, 2010).
Le due serie riscossero un’immediata eco internazionale, furono ristampate a Firenze da Giuseppe Bouchard nel 1754 e nel 1757 (Gregori, 1994b, p. 161) e procurarono a Zocchi nuove opportunità nell’ormai fiorente settore delle imprese editoriali corredate da illustrazioni: egli incise un rame e ne realizzò due a quattro mani con Sgrilli per le Azioni gloriose degli uomini illustri fiorentini espresse co’ loro ritratti nelle volte della Real Galleria edite da Francesco Moücke (1744-1746), fornì il disegno per il fregio della dedicatoria a Gerini che Gori volle inserire nella Vita di Michelangelo di Ascanio Condivi (1746), disegnò e incise ad acquaforte due vedute della chiesa pratese di S. Vincenzo con i parati dei festeggiamenti per la canonizzazione di s. Caterina de’ Ricci (Tosi, 1997, pp. 105 s.).
Alla metà degli anni Quaranta, Zocchi fu impegnato come frescante a cominciare dalla seconda campagna di decorazione della chiesa di S. Carlo, ubicata nell’odierna via di S. Agostino e appartenente all’ordine dei barnabiti, dai quali ricevette tra il febbraio e il maggio del 1747 i pagamenti per la Gloria di Dio Padre nella cupola e per le quattro Virtù nei pennacchi (Neuman, 1984-1986, 1986; Bertani, 1995). Nel 1749 si recò a Venezia, dove dipinse su commissione di Gerini un Trionfo di David attualmente in collezione privata, e rinsaldò i rapporti con lo stampatore Wagner e con il talentuoso incisore fiorentino Francesco Bartolozzi che si era da poco trasferito in laguna; rientrato a Firenze, fornì i disegni che andarono a corredare i trattati di Antonio Cocchi e di Giovanni Bianchi sui bagni termali di San Giuliano presso Pisa (1750 e 1757). Nel 1751 affrescò le Storie di Abramo nel palazzo arcivescovile di Pisa (Tosi, 1997, pp. 118 s.), e nel 1756 gli fu commissionato dal marchese Folco Rinuccini il ciclo nel palazzo fiorentino di via di Santo Spirito, dove compaiono iconografie massoniche (pp. 184 s.; Lenzi Iacomelli, 2012, pp. 179-181). Gli affreschi nel salone al piano nobile di palazzo Gerini, raffiguranti l’Allegoria delle Arti, e quelli nella volta della cappellina, la cui datazione è stata ritenuta prossima al 1756, anno dell’elezione di Gerini a luogotenente dell’Accademia del disegno (Tosi, 1997, p. 178), sono da posticipare tra l’inizio del settimo decennio e il 1764 (Lenzi Iacomelli, 2015), insieme ai due riquadri dedicati a s. Antonino e a s. Carlo Borromeo nel refettorio del convento di S. Giovanni Battista della Calza (Tosi, 1997, pp. 201 s.).
Dal 1750 l’artista iniziò a fornire alla Galleria dei lavori in pietre dure, diretta dall’orafo Luigi Siries, i disegni e i modelli pittorici destinati a essere tradotti a commesso e dai quali vennero realizzate le serie degli Elementi, dei Sensi, dei Giochi, delle Arti, delle Stagioni e delle Parti del Mondo (i disegni e i modelli si trovano rispettivamente al Gabinetto disegni e stampe degli Uffizi e al Museo dell’Opificio delle pietre dure, i quadri a commesso alla Hofburg di Vienna in quanto commissionati da Francesco Stefano di Lorena: Maser, 1967; González-Palacios, 1979; Giusti, 2018). Nel 1754 ricevette l’inedita nomina di Maestro del disegno dei quadri da eseguirsi in pietre dure e nell’ultimo quindicennio di attività incrementò la produzione grafica per i volumi di maggior prestigio stampati a Firenze, tra i quali i frontespizi del Thesaurus gemmarum di Gori (1750) e delle Pitture del salone imperiale del Palazzo di Firenze (1751), e le tavole contenute nei Discorsi di architettura di Giovanni Battista Nelli (1753), nelle Notizie istoriche delle chiese fiorentine di Giuseppe Richa (1754-1762), e nei primi volumi della Raccolta di stampe rappresentanti i quadri più scelti de’ marchesi Gerini (1759) e della Serie di ritratti di uomini illustri toscani (Tosi, 1997, pp. 231 s.). All’inizio degli anni Sessanta risalgono i quindici disegni a penna con soggetti tratti dalle Metamorfosi ovidiane, e conservati alla Biblioteca nazionale centrale di Firenze, per le incisioni di Ferdinando Gregori nell’edizione stampata a Lille nel 1767 (Lazzi, 1994); in quegli anni Zocchi intensificò la collaborazione con Bartolozzi, il quale incise dai suoi originali le serie delle Parti del mondo e dei Mesi, pubblicate a Venezia presso Wagner, e dopo la sua morte realizzò i rami delle sue riproduzioni tratte dai cartoni di Marcantonio Franceschini nella collezione Gerini (Ingendaay, 2002).
Nella primavera del 1767, su incarico dell’Accademia del Disegno, Zocchi si recò a Siena per documentare le feste in onore del nuovo granduca Pietro Leopoldo d’Asburgo Lorena e si ammalò gravemente.
Morì a Firenze il 22 giugno e venne sepolto in S. Frediano, dove l’amico e collaboratore Francesco Panaiotti fece erigere allo scalpellino Carlo Socci un monumento che andò distrutto insieme alla chiesa nel 1783, in concomitanza con l’ampliamento dell’odierno palazzo Magnani Feroni (Supplemento alla serie dei trecento elogi, 1776; Roani Villani, 1984).
Fonti e Bibl.: Firenze, Biblioteca nazionale centrale, ms. Palatino E.B.9.5: F.M.N. Gabburri, Vite di pittori, III, 1741, p. 1529.
Supplemento alla serie dei trecento elogi e ritratti degli uomini i più illustri in pittura, scultura e architettura, Firenze 1776, pp. 550 s.; E.A. Maser, Drawings by G. Z. for works in Florentine mosaic, in Master drawings, V (1967), 1, pp. 47-53; A. González-Palacios, Commessi granducali e ambizioni galliche (e note sulle pietre dure ai Gobelins e a Firenze nel Settecento), in Florence et la France. Rapports sous la Révolution et l’Empire, actes du colloque organisé par l’Istitut français de Florence, Firenze 1979, in partic. pp. 70-86; R.M. Mason, Introduzione, in G. Z. Vedute di Firenze e della Toscana, a cura di R.M. Mason, Firenze 1981, pp. 10 s., 13; M. Gregori, Vedutismo fiorentino: Z. e Bellotto, in Notizie da Palazzo Albani, XII, 1983, 1-2, pp. 242-250; R. Roani Villani, Per Girolamo Ticciati, in Paragone, XXXV (1984), 409, p. 74 nota 14; R. Neuman, Stagi, Betti and Z. at S. Carlo dei Barnabiti; style and meaning in Florentine quadratura of the late Baroque, in Studies in iconography, X (1984-1986, 1986), pp. 119-144; M. Gregori, G. Z. vedutista, in Firenze e la sua immagine: cinque secoli di vedutismo (catal., Firenze), a cura di M. Chiarini - A. Marabottini, Venezia 1994a, pp. 43-47; Ead., La veduta nella prima metà del Settecento: Zocchi e Bellotto, in Firenze nella pittura e nel disegno dal Trecento al Settecento, a cura di S. Blasio - M. Gregori, Milano 1994b, pp. 155-214; G. Lazzi, Di Ovidio. Le Metamorfosi e presenze ovidiane. Manoscritti ed edizioni a stampa dal XV al XIX secolo nelle collezioni della Biblioteca nazionale centrale di Firenze, Firenze 1994, in partic. pp. 95-113; L. Bertani, Le decorazioni pittoriche, gli arredi, la musica, in San Carlo dei Barnabiti a Firenze. Una chiesa ed un collegio all’ombra dei granduchi e dell’Impero, a cura di G. Trotta, Anghiari 1995, pp. 96 s.; R. Spinelli, Per il catalogo di Ranieri del Pace e altri inediti fiorentini del Settecento, in Bollettino della Accademia degli Euteleti della città di San Miniato, LXXVI (1995), 62, in partic. pp. 132 s.; A. Tosi, Inventare la realtà. G. Z. e la Toscana del Settecento, Firenze 1997; M. Ingendaay, Andrea e Giovanni Gerini mecenati fiorentini nel Settecento: i cartoni di Marcantonio Franceschini nella collezione Gerini, in Marcantonio Franceschini. I cartoni ritrovati (catal., Genova), a cura di G. Testa Grauso, Milano 2002, pp. 81-93; N. Barbolani di Montauto, Francesco Maria Niccolò Gabburri “gentiluomo intendente al pari d’ogn’altro e dilettante di queste bell’arti”, in Storia delle arti in Toscana. Il Settecento, a cura di R.P. Ciardi - M. Gregori, Firenze 2006, pp. 83-94; M. Gregori, La pittura a Firenze nel Settecento: dai Medici ai Lorena, ibid., pp. 18 s.; L. Leonelli, Due inediti cicli di affreschi per la famiglia Frescobaldi: G. Z., Vincenzo Meucci e Mauro Soderini nel marchesato di Capraia, in Annali dell’Università degli studi di Firenze, Dipartimento di Storia delle arti e dello spettacolo, VII (2007, 2008), pp. 208-230; E. Borea, Lo specchio dell’arte italiana. Stampe in cinque secoli, I, Pisa 2009, pp. 440-442; M. Bevilacqua, G. Z. e l’architettura, in Vedute delle ville e d’altri luoghi della Toscana, a cura di M. Bevilacqua, Roma 2010, pp. 5 s.; F. Sottili, G. Z. per Orazio Sansedoni: un vedutista fiorentino “sul gusto del Canaletto”, in Paragone, LXI (2010), 723, pp. 64-72; C. Lenzi Iacomelli, Il palazzo del marchese Folco Rinuccini, in Fasto privato, I, Quadrature e decorazione murale da Jacopo Chiavistelli a Niccolò Contestabili, a cura di M. Gregori - M. Visonà, Firenze 2012, pp. 179-181; M. Ingendaay, “I migliori pennelli”: i marchesi Gerini mecenati e collezionisti nella Firenze barocca. Il palazzo e la galleria, 1600-1825, I, Milano 2013, in partic. pp. 103-123, 178-203; C. Lenzi Iacomelli, Le trasformazioni al tempo dei marchesi Andrea e Carlo Francesco, e oltre, in Fasto privato, II, Dal tardo Barocco al Romanticismo, a cura di M. Gregori - M. Visonà, Firenze 2015, pp. 110-114; A. Giusti, Una pinacoteca unica al mondo: i quadri in pietre dure per l’Imperatore d’Austria, in Pietre colorate molto vaghe e belle. Arte senza tempo dal Museo dell’Opificio delle pietre dure (catal.) a cura di S. Rossi et al., Mantova 2018, pp. 153-173; G. Sestieri, G. Z. sulle orme di Gian Paolo Panini, in Originali, repliche, copie. Uno sguardo diverso sui grandi maestri, a cura di P. Di Loreto, Roma 2018, pp. 265-271; F. Sottili, Una conversation piece di G. Z. per Andrea Gerini, in Paragone, LXX (2019), 831, pp. 55-59.