PERLASCA, Giuseppina
PERLASCA, Giuseppina. – Nacque a Como il 1° maggio 1809 da Pietro, negoziante di tessuti di seta, e da Margherita Bossi.
Fu educata nel collegio S. Carlo, retto dalle monache salesiane. Uscita dal convitto, nel 1828 fu data in sposa al ricco farmacista Luigi Bonizzoni, all’epoca quarantenne, che teneva bottega a Como sotto il primo portico di borgo Milano. Dal matrimonio nacquero sei figli: Giocondo, Gaetano, Emilio, Rosa, Luigia e Giuseppa. Nel 1836, durante l’epidemia di colera, Giuseppina si prodigò nell’assistenza ai malati, attingendo dal negozio del marito farmaci e medicamenti. Nel retrobottega usavano ritrovarsi alla sera alcuni amici di Bonizzoni, ma non si trattava di una fucina di cospiratori, essendo il marito di Perlasca ligio all’ordine costituito. Qui nel 1846 Giuseppina conobbe l’allora vicesegretario comunale Luigi Dottesio, con il quale intrecciò una relazione sentimentale alimentata dalla condivisione degli ideali patriottici, e al suo fianco cominciò ad adoperarsi per la diffusione della stampa clandestina uscita dai torchi della Tipografia Elvetica di Capolago, del cui contrabbando Dottesio era tra i principali organizzatori.
Fu tra le numerose donne comasche attive nella rivoluzione del 1848, dopo aver «potentemente concorso, anche col denaro, a preparare l’insurrezione» (Volpati, 1949, p. 34). Nell’autunno 1848 sovvenzionò generosamente la spedizione in Val d’Intelvi, a conferma delle convinzioni democratiche di Perlasca, la cui adesione al movimento mazziniano è comprovata da una lettera inviatale da Giuseppe Mazzini stesso, il quale, in data 29 ottobre 1848, le scriveva: «Io vi chiamerei volentieri sorella invece di Signora, perché l’opera che fate per noi e per le cose nostre è veramente di sorella. […] Vi sono io pure riconoscente dell’esempio che date alle donne del paese nostro» (Scritti editi e inediti, XXXVII, Imola 1923, p. 75).
Dopo la morte del marito, sopravvenuta il 6 gennaio 1848, Giuseppina affidò a Dottesio l’amministrazione dei propri beni. All’inizio del 1850 questi, esule a Capolago, fece ritorno a Como con l’intenzione di sposarla: i parenti di lei, inizialmente contrari, accondiscesero infine all’unione, ma i progetti matrimoniali furono travolti dall’arresto di Dottesio, fermato a Maslianico il 12 gennaio 1851 mentre cercava di passare la frontiera per incontrarsi con Giuseppina. Quella sera alcuni amici di Dottesio si precipitarono a casa Bonizzoni per distruggere «un ammasso di stampati» (Poggi, 1896, p. 41) che vi era depositato, cosicché la perquisizione effettuata dalle autorità la mattina successiva non diede frutto alcuno. Nel maggio 1851, in virtù della complicità di un caporale polacco, Giuseppina riuscì a predisporre un piano d’evasione, ma Dottesio, fiducioso nella clemenza della corte, preferì sottoporsi al processo, che si sarebbe dovuto celebrare a Como. Tuttavia, in seguito alla scoperta della rete cospirativa mazziniana che lo stesso patriota aveva contribuito a tessere in Veneto, alla fine di luglio egli venne trasferito a Venezia. Solo il 3 settembre Giuseppina ottenne, corrompendo gli ufficiali, che le fosse rilasciato il passaporto per Venezia, ove giunse il 5 dello stesso mese: quel medesimo giorno Dottesio, convocato dinanzi al Consiglio di guerra, veniva condannato a morte per altro tradimento. Grazie all’intercessione della contessa Tiretta e «per mezzo del Dio Oro» (Memoria, 1884, cit. in Poggi, 1896, p. 58) per ben tre volte pare che Perlasca abbia avuto modo di visitarlo in carcere, prima che i gendarmi scoprissero l’inganno e le imponessero di rimpatriare.
Tuttavia, questa versione dei fatti – contenuta in una Memoria scritta da Giuseppina nel 1884, a più di trent’anni di distanza dagli eventi – non trova alcun riscontro nelle lettere inviatele da Dottesio dal carcere: la documentazione epistolare, affidata dalla madre al figlio Gaetano, i cui discendenti consentirono a Poggi di consultarla e di riprodurla parzialmente nel volume del 1896, lasciano piuttosto pensare che ai due mai fosse dato riabbracciarsi. Peraltro anche Luigi Pastro, che occupava la cella adiacente a quella di Dottesio, ha sostenuto che Perlasca aveva visitato il compagno in carcere «qualche giorno prima della sua condanna» (Pastro, 1925, p. 48).
In una lettera del 7 settembre 1851, Dottesio, dicendosi convinto di poter ottenere la grazia, sollecitava Perlasca a intercettare l’imperatore, che si trovava allora in visita nel Lombardo-Veneto, per inoltrargli una supplica. In circostanze non del tutto chiare (forse grazie all’intercessione della moglie di un ufficiale austriaco), Giuseppina poté incontrare a Sommacampagna un alto aiutante di Francesco Giuseppe, il quale si mostrò sensibile al suo dolore e si incaricò di presentare la richiesta di grazia al sovrano. Ma la missione non sortì l’effetto sperato e l’11 ottobre 1851 Dottesio fu impiccato.
Nei mesi successivi a Perlasca fu fatto divieto di uscire di casa senza previo avviso alle autorità militari. «Sempre sprezzante di tali ingiusti ordini, non me ne curai né tanto, né poco» – scrive la patriota (Memoria, 1884, cit. in Poggi, 1896, p. 93) e venne perciò redarguita. Nonostante le ammonizioni, «quasi pazza per l’assassinio del Dottesio e desiderosa di provocare quelle idre infernali» (ibid.), riuscì più di una volta a eludere la sorveglianza cui era sottoposta per recarsi prima a Capolago, donde prelevò alcuni stampati clandestini, quindi, nel maggio 1852, a Milano. Venne perciò sottoposta a ripetuti interrogatori e a molteplici perquisizioni, ma «il nascondiglio dei libri e dei fogli rivoluzionari» (ibid., p. 95) che si celava in casa sua non fu mai scoperto.
Nella sua Memoria Perlasca sostiene che fu quest’ultima circostanza a indurre l’autorità militare a disporre il suo arresto che, secondo Nadia Maria Filippini, sarebbe da collocare nel contesto di una strategia messa in atto dal governo austriaco per «intimidire le donne» (Filippini, 2006, p. 126), di cui si riconosceva il ruolo di collegamento all’interno delle reti cospirative.
Una sera dell’ottobre 1852 Giuseppina venne tradotta al comando militare di Como, da qui nottetempo condotta a Milano, nel carcere di S. Margherita, e il giorno successivo trasferita nelle segrete di Mantova, ove trascorse cinque mesi «sola, muta, mal nudrita, mancante di tutto» (lettera dal carcere, s.d., cit. in Poggi, 1896, p. 100). Fu sottoposta a quattro interrogatori, miranti a estorcerle i nomi dei complici suoi e di Dottesio, ma resistette con «incrollabile fermezza» (Memoria, 1884, cit. in Poggi, 1896, p. 103) e nulla rivelò. Suo vicino di cella era Luigi Pastro, al quale si legò d’affettuosa amicizia: non potendosi vedere né parlare, i due comunicavano intensamente per mezzo del «linguaggio del muro» e il medico trevigiano non tardò a innamorarsi di colei che ai suoi occhi incarnava «l’ideale di donna italiana» (Pastro, 1925, p. 126).
Il 14 maggio 1859 sposò in seconde nozze l’avvocato luganese Francesco Pedevilla. Il mese successivo il figlio Giocondo, ufficiale dei bersaglieri dell’esercito sardo, cadde ferito nella battaglia di San Martino e Solferino e morì a Desenzano il 25 giugno. L’anno dopo Perlasca riallacciò i contatti con gli antichi compagni di congiure, in particolare con Gian Battista Carta, al quale nel maggio 1860 si rivolse per far avere del denaro ai volontari che stavano per imbarcarsi a Genova. Nell’agosto e nel dicembre 1864 portò soccorso ai prigionieri d’Aspromonte detenuti nel forte di Vinadio. Dopo la liberazione di Venezia si adoperò affinché le spoglie mortali di Dottesio fossero traslate a Como: ciò che avvenne, con solenne cerimonia, il 25 marzo 1868. Nel 1884 rimase vedova del secondo marito, dal quale si era peraltro già da tempo consensualmente divisa.
Morì a Como, nella sua casa di via Unione n. 32, il 22 giugno 1896.
In punto di morte «si piegò alle pratiche del culto», alle quali nel corso della vita era apparsa «poco propensa» (Poggi, 1896, p. 132).
Fonti e Bibl.: Museo del Risorgimento di Como, Fondo Mori, cart. IV-G, Bonizzoni Giuseppina (contenente diciassette lettere del 1859, la Memoria del 1884 e documenti personali); G. Bennici, Dopo Aspromonte. Ricordi, Torino 1865, p. 47; C. Poggi, G. P. e Luigi Dottesio, Como 1896; G. Giovannini Magonio, Italiane benemerite del Risorgimento nazionale, Milano 1907, pp. 227-244; R. Barbiera, Figure e figurine del secolo XIX, Milano 1908, pp. 343-363; L. Gasparotto, La tipografia degli esuli di Capolago, Como 1911, ad ind.; L. Pastro, Ricordi di prigione 1851-1853, Milano 1925, pp. 47 s., 120-129; R. Caddeo, La Tipografia Elvetica di Capolago, Milano 1930, ad ind.; Dizionario del Risorgimento nazionale, diretto da M. Rosi, II, Milano 1930, ad vocem; C. Volpati, Le donne comasche nella preparazione e nei moti del ’48, in Le cinque giornate del 1848 in Como, Como 1949, pp. 31-40; E. Guicciardi, La signora Joséphine, in La Martinella di Milano, V (1951), 9-10, pp. 438-447; N.M. Filippini, Donne sulla scena politica: dalle Municipalità del 1797 al Risorgimento, in Donne sulla scena pubblica. Società e politica in Veneto tra Settecento e Ottocento, a cura di N.M. Filippini, Milano 2006, pp. 81-137.