giusta causa
Espressione con la quale i giuristi alludono principalmente a quei fatti che legittimano l’estinzione anticipata di un rapporto contrattuale o che, pur senza fondare essi stessi un potere estintivo comunque spettante alle parti del rapporto, incidono nondimeno sulle modalità del suo esercizio, escludendo in particolare la necessità del preavviso. Dalle norme del codice civile italiano vigente si possono ricavare innumerevoli esempi di questo duplice impiego della formula g. c. da parte del legislatore. Quanto alla prima accezione, si può ricordare la previsione dell’art. 2400 c.c., 2° co., secondo cui i sindaci di una società per azioni possono sempre essere revocati per g. c., o quella dell’art. 2610 c.c., 2° co., secondo cui se sussiste una g. c. i membri di un consorzio di imprese, entro un mese dalla notizia del trasferimento di una delle aziende consorziate, possono escludere dal consorzio l’acquirente. Quanto alla seconda accezione, si può ricordare invece la previsione dell’art. 1725 c.c., 2° co., secondo cui, se ricorre una g. c., il mandante può revocare il mandato conferito a tempo indeterminato senza necessità di preavviso e senza neppure dover risarcire il danno al mandatario. I rapporti sul cui svolgimento è prevista l’incidenza di una g. c. di estinzione (in uno dei due modi indicati), pur essendo molto diversi tra loro, si caratterizzano tutti per il fatto di essere rapporti di durata; si tratta, inoltre, di rapporti di natura in senso lato fiduciaria, nei quali assume una spiccata rilevanza il cosiddetto intuitus personae (contratto basato sulla fiducia personale). Si tratta, in particolare, o di rapporti associativi, o anche di rapporti di scambio, nei quali però l’impegno di collaborazione tra le parti rileva in una maniera speciale. In questi rapporti la g. c. designa allora tutti quei fatti sopravvenuti che, frustrando l’aspettativa di speciale cooperazione che ciascuna delle parti si attende dall’altra, non ne consentono la prosecuzione neppure provvisoria e ne legittimano pertanto l’immediata estinzione.
La g. c. rileva in tal senso anche nei contratti di lavoro subordinato. Nei contratti a tempo indeterminato, però, mentre per quanto riguarda il recesso del lavoratore (➔ dimissioni), la g. c. incide unicamente nel senso di escludere la necessità del preavviso (art. 2119 c.c.), per quanto riguarda il recesso del datore di lavoro (cosiddetto licenziamento), ormai da tempo la sussistenza di una g. c. o di un giustificato motivo (notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del lavoratore o ragioni inerenti all’attività produttiva) è considerata invece dal legislatore un presupposto di fatto dello stesso diritto di recesso (art. 1, l. 604/1966). Un licenziamento ingiustificato, pertanto, è senz’altro un licenziamento illegittimo. La tutela del lavoratore a fronte di un licenziamento illegittimo è stata dapprima di tipo esclusivamente risarcitorio, salvo riassunzione da parte del datore di lavoro (tutela cosiddetta obbligatoria: art. 8, l. 604/1965). Successivamente, ma solo per le imprese che superino determinati requisiti dimensionali, l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori (l. 300/1970) ha introdotto un efficace regime di tutela cosiddetta reale del posto di lavoro, prevedendo che il giudice debba ordinare al datore di lavoro la reintegrazione del lavoratore una volta accertata l’illegittimità del licenziamento. Attualmente, però, è ormai in fase avanzata di elaborazione un progetto di parziale ridimensionamento dell’ambito di applicazione di quest’ultima forma di tutela. La ricorrenza di una g. c. deve essere sempre apprezzata dal giudice con riferimento al caso concreto. Tale apprezzamento deve essere operato anche attraverso un opportuno contemperamento dei contrapposti interessi delle parti. Non si tratta peraltro di una valutazione arbitraria, dato che, nel contemperare i contrapposti interessi delle parti, il giudice deve sempre tenere conto delle direttive di valore che si ricavano dal complesso del sistema e innanzitutto dalle norme costituzionali.