FORTUNATO, Giustino
Nacque a Rionero in Vulture (Potenza) il 20 ag. 1777 da Cherubino e da Emanuela Pessolano.
Originaria di Giffoni Vallepiana, nell'entroterra salernitano, la famiglia Fortunato si era trasferita in Basilicata nel 1720, imponendosi presto per il credito economico e per la capacità di esprimere autorevoli uomini di toga e di chiesa. La fortuna familiare nasceva dall'industria del bestiame e dal fitto, "l'una e l'altro indefessamente, personalmente praticati prima in Monticchio, poi, dal 1784 al 1839, a Gaudiano, in fine dal '15 al '49, in Lagopesole" (G. Fortunato junior, 1931, pp. 99 s.). Nella seconda metà del Settecento i Fortunato, grazie anche al disboscamento di Monticchio e alla conseguente crescita economico-sociale di Rionero, conquistarono la guida amministrativa del paese sostituendosi progressivamente all'antica aristocrazia feudale che la legge sull'eversione dei feudi allontanerà, nel 1806, dal potere locale.
Dopo essere stato affidato per breve tempo a un precettore, il F. fu mandato a studiare a Napoli. Nella capitale seguì i corsi di giurisprudenza presso l'università regia, ma s'interessò anche alle materie scientifiche e alla filosofia. Sullo scorcio del riformismo illuminato e agli inizi di quel dissenso ideologico che doveva portare i migliori intellettuali napoletani a sostenere idee rivoluzionarie e giacobine, il F. prese a frequentare clubs e società filofrancesi; conobbe, tra il 1792 e il 1794, i migliori pensatori rivoluzionari e fu allievo dell'accademia di C. Lauberg nella quale "lo studio della chimica, se non proprio un pretesto, si sapeva e si sentiva da quei giovani che era un'opportunità" (B. Croce, Vite di avventure di fede e di passione, Milano 1989, p. 373). Il F. ebbe così occasione di ascoltare discorsi sulla libertà e sui diritti civili, ma anche di conoscere personalmente P. Matera, i fratelli Del Re, G. Serra di Cassano, E. Carafa conte di Ruvo, I. Ciaia, M. Galdi ed E. De Deo.
La reazione seguita ai fatti del '94 spinse il F. a dedicarsi quasi esclusivamente agli studi. Poi, negli anni che precedettero la costituzione della Repubblica napoletana ebbe la possibilità d'insegnare, anche se per breve tempo, matematica presso il Collegio militare di Napoli. All'arrivo dei Francesi il F., noto per il suo antiassolutismo, ottenne dal governo repubblicano l'incarico di giudice di pace. Il precipitare della situazione politica e l'avanzata sanfedista spinsero il F. e la sua famiglia a occuparsi della rivolta che in Basilicata metteva a repentaglio il mantenimento dell'ordine economico-sociale. Se a Rionero la situazione non precipitò fu per il prestigio e per la salda unità familiare dei Fortunato, che riuscirono, anche se a fatica, a tenere in pugno le masse contadine che pure, in alcuni paesi, avevano salutato con entusiasmo il momentaneo cambio di regime politico. A Rionero il nuovo governo repubblicano riuscì a insediarsi solo nel marzo 1799. Il F. si preoccupò che i contadini non trasformassero la loro adesione alla Repubblica in una scelta sociale, rivendicando i diritti conculcati da baroni e fittavoli borghesi. Comunque la sua adesione alla Repubblica fu spontanea e convinta tanto che non esitò a battersi al Ponte della Maddalena contro le truppe del cardinale F. Ruffo, restando fino alla fine fedele al governo filofrancese. Perciò durante i terribili giorni della reazione fu catturato e incarcerato nella fortezza del Carmine da cui riuscì a evadere grazie all'appoggio del generale G. Parisi, presso la cui casa di Moliterno si nascose fino al 1800.
Il ritorno dell'ordine e della legalità convinsero il F. a rientrare a Napoli dove prese a esercitare l'avvocatura, subendo anche lui, prima della seconda dominazione francese, quella maturazione ideologica e civile che spinse i più autorevoli esponenti della borghesia meridionale a sostituire l'estremismo giacobino col moderatismo liberale. Per il F. come per G. Poerio, N. Nicolini e tanti altri ciò comportò un avvicinamento alle istituzioni liberali monarchiche.
L'esercizio della professione e la cura degli interessi familiari costituirono le occupazioni primarie del F. fino all'inizio del Decennio francese nel corso del quale fu chiamato a ricoprire vari incarichi nella pubblica amministrazione. Creata il 18 nov. 1808 la Corte criminale in sostituzione dei tribunali speciali, di cui pure fece parte, il F. fu nominato procuratore regio; poi, come procuratore generale della Corte criminale, il 25 marzo 1809 fu nominato relatore al Consiglio di Stato. In quello stesso anno, con V. Cuoco, fu membro della commissione del contenzioso dello stesso Consiglio. Questa inarrestabile carriera nell'amministrazione murattiana fece del F. una delle personalità più in vista dell'apparato burocratico dello Stato. Contemporaneamente egli si dilettava nello studio dei classici e nella composizione di poesia d'occasione. Nel 1808 promosse nella sua casa napoletana la rinascita dell'Accademia Pontaniana (Monitore napolitano, 16 ag. 1808), a cui ascrisse personaggi quali V. Monti, A. Mustoxidi, V. Cuoco, V. Flauti, V. De Ritis, G. Lopez, T. Manzi, T. Monticelli, D. Sansone, A. d'Azzia, F. Venanson.
Entrato in ottimi rapporti umani con G. Murat, il F. fu inviato nel 1814 in missione a Firenze con l'incarico di commissario nel dipartimento di polizia del generale G. Lechi. Richiamato subito dopo nel Regno, fu inserito nella III sezione della commissione incaricata della riforma legislativa. Il 24 ott. 1814 il Murat lo spedì a Chieti a reggere la turbolenta intendenza dell'Abruzzo Citra: fu questa l'ultima carica ricoperta dal F. prima della fine del Decennio francese. Garantito dal trattato di Casalanza, anche egli, al pari degli altri funzionari dello Stato, poté aderire al restaurato governo borbonico, ma fu subito messo in pensione. Riammesso nei ranghi della magistratura a ricoprire la carica di consigliere della Corte dei conti fu nominato, qualche anno dopo, procuratore generale, permanendo nell'incarico fino al 1842.
Negli anni della Restaurazione fu fidato collaboratore del cavaliere L. de' Medici e restò osservante esecutore della politica borbonica. L'avvento al trono di Ferdinando II (1830) sollecitò alcuni intellettuali liberali a chiedere al giovane sovrano una politica meno assoluta: C. Filangieri, F. Ricciardi e il F. guadagnarono alla causa liberale il responsabile del dicastero di Polizia N. Intonti, il quale cercò di indurre il re a un programma di concessioni politiche. I rivolgimenti politici del 1831 allarmarono però Ferdinando II che licenziò in tronco il ministro, ma non prese alcun provvedimento nei confronti dei tre. Nel 1835 il F. veniva inviato a Palermo come direttore delle finanze presso la Luogotenenza retta da A. Lucchesi Palli, principe di Campofranco. Ritornato a Napoli dopo un solo anno di permanenza in Sicilia, riprese il posto di procuratore generale della Corte dei conti, ma nel 1842 fu chiamato a ricoprire un ministero senza portafoglio nel governo del marchese di Pietracatella, G. Ceva Grimaldi. Nella compagine ministeriale figurava anche N. Nicolini, vecchio amico del Fortunato
Negli anni Quaranta Ferdinando II, confortato dallo stretto legame con l'Austria e dall'alleanza con la Chiesa, s'impegnò in una politica sempre più personale e autoritaria, incurante delle richieste provenienti dalle fila della cultura e della intellettualità liberale. Poi però l'aggravarsi della situazione politica italiana e una pericolosa crisi interna nel novembre del 1847 lo spinsero a un rimpasto governativo: probabilmente l'ispiratore di questa mossa fu il principe F. von Schwarzenberg, abilissimo regista della diplomazia austriaca in Italia. Licenziati i ministri N. Santangelo e F. Ferri, furono chiamati al governo uomini meno invisi al liberalismo napoletano, e tra questi il F., insediato al delicato ministero delle Finanze.
Gli avvenimenti del gennaio 1848 sembrarono aprire una seria strada alle riforme costituzionali, ma la terribile giornata del 15 maggio 1848 aprì una lunga crisi al termine della quale il 6 ag. 1849 il re chiamava al potere il F., primo uomo di Stato di estrazione borghese a essere nominato presidente del Consiglio dei ministri nella monarchia borbonica.
Seguendo le indicazioni della corte, il F. operò un rimpasto e tenne per sé il portafoglio degli Esteri inaugurando una politica illiberale che lo rese inviso a quanti videro nel suo gabinetto il freddo esecutore delle volontà assolutistiche della monarchia, senza che peraltro gli riuscisse di frenare la crisi del Regno. Sul governo F. piovvero allora le critiche della diplomazia internazionale e la pesante campagna diffamatoria degli esuli politici napoletani d'ogni tendenza, da G. Ricciardi a N. Nisco, da G. Racioppi a L. Settembrini; perfino pubblicisti filoborbonici come P. Calà Ulloa e G. De Sivo polemizzarono col F., ma a comprometterne definitivamente la posizione fu la clamorosa denuncia che nel 1851 W.E. Gladstone, reduce da un viaggio a Napoli, fece del regime carcerario napoletano nelle celebri Letters to lord Aberdeen.
Prima che lord Aberdeen, capo del governo britannico, permettesse la pubblicazione del clamoroso documento ci furono delle trattative con l'ambasciatore napoletano a Londra F. Ruffo, principe di Castelcicala, che informò inutilmente il suo governo di quanto stava per accadere: anche l'Austria cercò di evitare la stampa delle Lettere, ma il F., con estrema leggerezza, non informò il re. Il clamore seguito in Europa alla circolazione di quelle dure accuse, spinse Ferdinando II a licenziare il presidente del Consiglio: era il 19 genn. 1852, e da quel momento il F. usciva definitivamente dalla vita politica. La morte lo colse a Napoli il 22 ag. 1862.
Fonti e Bibl.: Documenti sull'attività ministeriale del F. si trovano presso l'Arch. di Stato di Napoli, Presidenza del Consiglio dei ministri, dicasteri di Polizia, degli Affari Esteri e delle Finanze. Altra documentazione si conserva presso la Società napoletana di storia patria di Napoli. Lettere familiari e mss. del F. finirono nelle carte del nipote G. Fortunato junior cui si deve una puntigliosa ricostruzione dell'attività politica e professionale del prozio. Vedi innanzitutto G. Fortunato, Il 15 maggio del 1848 in Napoli, Roma 1916 (2ª ed., ibid. 1918). Questi scritti, che contengono scambi epistolari con A. Della Valle Casanova e F. Persico, confluirono nel volume Appunti di storia napoletana dell'Ottocento, Bari 1931, pp. 95 ss., comprendente il fondamentale contributo Il primo presidente del ministero della reazione a Napoli nel 1849-1851 in cui l'autore cerca di smontare le numerose accuse mosse dalla letteratura risorgimentale al suo avo. A esso si rinvia anche per la ricca bibliografia. Sui rapporti tra il F. e il mondo giuridico napoletano vedi F. Nicolini, N. Nicolini e glistudi giuridici della prima metà del secolo, Napoli 1907.
I più duri critici dell'operato del F. furono P.S. Leopardi, Narrazioni storiche, Torino 1856; P. Sanchez, Necrologia di G. F., Napoli 1862; R. De Cesare, La fine di un Regno, Milano 1969, ad Indicem; L. Settembrini, Ricordanze della mia vita, a cura di M. Themelly, Milano 1961, ad Indicem; F. Petruccelli della Gattina, La rivoluz. di Napoli nel 1848, a cura di F. Torraca, Venosa 1990, pp. 194-198. Per riferimenti alla sua attività di governo vedi ancora R. Moscati, Ferdinando II di Borbone nei documenti diplomatici austriaci, Napoli 1947, pp. 108, 128, 134 s., 137, 139; H. Acton, Gli ultimi Borbonidi Napoli, Milano 1968, pp. 102, 220, 333 s., 349-351. Cfr. anche P. Calà Ulloa, Il regno di Ferdinando II, a cura di G.F. de Tiberiis, Napoli 1967, ad Indicem. Sull'amicizia che lo legò a T. Manzi cfr. N. Cortese, T. Manzi e gli avvenimenti toscani e napoletani del 1799 e del 1815, in Studidi storia napoletana in onore di M. Schipa, cit., pp. 583-602, e B. Croce, Una lettera di Tito Manzi a G. F., in Il Risorgimento ital., VI (1913), pp. 720-723. Due utili contributi biografici sono quelli di A. Musco, Di un economista basilicatese, in Nel primo centenario della elevazione di Rionero a comune autonomo, a cura di R. Ciasca, Firenze 1912, e di G. Paladino, G. F., in Encicl. Italiana, XV, ad vocem. Un importante riferimento alla sua attività di governo in G. Candeloro, Storia dell'Italia moderna, IV, Dalla rivoluzione nazionale all'Unità 1849-1860, Milano 1977, pp. 34 s. Una biografia del F. in T. Pedio, Diz. dei patrioti lucani. Artefici e oppositori (1700-1870), II, Trani 1972, ad nomen (con bibl.).