giustizia
Alcuni psicologi moderni pensano che il senso della g. è particolarmente intenso nei perseguitati. Essi rivendicano ardentemente g., e quanto più ne sono privi, tanto più si fanno un'idea elevata sia del suo valore che dei suoi benefici. Checché ne sia del carattere generale di tale teoria, essa sembra adattarsi perfettamente a D. e alla sua opera.
La g. nelle opere di Dante. - Perseguitato senza sosta, D. si ribella contro l'ingiustizia ormai generale attendendo la g. che re e giudici faranno trionfare, prima che Dio stesso faccia sentire sugl'ingiusti il peso della sua mano.
Il trionfo della giustizia. - D. soffre ingiuste persecuzioni e reclama con tutto il cuore il trionfo della g.: Firenze è piena d'ingiustizie (Pg VI 124-132; g. al v. 130). I tiranni si moltiplicano, i partiti politici ricercano solo il proprio tornaconto (Pd VI 100-108; g. al v. 105). All'inizio del Purgatorio D. dirà che le virtù cardinali hanno abbandonato la terra a causa dell'ingiustizia degli uomini perversi e ingiusti, sin dalla colpa di Adamo (I 22-27). Dell'esercizio della g. è fatto mercato (Mn II IX 9 e 10). Nella Chiesa stessa, come D. scrisse ai cardinali italiani, regna l'ingiustizia: Cupiditatem unusquisque sibi duxit in uxorem, quemadmodum et vos, quae nunquam pietatis et aequitatis, ut caritas, sed semper impietatis et iniquitatis est genitrix (Ep XI 14). Gli uomini tentano d'insorgere contro la g. divina e d'impedirne l'attuazione (Rime Civ 41-50). Questa virtù, senza la quale non c'è pace, nuda e fredda giace (Cv 11-14; g. al v. 6).
Di fronte a un simile trionfo dell'ingiustizia, D. ripete come uno slogan il v. 6 della quarta egloga di Virgilio: " Iam redit et virgo... ": questa vergine è Astrea, dea della g. come sua madre Temi. In Mn I XI 1 D. commenta: mundus optime dispositus est cum iustitia in eo potissima est... ‛ Virgo ' nanque vocabatur iustitia, quam etiam ‛ Astraeam ' vocabant, e nello stesso senso sono da vedere Ep VII 6 e XI 15. Talvolta poi D. passa dal simbolo alla cosa e scrive: torna giustizia, come in Pg XXII 71.
Il monarca giusto restauratore della giustizia. - Di fronte all'ingiustizia trionfante la reazione di D. non è il contemptus o la fuga mundi. Egli nutre speranza certa che la g. verrà ristabilita sulla terra, anzitutto da re buoni (cfr. l'‛ esempio ' di Pg X 93), ma anche da saggi amministratori e da giudici integerrimi. In Paradiso si vedono ricompensati quei capi che assunsero a loro norma il primo versetto del libro della Sapienza: " Diligite iustitiam qui iudicatis terram ". L'ultima lettera M diviene un simbolo: quello della ‛ Monarchia '. E difatti g. e monarchia sono indissolubilmente legate come ingiustizia e tirannia (Pd XVIII 91-99). La Monarchia (I XI 2, 7 e 9) affermerà che la g. regna soltanto per mezzo di un monarca, poiché lui soltanto può mettere la potenza al servizio del bene. Ne va di mezzo la pace del mondo: Quod autem Monarcha potissime se habeat ad operationem iustitiae, quis dubitat nisi qui vocem hanc non intelligit...? (§ 19).
Sotto l'autorità dell'imperatore, le città possono venir amministrate da un senato. D. ritiene che ci sia un rapporto tra senator e senex e che la virtù della g. sia praticata più facilmente dagli anziani che governano la città (Cv IV XXVII 10). I giudici ovviamente hanno anche una speciale giurisdizione per far applicare la g. e distinguere la pena dalla vendetta: ‛ punitio ' non est simpliciter ‛ poena iniuriam inferenti ', sed ‛ poena inflicta iniuriam inferenti ab habente iurisdictionem puniendi ' (Mn II XI 4).
Il Dio giustiziere. - Tra tutti gli attributi di Dio, D. considera con fervore tutto speciale la g. vendicativa. Dio, per lui, è soprattutto la potenza sovrana che punisce i malvagi.
Tale prospettiva è talmente radicata in lui, che egli considera la redenzione di Cristo sotto l'aspetto della g. vendicativa. Egli lascia da parte le altre interpretazioni del dogma, come ad esempio quella di s. Anselmo che vede nell'obbedienza del Cristo una ‛ soddisfazione ' data al Padre. Per D. si tratta di una giusta vendetta: La pena dunque che la croce porse / s'a la natura assunta si misura, / nulla già mai sì giustamente morse (Pd VII 40-42). Tale carattere punitivo è accentuato dal fatto che Cristo subì la passione in conseguenza del verdetto di Pilato, cui era stata conferita giurisdizione dall'imperatore al quale era affidato, per diritto, l'impero universale (Mn II XI 4-6).
" Quia, si in viridi ligno haec faciunt, in arido quid fiet? " (Luc. 23, 31). Instancabilmente, nel corso della sua opera e più specialmente nella Commedia, D. mostra un Dio che punisce i peccatori compiendo opera di giustiziere. Egli è talmente preso dalla prospettiva della punizione da porre assai meno l'accento sulla ricompensa dei giusti (Pd XIX 13), alla maniera dei predicatori del tempo che parlavano cento volte di più del Dio terribile che del Dio buono. Per non dare l'impressione di formulare un giudizio privo di fondamento rinviamo ai seguenti passi: If III 4 (Giustizia mosse il mio alto fattore) e 125 (la divina giustizia li sprona), VII 19, XII 133, XXIX 56, Pg X 106-109 e 126, XXI 65. Ancora sulla g. ‛ divina ' che è viva, sempiterna e rigida, v. If III 50, XIV 6, XXX 70, Pg XI 37, XVI 71, XIX 120 e 123, XXIV 39, XXXIII 71, Pd IV 67, VI 88 e 123, VII 119, XIX 29, 58, 68 e 77 (anche variante in If XXIV 119). La g. divina è desiderata dalle anime del Purgatorio: Pg XIX 77, XXII 4. In Vn XXVIII 1 Dio è segnore de la giustizia. Il termine ricorre ancora in Pg XVIII 117 come ‛ pena ' voluta dalla g. di Dio, in Pd XV 144 dove indica il giusto diritto dei cristiani, in XVIII 116 come g. umana effetto dell'influsso dei cieli, e in Cv IV XXVII 11. In Pd XXX 45 ultima giustizia è il ‛ giudizio finale '.
La g. e l'uomo. - In una prospettiva tanto teocratica e teocentrica, D. dimentica quasi del tutto il dovere che l'uomo ha di costruire un mondo giusto; o piuttosto si tratta per lui di una prospettiva superata. Gli uomini avevano un dovere simile e hanno fallito; tocca ora alle autorità e segnatamente a Dio prendere in mano le redini.
Da questo punto di vista limitato D. parlerà soprattutto della g. secondo i filosofi. Evidentemente la g. si ritrova nel gruppo delle quattro virtù morali celebrate da Platone (CV IV XXII 11, Pg XXIX 130, XXXI 104; cfr. Cv IV XXVII 13) o nell'enumerazione aristotelica delle undici virtù: L'undicesima si è Giustizia, la quale ordina noi ad amare e operare dirittura in tutte cose (CV IV XVII 6). D. riconosce a Zenone il merito di aver identificato g. e verità con il bene supremo (VI 9). Una reminiscenza aristotelica può inoltre trovarsi in Cv I VII 9 (due volte), dov'è espressa l'idea che la g. fa rendere a ciascuno il dovuto, nel giusto mezzo, né troppo né troppo poco, e in XII 9.
La g. nella tradizione filosofico-teologica. - La nozione di g. interviene costantemente nei libri sacri come pure negli scritti dei filosofi. Differenze, beninteso, ve ne sono, e serie: la g. del cristiano viene dalla Grazia di Dio mentre il filosofo crede di poter essere giusto tramite le sue proprie forze. Ma in linea generale le due correnti convergono.
In senso generale il vocabolo designa la rettitudine morale ed equivale ai termini " sanità " e " virtù ". In Gen. 7, 1 Noè è considerato giusto perché rifiuta di associarsi agli errori dei suoi contemporanei. La Sapienza (10, 1-19, 22) dà il nome di ‛ giusto ' ai patriarchi che hanno obbedito a Dio (Noè, Abramo, Lot, Giacobbe, Giuseppe: 10, 4-13) come pure ai giudei del tempo di Mosè (10, 20; 11, 14; 12, 9, ecc.) che si opposero ai disegni degli empi. Per i vangeli sinottici, giusto è colui che si comporta secondo la volontà di Dio, piace a Dio per la rettitudine della sua vita (Matt. 3, 15; 5, 10, 20; 6, 1, 33; 21, 32). S. Giovanni interiorizza l'idea e dichiara giusto colui che vive in Cristo, dimora in lui e compie la sua g. (Ioann.1, 2, 28-29). S. Paolo insegna che il Dio giusto dona agli uomini la sua santità e la sua g. (Rom. 3, 21-26) con la mediazione di Cristo (4, 25). A questo dono l'uomo risponde con la fede che opera la carità (Gal. 5, 6). Così nasce la vera g., quella che proviene da Cristo (Philipp.1, 9-11).
In Platone la g. è essenzialmente la virtù dell'armonia. Sul piano della società essa assicura la coordinazione tra filosofi, soldati e artigiani. Nell'individuo essa regola e coordina per il raggiungimento della perfetta vita morale: la ragione è dominata dalla prudenza, il cuore è governato dalla forza e gli appetiti del concupiscibile sono frenati dalla temperanza. Giusto è colui che eccelle in ciascuna delle virtù e sa coordinarle senza eccessi (Repubblica IV 427d-445e).
Tale idea generalissima della g. si ritrova in Aristotele, per cui la suprema virtù consiste nel conformarsi alle leggi (g. generale e g. legale: Eth. Nic. v 1, alla quale si richiama D. in Cv II XIV 14), o ancora in Cicerone (Off. I XXVIII).
Accanto alla suddetta nozione di g. generale e legale, Aristotele e la sua scuola (Eth. Nic. V) introdussero nella storia del pensiero la nozione ristretta di g. particolare e le sue suddivisioni. In questo senso la g. è una virtù che rende a ciascuno il dovuto, rispetta i diritti, tiene conto delle deficienze e tenta, in ognuno di questi ambiti, di far trionfare l'idea di uguaglianza.
La g. commutativa ad esempio regola lo scambio di beni: il venditore deve dare al compratore l'equivalente di ciò che questi gli procura sia barattando un bene con un altro sia riducendolo alla misura comune e universale del danaro. La g. distributiva (alla quale si richiama D. in Cv IV XI 6) ha per compito il mantenimento di una certa uguaglianza nelle distribuzioni che lo stato fa ai cittadini: la " mina " giornaliera offerta ai membri del tribunale dell'agorà, la spartizione del bottino di guerra, ecc. La g. riparatrice, infine, cerca di ristabilire l'uguaglianza compromessa dal cattivo comportamento di alcuni. Essa obbliga il ladro a restituire i beni che ha preso e lo punisce in proporzione alle esigenze del bene comune e della moralità pubblica.
Queste tre distinzioni sono state utilizzate dai teologi occidentali in due tipi principali di trattato: il De Iustitia e il De Deo (Uno, Creante et Elevante, De Redemptore, ecc.).
Nei trattati sulla g. i moralisti medievali si occupano dei rapporti di g. tra individui e studiano le condizioni di esecuzione dei contratti, del commercio, ecc. Con l'avanzare del Medioevo la parte giuridica di questo tipo di trattato si consolida e aumenta. I moralisti studiano inoltre i rapporti dei re nei confronti dei cittadini, nella distribuzione dei favori e delle sanzioni.
Come abbiamo visto, D. si occupa molto poco della g. commutativa: egli pensa anzitutto alla g. riparatrice quale dev'essere esercitata da imperatore, senato e tribunale. In ciò D. si avvicina a una letteratura che è assai caratteristica dell'epoca medievale: quella degli specula principum, dove venivano esaminati i doveri del principe. Le concezioni di D. altro non sono che quelle della sua epoca: tutti gli uomini accedono alla vita morale giacché sono in possesso del libero arbitrio (egli ripete senza sosta questa affermazione), ma i principi e i magistrati ricoprono un ruolo superiore. Sono i guardiani della morale e gli anticipatori della g. divina, in quanto puniscono i delinquenti e restaurano l'ordine.
Nei trattati di teologia sopra citati, i dottori si chiedono in che misura l'analogia permette di attribuire a Dio le tre specie di g. definite da Aristotele. Essi scartano l'idea di una possibile g. commutativa in Dio, non essendoci alcuna uguaglianza tra lui e l'uomo (cfr. Tomm. Sum. theol. I 21 1). Lo stesso si dica per la g. distributiva, poiché Dio è padrone dei suoi benefici. Egli può concedere la Grazia a uno e rifiutarla a un altro: l'uomo non ha alcun diritto poiché è creatura e peccatore. I teologi discutono il problema della predestinazione e molti, nel Medioevo, si rifanno alle tesi agostiniane: Dio non può condannare nessuno direttamente all'Inferno senza che abbia una colpa personale, può invece ‛ dimenticarsi ' di scegliere alcuni uomini come eletti senza che costoro possano parlare d'ingiustizia dal momento che fanno parte della " massa damnata " costituitasi col peccato di Adamo.
Tutto sommato non esiste che la g. repressiva, che si realizza completamente in Dio. Qui i teologi hanno dalla loro i numerosi testi dell'Antico Testamento dove Jahwe è descritto come un dio geloso, severo, persino rancoroso. Indubbiamente il Nuovo Testamento offre soprattutto un messaggio di perdono e di grazia, ma, come sappiamo, il Medioevo man mano che avanza presta una fede sempre maggiore all'Antico Testamento. Si può quindi affermare che D. riflette veramente la mentalità della sua epoca quando vede soprattutto nella g. l'attributo di Dio che punisce i peccatori e specialmente coloro che hanno fatto del male ad altri. Egli non dovette provare pena alcuna nel recitare l'invettiva dei salmi: " Super flumina Babylonis et flevimus dum recordaretur Sion... Filia Babylonis misera! beatus qui retribuet tibi retributionem tuam, quam retribuisti nobis " (Ps. 136, 1, 8).
Bibl. - A. Descamps, Justice, in Dictionnaire de la Bible, Supplément, IV, Parigi 1949, 1417-1471; Ph. Delhaye, Justice e Justice de Dieu, in Catholicisme, VI, Parigi 1967, coll. 1289-1303; G.B. Guzzetti, Giustizia, in Enciclopedia Cattolica, IV, città del Vaticano 1951, 846-854; G. Del Vecchio, Giustizia, in Enciclopedia filosofica, III, Firenze 1967², 250-259; ID., La g., Roma 1946; A. Descamps, Les justes et la justice dans les évangiles et le christianisme primitif, Gembloux 1950.