GIUSTIZIA
Nel Medioevo la g. era, in senso generale, la manifestazione dell'aequitas divina, la personificazione dell'ordine del creato e del suo mantenimento. Come tale veniva classificata tra le virtù cardinali, come qualità ispiratrice della lex e della sua applicazione, e raffigurata nelle vesti di una figura femminile i cui attributi più frequenti erano la corona, il trono - spesso sorretto da leoni -, la spada e la bilancia (Didron, 1860; Katzenellenbogen, 1939).La g. divina è spesso rappresentata dalla figura dell'arcangelo Michele e dalla stadera di cui si serve per la pesa delle anime. Scene consimili appaiono a illustrazione dei Salmi nelle miniature del Salterio di Utrecht, dell'830 ca. (Utrecht, Bibl. der Rijksuniv., 32, cc. 6r, 65r). Elaborate scene di psicostasia sono presenti in tutta l'iconografia romanica, per es. nei rilievi del timpano della cattedrale di Autun, del 1130 ca., e in un manoscritto delle Etymologiae di Isidoro di Siviglia (Monaco, Bayer. Staatsbibl., Clm 13031, c. 1r, del 1160-1165 ca.; Pleister, Schild, 1988), e compaiono nelle scene di giudizio (Baschet, 1993); la stessa g., come figura femminile coronata, regge la bilancia nel pannello centrale di un reliquiario della Croce mosano, eseguito intorno al settimo decennio del sec. 12° (New York, coll. privata; Pleister, Schild, 1988).Le rappresentazioni della g. come figura isolata dalle altre virtù non sono frequenti e si intensificarono a seguito di una relativa secolarizzazione del concetto, diffusasi a partire dal sec. 12° come sviluppo dell'antico assioma dell'origine sacra del potere: quest'ultimo venne ad assumere - sia nella sua espressione personale, il sovrano, sia in quella corrispondente alle varie forme collettive dell'autorità politica e giurisdizionale - il duplice ruolo di impersonare la g. e, nello stesso tempo, di essere suo suddito (Kantorowicz, 1957; Grossi, 1995). A un'elaborazione in senso autocratico di tale concetto di g. - espresso nelle tombe della dinastia normanna tramite la simbologia del leone, custos iusticie (Deér, 1959) - è da collegare la celebre testa femminile (Capua, Mus. Prov. Campano), già parte della decorazione scultorea della porta di Capua, commissionata nel quarto decennio del sec. 13° da Federico II di Svevia come monumento paradigmatico della propria ideologia del potere, espressa nelle Costituzioni di Melfi del 1231. La figura, variamente connessa dalla critica con la scultura di età romana, concorreva con le rappresentazioni dei giuristi all'esaltazione del sovrano - anch'esso rappresentato come iudex - in quanto lex animata in terris (Kantorowicz, 1957; Abulafia, 1988; Brenk, 1991; Meredith, 1994).La g., largamente rappresentata nella produzione di Nicola e Giovanni Pisano, doveva comparire come virtù tipica del sovrano nello smembrato monumento funebre di Margherita di Brabante (Genova, Gall. Naz. di Palazzo Spinola), ese guito da Giovanni nel 1312-1313 (Torriti, 1960); come qualità suprema del giureconsulto appare, insieme a ritratti di uomini di legge e a scene di tribunale, nei secc. 13° e 14° nei monumenti funebri dei dottori bolognesi (Grandi, 1982).A partire dall'ultimo decennio del sec. 13°, in Italia le autorità podestarili commissionarono per gli edifici pubblici cicli di affreschi a soggetto politico, il cui tema è l'esaltazione della corretta amministrazione della res publica, tra i quali quello, perduto, nel palazzo del Bargello di Firenze, che Ghiberti (Commentari, II, 4) e poi Vasari (Le Vite, II, 1967, p. 116) attribuirono a Giotto, rappresentante il Comune rubato, un'amara caricatura - analoga a quella scolpita da Agostino di Giovanni e Agnolo di Ventura nel sepolcro del vescovo Guido Tarlati (1330; Arezzo, cattedrale) - del potere civico ingiuriato dall'avidità e dai particolarismi personali, cui si contrapponevano (Morpurgo, 1897) le figure della Fortezza, della Prudenza, della Temperanza e della Giustizia. Lo stesso scopo moralistico interviene a Siena, nel Palazzo Pubblico, dove Ambrogio Lorenzetti rappresentò (1338-1339) il Buon Governo con un complesso apparato iconografico di contenuto politico-sapienziale, nel quale un ruolo centrale è attribuito alla g., che, opposta alla grande figura diabolica della Tirannia, appare due volte, come Iustitia mediatrix - una figura seduta, sovrastata dalla Sapienza, posta tra due scene che raffigurano, come segnalano le rispettive iscrizioni, i princìpi complementari, aristotelici e poi scolastici, della g. commutativa e distributiva (Zdekauer, 1913; Kantorowicz, 1957; Rubinstein, 1958; Frugoni, 1983) - e nuovamente in trono, identificata come Iustitia vindicativa da una testa umana mozzata (Edgerton, 1985), fra le altre Virtù che circondano una grande figura assisa di giudice-governatore.Uno schema analogo era stato adottato, in un contesto prettamente religioso, da Giotto a Padova, nella cappella dell'Arena, compiuta intorno al 1305, dove Iusticia, in trono tra le altre Virtù, tiene sul palmo delle mani i piatti della bilancia - sui quali si svolgono una scena di pagamento e un'esecuzione capitale - e si contrappone all'Iniusticia, una figura maschile inserita in un'architettura merlata, ai cui piedi lo stravolgimento della norma è rappresentato da scene di ruberia e di violenza consumate ai danni di viandanti, scelera tra i più significativi per la morale e il diritto penale medievali (Frugoni, 1983). Nel 1368 a Paganico (prov. Siena), nella parrocchiale di S. Michele, Biagio di Goro Ghezzi riprese l'immagine sapienziale di Lorenzetti nell'allegoria dell'oltretomba, in cui la g. è rappresentata dall'arcangelo Michele che procede alla pesatura delle anime, mentre due figure inginocchiate gli presentano il giusto tributo nel frutto del proprio lavoro (Freuler, 1986).Più antica e diffusa è la rappresentazione della prassi giudiziaria: le scene di giudizio nell'arte paleocristiana derivano da modelli forniti dall'arte statuale romana, che influenzarono l'iconografia legata all'agiografia dei martiri. Questi ultimi partecipano alla scena in qualità di imputati: così è, per es., nel sarcofago di Giunio Basso, del sec. 4° (Roma, Tesoro di S. Pietro), nei cui rilievi sono descritti i giudizi di s. Pietro e s. Paolo. Il cerchio degli apostoli riuniti attorno a Cristo nella placca di terracotta già Barberini (Washington, Dumbarton Oaks Research Lib. and Coll.; Grabar, 1968) allude a un tribunale, con una struttura compositiva che perdurò nell'iconografia degli apostoli-giudici per tutto il Medioevo. Non infrequente, in contesti diversi, è la rappresentazione - anch'essa legata ai cicli agiografici - di prassi probatorie desunte dalla cultura giuridica di origine orientale e germanica, quali l'ordalia (per es. la Prova del fuoco descritta da Giotto nel ciclo francescano della cappella Bardi in Santa Croce, a Firenze).Un particolare aspetto della pittura a soggetto giudiziario è costituito dalla rappresentazione delle pene. Queste ultime sono largamente documentate nelle scene sacre, nei giudizi particolari e soprattutto nei grandi giudizi universali, che riportano con dovizia di dettagli un ampio repertorio di supplizi (Baschet, 1993). La pena dell'esilio è drammaticamente descritta da un ignoto artista nella Cacciata del duca di Atene, del 1360 ca. (Firenze, Palazzo Vecchio; Edgerton, 1985).La pittura assume in sé valore e funzione di pena nella c.d. pittura infamante, che consisteva nell'esecuzione e nell'esposizione in luogo pubblico di scene di punizione in cui era ritratto il reo, individuabile da iscrizioni. Benché la prassi sia largamente documentata (Ortalli, 1979; Donato, 1994), ne rimane un unico esempio nel salone del broletto di Brescia, dove Passerino e Bonapace Faba sono rappresentati mentre sfilano a cavallo, in catene.
Si definisce giurisprudenza lo studio e la raccolta degli atti giuridici e delle sentenze di g., in quanto fonti per lo studio e l'applicazione del diritto. Nell'epoca romana, e poi nel Medioevo, il termine indicò, con accezione più ampia, la scienza del diritto e l'esercizio dell'interpretazione delle norme, comprendendo, in generale, tutta la letteratura giuridica.Le due grandi summae del diritto romano tardoantico furono redatte a Costantinopoli: il Codex Theodosianus - raccolta di norme civili, penali, amministrative e procedurali - fu inviato da Teodosio II a Roma nel 438, mentre un secolo più tardi, tra il 529 e il 534, una commissione nominata da Giustiniano compilò il Codex Iustinianeus, corredato dalle Pandectae (o Digestum), le Institutiones e le Novellae.Le compilazioni giuridiche più diffuse in Occidente tra il sec. 6° e l'11°, grazie alla loro peculiare funzione didattica, furono le Institutiones; attraverso varie epitomi e interpretazioni continuarono inoltre a essere in uso il Codex Iustinianeus, che riuniva le costituzioni imperiali precedenti, mantenute in vigore, e le Novellae, nuove costituzioni imperiali a integrazione del sistema normativo generale, poi noto come Corpus iuris civilis.La Chiesa rivestì un ruolo fondamentale nella conservazione del diritto romano nel mondo medievale, dove continuarono a circolare raccolte di costituzioni estratte dal Codex Iustinianeus per uso degli ecclesiastici.In Oriente, dal sec. 8° al 10°, non venne mai a mancare una tradizione di rielaborazione e aggiornamento del diritto giustinianeo, fino ai Basilicorum libri LX, compilati tra l'886 e il 911 per ordine dell'imperatore Leone VI il Saggio. In Occidente i fondamenti del diritto teodosiano furono riportati nelle compilazioni volute dai re germanici a uso dei sudditi romani, quali la Lex Romana Burgundionum e la Lex Romana Visigothorum, e influenzarono il c.d. diritto barbarico, riflettendosi nelle leggi dei gruppi franco, svevo e sassone, nonché nelle leggi longobarde, dall'Edictus Rothari (643) alle aggiunte successive, fino ai capitula di Liutprando (712-744) e, in generale, negli iura propria (Leicht, 1966⁴; Grossi, 1995).Per tutto l'Alto Medioevo gran parte del repertorio illustrativo dei libri giuridici venne tratta - anche in considerazione dello stretto legame teorico instaurato dalla cultura medievale tra diritto e teologia - dai moduli ornamentali e dai soggetti rappresentati nei testi sacri. I più antichi manoscritti conservati con le leggi longobarde costituiscono un aspetto del più ampio problema del rapporto acculturativo con il mondo latino. Secondo una prassi che perdurò nei secoli successivi, le miniature avevano una funzione ornamentale, spesso ridotta alle iniziali, con l'uso dei motivi di origine vegetale e animale che comparivano nei codici ecclesiastici coevi (Leges Langobardorum, del 736-746; Vercelli, Bibl. Civ., 188; Scardigli, 1990).La sacralità dei testi trascritti nel volume è espressa da grandi croci di apertura a tutta pagina, che accomunano codici di contenuto normativo quali la Regola di s. Benedetto, della fine sec. 8° (Monaco, Bayer. Staatsbibl., Clm 19408, c. 2r), e le raccolte di diritto canonico (Collectio canonum Dionysio-Hadriana, dell'811 ca.; Monaco, Bayer. Staatsbibl., Clm 6242, c. 23v; Mordek, 1995), mentre testi di legislazione civile mostrano temi quali la Maiestas Domini impiegati in posizione e funzione analoga rispetto agli evangeliari (Lex Romana Visigothorum, della seconda metà del sec. 9°; Roma, BAV, Reg. lat. 1050, c. 61r).Sempre in epoca carolingia, nei testi giuridici compare la figura umana, spesso incorniciata da architetture figurate, isolata (Lex Salica, Lex Alamannorum; San Gallo, Stiftsbibl., 731, c. 234r, eseguito nel 793) ovvero utilizzata in schemi complessi, accompagnata da didascalie che celebrano personaggi ritratti in posizione centrale - in quanto sovrano-promulgatore-giudice - accanto ad altri, che figurano nella loro qualità di giuristi-estensori del testo (Epitome Aegidii, Leida, Bibl. der Rijksuniv., B.P.L. 114, c. 17v; Lex Romana Visigothorum, Lex Alamannorum, Parigi, BN, lat. 4404, cc. 1v-2r, 197v, prodotto a Tours agli inizi del sec. 9°). Grande rilievo è in genere assegnato alla figura-ritratto nei codici con raccolte di leggi e capitolari redatte nell'Europa centrosettentrionale (Parigi, BN, lat. 4787, c. 95v, della metà del sec. 9°; lat. 9654, c. Av, proveniente da Metz, della fine del sec. 10°-inizi 11°; Gotha, Forschungsbibl., Memb. I 84, c. 2v, della fine del sec. 10°-inizi 11°; Mordek, 1995).Nell'Italia meridionale bizantina l'ufficialità e l'importanza dei testi sono sottolineate dalla presenza tra i motivi decorativi di architetture figurate: una raccolta di legislazione canonica, un manoscritto greco di probabile origine italiana databile al sec. 9°-10° (Parigi, BN, Suppl. gr. 1085), presenta motivi decorativi, concentrati intorno ai titoli, tra i quali vari elementi architettonici sembrano poter alludere a edifici sacri e quindi simboleggiare i concili dai quali traggono origine i canoni riportati nel testo; alcuni motivi vegetali e zoomorfi collegano le miniature a quelle di codici di argomento sacro (per es. Roma, BAV, Ottob. gr. 14, proveniente dallo stesso scriptorium; Grabar, 1972). Il richiamo all'ufficialità del contenuto e alla sua stessa origine determina la diffusione dei ritratti regi anche in copie e redazioni delle Leges Langobardorum eseguite nell'Italia meridionale: un manoscritto contenente vari testi, tra cui le Leges Langobardorum e i Capitularia regum Francorum (Cava de' Tirreni, Bibl. dell'abbazia, 4), scritto e miniato a Benevento nei primi anni del sec. 11°, presenta, oltre a una grande varietà di iniziali con figure umane e animali, scene miniate incentrate sulla rappresentazione di regnanti all'interno della propria corte, intenti a dettare editti - per es. Rotari alla c. 15v - o comunque accompagnati da dignitari con libri aperti - Arechi alla c. 182r, Ludovico il Pio alla c. 220v -, a volte individuati da scritte come codici di diritto, mentre in alcuni casi - per es. a c. 182r - la parola lex appare sul palmo della mano del sovrano (Mordek, 1995). Particolare ricchezza nell'apparato iconografico mostra un codice di Madrid (Bibl. Nac., 413), arricchito da miniature a piena pagina in cui scene di giudizio si svolgono alla presenza di Rotari, Ratchis, Astolfo, Arechi (cc. 16r, 141v, 148v, 157r), all'interno di architetture figurate che contribuiscono a fissarne l'area di produzione a un centro urbano della Terra di Bari, alla metà del sec. 11° (Cavallo, 1984; Bergamini, 1990; Mordek, 1995). Un discorso analogo vale per la giurisprudenza imperiale raccolta nei codici greci prodotti in ambito italiano nel sec. 11°-12°, che mostrano un ricco repertorio decorativo, ma solo episodicamente introducono figurazioni specifiche di temi giuridici. Una notevole eccezione è costituita dai diagrammi con le tavole di parentela che compaiono a illustrazione delle questioni di diritto familiare ed ereditario: in una raccolta di leggi scritta nel 1175 (Venezia, Bibl. Naz. Marciana, gr. 172, c. 27v; Cavallo, 1982) esse sono delineate nella parte inferiore del foglio, contornate da una cornice a elementi floreali, campita in rosso. In alto sono rappresentati gli imperatori Giustiniano, Leone III e Costantino sormontati da un portico e da alcune figure di bambini, con riferimento al tema dinastico della pagina, come è spiegato dalle didascalie.Oltre alle figure dei sovrani e dei legislatori - attinte da un repertorio iconografico già esistente, collegato a scene tipiche del repertorio biblico, quali le miniature del libro dei Re e dei suoi commenti o quelle dei testi attribuiti a Salomone, in cui frequente è la rappresentazione del saggio in trono (per es. la celebre pagina della c.d. Bibbia di S. Paolo; Roma, S. Paolo f.l.m., Bibl. dell'abbazia, c. 1r) -, anche alcuni codici giuridici latini presentano miniature che alla funzione ornamentale uniscono un fine eminentemente didattico, come le tavole di parentela. Già presenti nella produzione carolingia (Lex Romana Visigothorum, Parigi, BN, lat. 4412, cc. 76v-77r; Schadt, 1982; Mordek, 1995), queste ultime compaiono - sorrette da un personaggio barbuto che le dispiega davanti a sé - in due copie del Decretum di Burcardo di Worms, rispettivamente eseguite in Italia centrale nel primo quarto del sec. 12° (Parigi, BN, lat. 9630, c. 118r) e, pochi anni più tardi, in Toscana (Parigi, BN, lat. 3862, c. 78r), nonché, secondo il diffuso schema ad albero, in un esemplare dello stesso periodo delle Institutiones di Giustiniano (Parigi, BN, lat. 18229, c. 45r; Avril, Załuska, 1980).La produzione di codici, in gran parte miniati, ebbe forte impulso dallo sviluppo del diritto canonico, a seguito della riforma di Gregorio VII (1073-1085). I codici di decretali, le opere di Pietro Lombardo e di Ivo di Chartres, il Decretum Gratiani e poi i lavori dei commentatori furono diffusi per tutto il mondo cristiano, riprodotti nelle scuole monastiche, capitolari e curiali, insieme ai trattati civili risalenti alle compilazioni giustinianee. La nascita di un repertorio iconografico proprio alla giurisprudenza è legata al modo di procedere adottato nell'opera di Graziano. Nella Concordia discordantium canonum, nota come Decretum Gratiani, redatta intorno al 1140, sono presentate singole questioni, ciascuna seguita dagli strumenti giuridici utili alla sua soluzione. I soggetti delle miniature sono legati in modo più o meno diretto a ciascun argomento. Pur continuando a dipendere in qualche misura dalla tradizione dei manoscritti di argomento sacro, essi insistono su temi collegati all'insegnamento gregoriano sull'autonomia e la potestà della Chiesa, quali la potestas clavium e la plenitudo potestatis (Melnikas, 1975; Robinson, 1983).Il rapporto tra illustrazione e contenuto è evidente, nei manoscritti, già nella prima parte del Decretum Gratiani, le Distinctiones, che si apre con dissertazioni sui principi primi su cui si basa il diritto canonico. Nella Distinctio 1 si affronta la duplice derivazione delle norme del diritto dalla legge divina e dalla legge naturale; il testo comincia con le parole "Humanus genus duobus regitur". L'iniziale H è spesso miniata con soggetti che riflettono il concetto dell'origine del governo umano dai due princìpi chiave, ambedue di origine divina, attinenti alle sfere religiosa e civile. Il lógos divino e il frutto della creazione, Adamo, sono rappresentati spesso con riferimento diretto alle due parole iniziali (Adamo come humanus genus), come accade in un manoscritto della fine del sec. 12°, prodotto in Italia settentrionale (Rouen, Bibl. Mun., 707, già E. 21, c. 2v). Lo stesso concetto è ribadito in opere successive: ancora verso la fine del sec. 13° miniature franco-fiamminghe mostrano Dio che crea Adamo ed Eva (Bruxelles, Bibl. Royale, 7451, c. 1r; Douai, Bibl. Mun., 588, c. 1r; Barcellona, Arx. Cor. Arag., Bibl. Auxiliaria, S. Cugat 8, c. 1r) e risolvono l'illustrazione della Distinctio 1 con una più o meno convenzionale scena della Genesi. Il brano della distinctio ispira immagini più complesse: il ruolo imprescindibile della gerarchia ecclesiastica nell'annuncio della rivelazione e nella gestione delle questioni terrene è sottolineato in una miniatura italo-bizantina eseguita dopo il 1300, nella quale, accanto alla rappresentazione della Creazione, è posta la figura di un vescovo in atto di ammaestrare un chierico (Berlino, Staatsbibl., Lat. fol. 6, c. 1r). Sull'origine divina del potere e sull'autorità della Chiesa come tramite per il suo esercizio insistono le iniziali H di alcune miniature italiane del tardo sec. 12°, formate dalle figure di un vescovo e di un re che si scambiano il simbolo della potestas (Arras, Bibl. Mun., 493/585, c. 6r), che può essere rappresentato dalla santa Lancia (Bratislava, Arch. hlavného mesta SSR Bratislavy, Regionálna knižnica, 14/Jur. 46, c. 3r).La grande diffusione del Decretum Gratiani nella regione padana e in Francia e la produzione nei centri universitari, sia in area padana sia nella zona di Parigi e nelle regioni del Nord-Est francese, di copie finemente miniate sono da porre in relazione con il lungo pontificato di Alessandro III (1159-1181), già commentatore di Graziano a Bologna. Alcuni manoscritti francesi (Cambridge, C.C.C., 10; Troyes, Bibl. Mun., 103) costituirono summae iconografiche dell'arte romanica di notevole importanza per opere di epoca successiva (Cahn, 1969; Romano, 1976). A partire da questo periodo, il tema della trasmissione del potere dalla gerarchia ecclesiastica all'autorità civile, caro alla cultura cistercense, è ampiamente rappresentato nei codici prodotti nell'ambiente di Cîteaux e Clairvaux (Troyes, Bibl. Mun., 103, c. 11r; Berlino, Staatsbibl., Lat. fol. 1, c. 8r). La trasmissione dell'instrumentum regni da un prelato a un regnante come illustrazione della duplice natura della legge e della sua origine ultramondana ebbe diffusione nelle miniature dei manoscritti prodotti nella regione ancora nei secc. 13° e 14° (Danzica, Wojewódzka Bibl. Publiczna, F 77, c. 8v; Parigi, Maz., lat. 1287, c. 4r).L'insistenza su tematiche con forti implicazioni politiche è legata anche alle precisazioni elaborate dal primo concilio di Lione (1245) sulla translatio imperii, la gladii potestas e la potestas coactiva. A questi concetti è collegato un grande numero di miniature con la figura di Cristo e quelle dei Ss. Pietro e Paolo (Cracovia, Bibl. Jagiellónska, 356, c. 12r). La figura di Cristo in trono con il codice si trova a partire da questo periodo al centro di complesse scene di translatio: a ricevere il libro è il papa, mentre una spada, simbolo della giurisdizione civile, è consegnata a un re-giudice, caratterizzato dal collo di ermellino. Lo stesso schema iconografico è ripetuto in esemplari trecenteschi di origine padana, quali il celebre Decretum Gratiani firmato da Jacopino da Reggio, del 1310 ca. (Roma, BAV, Vat. lat. 1375, c. 1r), miniato in collaborazione con altri artisti (Conti, 1981), e, per tutto il secolo, è riproposto a rappresentare scene di giudizio, in cui una bipartizione allude ai due fora, ecclesiastico e civile (Siena, Bibl. Com. degli Intronati, K I 3, c. 1r, del 1320 ca.; Napoli, Bibl. Naz., XII A.1, c. 1r, dell'ultimo quarto del sec. 14°). In un altro Decretum Gratiani (Roma, BAV, Vat. lat. 1366, eseguito in Val Padana, della terza decade del sec. 14°), la c. 1r è miniata con la Divisione delle giurisdizioni da un collaboratore non secondario dell'Illustratore (v.), lo stesso che eseguì la Disputa dei dottori ritagliata da un codice delle Decretali (New York, Pierp. Morgan Lib., M. 821; Conti, 1981). Questo genere di rappresentazione, elaborato con simbologie articolate, è presente in manoscritti attribuiti a Niccolò di Giacomo, che illustrano la prima parte delle Distinctiones (Ginevra, Bibl. publique et univ., lat. 60, cc. 1r-2r). Una funzione di diffusione dei temi iconografici presenti nel Decretum Gratiani, di ampliamento della loro funzione didattica, nonché di trasmissione agli altri campi della produzione artistica, è svolta in genere dalle opere dei commentatori di Gregorio Magno - i decretalisti - e di Graziano, segnatamente in quelle prodotte tra la metà del sec. 13° e quella del 14° nelle varie scuole - soprattutto Parigi - e presso gli scriptoria reali, come Barcellona e Napoli (Melnikas, 1975; Romano, 1976; Edgerton, 1985). In corrispondenza con la maggiore produzione, dal sec. 14° alcune varianti, spesso di origine religiosa, arricchirono con temi 'minori' il repertorio iconografico dei codici canonici: in miniature del periodo di stile riminese, nell'ambito della stessa prima sezione del testo, venne introdotto il tema dell'Adorazione dei Magi (Madrid, Bibl. Nac., Vit. 21-2, c. 6r) con allusione alla dignità del Re dei re, secondo uno schema generale in cui i temi evangelici sono trattati con una complessità compositiva analoga a quella degli affreschi coevi (Conti, 1981).La legge mosaica, intesa come fase della rivelazione della legge divina, può essere presentata nella Distinctio 7 - nella quale (can. 1) Giustiniano precisa il ruolo di Mosè - oppure nella stessa Distinctio 1, come nel citato manoscritto francofiammingo di Bruxelles, nel quale la figura del patriarca che riceve le tavole compare, in una miniatura tripartita, al di sotto di Graziano che mostra un libro (la lex canonica) all'autorità ecclesiastica e a quella civile, mentre un riquadro con la Creazione compare alla base dell'immagine (c. 1r).In base a questo criterio di illustrazione per singoli argomenti, altri temi sono diffusi nelle copie del Decretum Gratiani in riferimento ai testi della seconda parte, le Causae. Così nella Causa 8, che tratta delle manovre illegali volte all'acquisizione di una cattedra vescovile, la lettera I o, con maggior spazio, la Q dell'incipit ("In extremis agens quidam episcopus successorem") sono istoriate con semplici figure di vescovo o con rappresentazioni più complesse, fino a una scena di trasmissione dei poteri che mostra molti personaggi al capezzale del vescovo morente, nei manoscritti padani del sec. 14° (Roma, Arch. del Capitolo di S. Pietro, A. 24, c. 147v; Melnikas, 1975).Analogamente a quanto accadde per i testi di diritto canonico, anche la giurisprudenza civile elaborò un proprio repertorio iconografico a partire dal sec. 13°, in corrispondenza dello sviluppo dei grandi centri universitari e della conseguente diffusione di testi e codici. Di questi solo una minima parte, non destinata all'uso comune degli studenti, ma commissionata per ricche biblioteche, era arricchita da miniature. Alla funzione ornamentale esse associavano un'intenzione didattico-esplicativa, genericamente riferita a singoli istituti giuridici o direttamente connessa con una specifica fase procedurale (Ebel, Fijal, Kocher, 1988). Alcune illustrazioni del Digestum vetus, in particolare, sviluppano i temi generali della filosofia del diritto: una miniatura di grande formato, eseguita nel sec. 14° (Monaco, Bayer. Staatsbibl., Clm 3503, c. 3r), illustra il titolo De iustitia et iure offrendo un vero e proprio paradigma morale dell'amministrazione del diritto. In essa è rappresentato un re-imperatore-giudice in trono con corona, spada e disco (elemento derivato dal globo imperiale); sullo sfondo appare un borgo fortificato. La spada, appoggiata sul disco, allude all'imperium come base etica dell'amministrazione della g.; che questa sia superiore agli interessi umani, e non compatibile con la corruzione, è significato dal resto della scena. Le figure alla destra del sovrano gli offrono ricchezze, ma vengono allontanate dai soldati, mentre egli si rivolge verso i 'giuristi' - uno con il rotolo e uno con la veste bordata di ermellino - alla propria sinistra. Dalla stessa parte è inginocchiato il reo, che ricompare nel registro inferiore, al momento dell'esecuzione, sorvegliato da un ufficiale a cavallo. Ancora più in basso, una figura sul rogo con la tiara in testa, rappresentante un eretico, chiude la complessa rappresentazione con un riferimento alle funzioni inquisitorie.Un riferimento specifico a singoli casi e momenti processuali è contenuto in miniature dal carattere spiccatamente narrativo. Nello stesso codice, alla c. 115v, il De usu fructu è illustrato da una miniatura quadrata di iniziale istoriata, dai vivaci colori su fondo oro, con una scena campestre. Due figure raccolgono i frutti degli alberi, una donna fiori o frutti dal terreno, mentre una capra pascola.Nello stesso periodo, ancora in un esemplare del Digestum vetus, del sec. 14° (Berlino, Staatsbibl., Lat. fol. 332, c. 39r), il titolo De postulando è commentato dalla figura di un re-giudice in trono, con corona e scettro, alla quale un procuratore presenta il caso di una donna e dei suoi due bambini. Il diritto di famiglia è ampiamente illustrato anche nei manoscritti che contengono l'Infortiatum, che comprende, nella suddivisione dei glossatori, i libri del Digestum successivi a quelli del Vetus, dal 35 al 38. Al De soluto matrimonio corrisponde una scena con il giudice-re assiso con il codice in mano al quale due donne, in atteggiamento di querelanti, conducono due bambini; dietro sopraggiungono personaggi maschili, tra i quali il relatore (Karlsruhe, Badische Landesbibl., Aug. XI, c. 1r; del sec. 14°). Nell'ultima parte del Digestum, il Novum, un importante problema procedurale, il De re iudicata et de effectu sententiarum et de interlocutionibus, è illustrato da quattro personaggi, in tonaca blu e con la tonsura, disposti simmetricamente ai lati del giudice al quale presentano due testi, due differenti sentenze (Monaco, Bayer. Staatsbibl., Clm 21, c. 72r). Le questioni di diritto tributario trattate nel Codex, e in particolare negli ultimi tre libri e nelle aggiunte, costituenti nel loro insieme il Volumen, sono illustrate con dovizia di particolari, atti a dimostrare la legittimità del sistema fiscale: il De iure fisci è reso, in un codice di probabile produzione italiana del sec. 13°-14° (Gottinga, Niedersächsische Staats- und Universitätsbibl., Jurid. 27, c. 197r), su due registri. In basso compare un re-giudice in trono con corona e spada, affiancato da figure intente alla pesatura e alla misurazione di beni. In alto è rappresentato un altro giudice seduto, ma con il berretto e il bastone di legno come simbolo del suo ufficio; al suo fianco, una figura dietro a un banco ingombro di denaro e un altro personaggio munito di borsa delle elemosine compaiono sullo stesso piano di una Madonna in trono con il Bambino sulle ginocchia, motivo forse dedicatorio che si ripete per tutto il manoscritto, all'inizio di ogni nuova trattazione (Ebel, Fijal, Kocher, 1988). La produzione di codici riccamente miniati contenente la legislazione giustinianea prosegue con modalità di illustrazione analoghe per tutto il sec. 14°, come dimostrano le miniature di esemplari del Digestum in littera florentina (Firenze, Laur., Acq. e Doni 158, 1, c. 84r, 3, c. 175r; Le Pandette di Giustiniano, 1983).Un altro rilevante aspetto della letteratura giurisprudenziale, legato in modo specifico alle singole culture, è costituito dai testi di diritto amministrativo che raccolgono gli usi e le consuetudini locali. Grande importanza - non da ultimo per la storia del costume - va attribuita al Sachsenspiegel, il più antico trattato giuridico in lingua tedesca, fatto eseguire da Eike von Repgow, feudatario del conte Hoyer von Falkenstein, tra il 1225 e il 1230. Esso raccoglie le norme che regolano i rapporti agrari e cavallereschi della regione. Nelle copie del sec. 14°, le miniature seguono da vicino il testo: le regole, anche se espresse in modo implicito tramite locuzioni proverbiali, sono rese visivamente tramite una singola immagine o un sistema di immagini. Il concetto dell'origine divina della legge, espresso nei versi del prologo ("Got is selve recht, / dar umme is em recht left") è rappresentato tramite l'immagine di Cristo in maestà, con la spada nella destra e il codice nella sinistra, che investe il signore dell'amministrazione della g. (Schmidt-Wiegand, 1980, p. 608; Unger, 1986, pp. 127-128).
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