GIUSTO da Firenze
Non si conoscono il luogo e la data di nascita di questo orafo attivo a Firenze nella seconda metà del XV secolo. Incerte sono le notizie relative alla sua famiglia di origine: fu forse figlio di un Giovanni della Magna, lavoratore di metalli (Yriarte), di probabili origini tedesche, come si evince da un documento del 1476 dove il suo nome ricorre per l'unica volta seguito dal patronimico e dall'indicazione di provenienza: la continua omissione del cognome potrebbe indurre a credere che esso fosse, in quanto straniero, di difficile pronuncia e trascrizione (Liscia Bemporad, 1988). Fu verosimilmente fratello di G. un Antonio di Giovanni di Gusto orafo che compare nel catasto del 1433 (Caplow McNeal).
L'unica opera di G. autografa è il reliquiario Vagnucci di Cortona (Museo diocesano, proveniente dal duomo), datato 1457 e firmato "opus Gusti Florentiae".
Imponente manufatto in rame dorato, argento e oro, impreziosito da cristallo di rocca e perle, il reliquiario, che custodirebbe un lembo della veste che Cristo indossava all'atto del miracolo della guarigione dell'emorroissa, appare strettamente connesso alla storia del concilio di Firenze del 1439 e alla corrente unionista delle due Chiese. Esso venne commissionato nel 1457 da Iacopo Vagnucci, vescovo di Perugia e tesoriere della Camera apostolica presso papa Niccolò V; fu lo stesso Vagnucci a donarlo a Cortona, sua città natale, e a dettarne le condizioni della custodia e l'esposizione in processione. Al tempo era vescovo di Cortona Mariano Salvini, teologo e oratore dell'Ordine dei servi di Maria proveniente dalla chiesa dell'Annunziata di Firenze. Sia il Vagnucci sia il Salvini, entrambi assai vicini alla famiglia de' Medici, avevano svolto un ruolo attivo durante il concilio. La reliquia era giunta poi in Occidente da Costantinopoli, portata dal patriarca Gregorio e da questo donata a Niccolò V. A sua volta il papa ne aveva fatto dono a Iacopo Vagnucci.
Il reliquiario presenta una struttura ispirata alle croci d'altare, con una base mistilinea oblunga, decorata da piccoli smalti tra cui figura lo stemma Vagnucci. La base si eleva poi in un gradino baccellato che si risolve in un nodo a tempietto esagonale d'ispirazione brunelleschiana sul quale è posta l'iscrizione che informa sul donatore e sull'anno di realizzazione. Dal nodo si dipartono due bracci, ornati da placchette smaltate, che sorreggono le statuette di Niccolò e Gregorio, a destra e a sinistra del Cristo portacroce in oro, il quale si erge, con la sua base decorata da fiori a smalto en ronde bosse, al di sopra della teca di cristallo, in forma di mandorla, che contiene la reliquia. Il Cristo, conforme all'iconografia dell'Uomo dei dolori, cara alla cultura figurativa nordica, non è di mano di G. ed è stata riconosciuta come una rara statuetta francese della prima metà del XV secolo (Eisler, 1969), di ottima fattura. Tale preesistenza certo condizionò G. nella realizzazione del reliquiario, ma non è da escludere che egli fosse stato scelto proprio per la sua probabile origine germanica.
Secondo quanto ci ha tramandato il pittore Neri di Bicci nelle sue Ricordanze, nel 1461 G. teneva bottega in via Vacchereccia, strada in cui operavano numerosi tra i più importanti orafi fiorentini.
A partire dal 1466 e per circa un decennio la figura di G. appare legata ai frati serviti della chiesa della Ss. Annunziata, per i quali realizzò e riparò alcune suppellettili sacre, andate perdute, tra cui una pace dono del re di Francia e una croce con smalti (Liscia Bemporad, 1988). L'ipotetica origine germanica di G. troverebbe parziale conferma nel fatto che la Compagnia dei Tedeschi faceva riferimento proprio alla chiesa dell'Annunziata, dove aveva in uso la cappella di S. Barbara sin dal 1448. Intorno alla metà del secolo, inoltre, si consolidava la protezione che la famiglia de' Medici accordava alla chiesa.
Il 19 genn. 1468 (1467 more Florentino) G. compare tra gli "ottimi maestri inteligenti", Luca Della Robbia, Mino da Fiesole, Antonio Pollaiolo e Andrea Verrocchio, chiamati dagli Operai del duomo di S. Maria del Fiore: insieme con "molti venerabili cittadini" (Guasti), tra i quali si distingue il giovane Lorenzo de' Medici, dovevano pronunciarsi circa la tecnica esecutiva - a fusione o a sbalzo - da preferirsi per la realizzazione della palla di rame dorato che avrebbe dovuto completare la cupola del Brunelleschi. La richiesta di un parere tecnico di G. è una testimonianza del suo valore come orafo e lavoratore di metalli.
Nel 1483-84 G. eseguì uno sportello in rame sbalzato, dorato e traforato per il tabernacolo marmoreo, opera di Mino da Fiesole, della cappella del Miracolo nella chiesa fiorentina di S. Ambrogio, secondo un disegno di gusto nordico caratterizzato da alcuni riquadri con decori a rilievo polilobati. L'ultimo pagamento è del giugno 1484, ed è questa la più tarda attestazione documentaria concernente Giusto.
La data di morte di G. non è nota.
Una sensibilità nordica presente nel reliquiario e la dimostrata conoscenza di tecniche di lavorazione poco utilizzate nella coeva produzione orafa fiorentina, quale lo smalto en ronde bosse o un certo particolare uso dello smalto traslucido per placchette a disegno floreale, hanno indotto Middeldorf ad attribuire a G. alcuni dei celebri vasi medicei del Museo degli argenti di Palazzo Pitti, attribuzione che ha riscosso un certo seguito, ma che è stata confutata da Collareta.
Liscia Bemporad ha attribuito a G., sulla base dei dati stilistici, un calice della chiesa di S. Ambrogio a Firenze, databile intorno al 1480. Quest'opera riprende, semplificandola, la tipologia del calice di Assisi di Guccio di Mannaia, con un accento però più moderno rispetto alla tradizione gotica, presentando negli alveoli motivi a palmette a smalto bianco e rosso, un unicum nella produzione dell'oreficeria fiorentina quattro-cinquecentesca.
Fonti e Bibl.: Neri di Bicci, Le ricordanze (1452-75), a cura di B. Santi, Pisa 1976, p. 165; D. Tartaglini, Nuova descrizione dell'antichissima città di Cortona, Perugia 1700, p. 83; C. Guasti, La cupola di S. Maria del Fiore, Firenze 1857, p. 113; G. Milanesi, in G. Vasari, Le vite…, III, Firenze 1878, p. 54 n. 4; C. Yriarte, Journal d'un sculpteur florentin au XVe siècle, Paris 1894, p. 79; G. Mancini, Il reliquiario Vagnucci di Cortona, in L'Arte, II (1899), pp. 494 s.; G. Mancini, Cortona, Bergamo 1909, pp. 61-63; U. Middeldorf, Zur florentiner Goldschmiedekunst des Quattrocento, in Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz, V (1937-40), pp. 437 s.; A. Morassi, Il tesoro dei Medici, Firenze 1963, p. 12, tavv. 4, 10, 16, 17; C. Eisler, The golden Christ of Cortona and the Man of sorrows in Italy, in The Art Bulletin, L (1969), pp. 107-118, 233-246; D. Heikamp - A. Grote, Il tesoro di Lorenzo il Magnifico. I vasi, Firenze 1974, pp. 91 s., 105, 127 s., 145; L'oreficeria nella Firenze del Quattrocento (catal.), Firenze 1977, pp. 274-276; H. Caplow McNeal, Michelozzo, II, New York 1977, p. 652; G. Brunetti, L'oreficeria del '400 in Toscana, in Antichità viva, XXVI (1987), p. 25; M. Collareta, Reliquiario Vagnucci, in M. Collareta - D. Devoti, Arte aurea aretina. Tesori dalle chiese di Cortona (catal.), Cortona 1987, pp. 27-36; Id., Il reliquiario Vagnucci a Cortona, in Bollettino d'arte, 1987, n. 43, suppl., pp. 96 s.; L. Bencini, Betto di Francesco e gli smalti della croce del Battistero di Firenze, in Annali della Scuola normale superiore di Pisa, s. 3, XVIII (1988), 1, p. 187; D. Liscia Bemporad, G. da F. e Antonio del Pollaiolo: una soluzione, un problema, ibid., pp. 195-214; Id., Argenti fiorentini dal XV al XIX secolo. Tipologie e marchi, Firenze 1993, ad indicem; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XIV, pp. 227 s.